IL COMMENTO Solo lo studio ti rende libero
Un paio di giorni fa si è presentato a casa mia un ragazzo di tredici anni, terza media, con un blocchetto di appunti ed un cellulare in mano e mi fa: “La prof. ci ha dato da preparare una tesina sugli Schiffer per gli esami. Tu me la daresti una mano?” Come si fa a dire di no! Ci siamo seduti sotto il limone ed abbiamo parlato a lungo, a trecentosessanta gradi. Il ragazzo era interessatissimo e poneva continuamente domande. Finché arrivammo ad una data molto prossima, il 10 giugno del ’40. Lui aveva un’idea piuttosto confusa e fuligginosa sull’argomento che forse gli era stata manifestata in famiglia. D’altra parte che volete? Sono passati anche più di ottanta anni da quel giorno! Il ragazzo seguiva le mie parole a bocca aperta. “Allora – dicevo- Mussolini uscì sul balcone di palazzo Venezia ed annunziò che “l’ora del destino era scoccata sul quadrante della Storia: la dichiarazione di guerra era stata inoltrata agli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna! “Il ragazzo aveva gli occhi sgranati. Non pensava che fosse così facile dichiarare una guerra. Ne aveva sempre sentito parlare, ma mai così da vicino e in modo così diretto. E tutto questo è ovvio perché questi nostri giovani nella maggioranza dei casi non sanno assolutamente nulla del nostro passato. Ed io gli dissi che a quella data avevo appena tre anni e non capivo niente. E che poi con il passare del tempo mi iscrissero alla scuola elementare un anno prima del consentito per una mia incompatibilità con le suore d’Ivrea dell’asilo; che nel ’42 frequentavo la prima elementare ed avevo cinque anni. Che i miei mi condussero a Napoli e mi comprarono la divisa da Figlio della Lupa. Ero bellissimo con la grande M di Mussolini sul petto, la bandoliera incrociata sul davanti, la camicia nera, i calzettoni e i pantaloni grigioverdi e il fez in testa con il pennacchio al vento. Dio, come mi sentivo fiero ed importante.
A Napoli, camminando per il Rettifilo, sulle scale dell’Università vidi gruppi di giovani che agitavano delle bandiere tricolori e gridavano: “Guerra” Guerra!” Mio nonno materno, che da poco era tornato dall’America dove era emigrato, si incamminava insieme a noi in silenzio e borbottava: “Voi non sapete che significa combattere con l’America! Questa è una nazione troppo forte. E questi giovani moriranno quasi tutti”. Io pensavo che il nonno si era ubriacato d’America. Magari fosse stato così. Solo dopo, con il tempo, mi resi conto che il buon uomo aveva ragione. Mio padre, prigioniero di guerra, lo rividi dopo sei anni; soffrivo la fame; mi vestivo con vestiti vecchi riadattati da mia madre; non mi potevo neanche lavare perché mancava l’acqua ed il sapone: la gente puzzava, specialmente nelle chiese affollate. Tutti pregavano affinché finisse la guerra. Io dicevo queste cose ed il ragazzo di fronte a me sgranava sempre di più gli occhi.
Ad un certo momento pensai che forse lo stavo terrorizzando con i miei racconti e rimasi indeciso se continuare o meno. Lui mi ha invitato a proseguire. Voleva sapere tutto. E poi mi fece una domanda: “Come devo fare per sapere le cose come stanno?” Risposta: “Devi studiare!! Devi studiare! Devi studiare! Solo lo studio ti rende libero. Solo con lo studio ti puoi svincolare dalle sirene di questo mondo che tendono ad ingabbiarti. Non è vero che i tempi sono cambiati! Sono sempre gli stessi, le guerre sono sempre dietro l’angolo (vedi l’Ucraina!), dobbiamo sempre rimanere con gli occhi aperti. L’espressione di meraviglia sul volto del ragazzo mi sembrò trasformarsi in riconoscenza. Pensai che, forse mi, mi voleva a suo modo ringraziare.