In questi giorni a Procida si è svolto una sorta di “festival” del tango. I tanghèri procidani, collaborati da un nutrito gruppo di consimili provenienti dal continente si stanno esibendo negli arabeschi di questa danza particolare. Io non so ballare, ma amo molto assistere alle esibizioni dei ballerini di tango. Quest’ultimo non è un ballo vero e proprio, ma una sorta di rito sacro, di una religione antica di cui i sacerdoti sono i ballerini. Il ritmo della musica è dolce, accattivante, seducente; l’espressione del viso dei ballerini è seria, compunta, quasi ieratica come se fossero nel pieno di un rito sacro; i loro movimenti sono ampi, ma decisi. Qualche anno fa assistetti ad un film famoso tutto impregnato sul tango. La coppia dei ballerini era affascinante e trascinava gli spettatori, anche i più disincantati, nel vortice di voluttuosa sensualità della danza. Perché il tango è una danza molto sensuale. Di una sensualità antica e nuova ad un tempo, e la coppia del film la esprimeva senza nessuna remora. Grazie! I ballerini erano Richard Gere e Jennifer Lopez! E scusate se è poco…. Ad un certo punto il primo dice durante il ballo: “Il tango è un desiderio orizzontale espresso in verticale”. Mai definizione fu più azzeccata! Oggi, però, la mia mente va anche ad un altro 8 settembre: quello del ’43, ottanta anni fa. All’epoca ero piccolo, avevo sei anni, ma ricordo tutto ciò che accadde quel giorno. Come se i ricordi si fossero cristallizzati nella mia mente, fino a far parte integrante del mio essere. A Procida quello era un giorno luminoso, di n settembre caldo: Alla Madonna della Libera, ove abitavo, mia madre condusse me e mia sorella più piccola sul tetto a girare i fichi messi ad essiccare al sole. Era una cerimonia quotidiana per preparare i fichi secchi.
Questi venivano sistemati in una grossa pentola di creta ed ogni strato veniva intervallato da foglie di alloro. Non vi dico il profumo che emanavano quando questa veniva aperta, in genere a Natale! Ad un tratto sentimmo le campane della chiesa dell’Annunziata suonare a distesa, come se fossero le Quarantore. Scendemmo dal tetto per renderci conto di ciò che stava succedendo. Dal balcone da cui mia madre si era affacciata con noi attaccati alla gonna, vedemmo i vicini, Concetta “Spasieddo”, Melanina “Muntauto”, le figli dello scarparo correre lungo la salita per raggiungere la chiesa. Nessuno sapeva niente. Dopo un po’ presero a scendere alcuni gridando con euforia e come in preda ad uno stato di follia: “E’ fernuta ‘a uerra! E’fernuta ‘a uerra!” Mia madre, donna forte e non facile alle emozioni, abbracciò me e mia sorella e disse sottovoce:”Mò torna papà!” dalla prigionia!”. Dopo una decina di minuti venne a casa mio nonno materno da Ciraccio. Fu subito tutto chiaro. Lui aveva sentito alla radio proprio la voce di Badoglio che annunciava l’armistizio. Nella zona della Madonna della Libera nessuno aveva la radio. A casa mia non l’avevo. Mio nonno, a Ciraccio, possedeva una grossa Telefunken che metteva fuori il balcone ad una certa ora del giorno per far sentire alla gente che si radunava nella strada il “bollettino” di guerra. Era stato molti anni in America e diceva che lì la gente stava molto più avanti noi e la radio era una cosa comune che tutti avevano. Neanche il parroco della Madonna della Libera possedeva una radio ed io mi sono sempre chiesto come avesse fatto ad avere in anteprima la notizia dell’armistizio. Dopo anni manifestai queste mie perplessità a mia nipote, Lucieddaa” mntesa, e questa mi rispose di non farci caso perché i preti riescono sempre a sapere tutto prima degli altri.Quel giorno andammo a dormire felici e contenti. Il brutto era passato. Il mattino dopo mi affacciai al balcone interno che dava sul guardino e vidi una moltitudine di soldati che sciamava tra la verdura e le piante da frutta. Mia madre era già sveglia e parlava con loro. Chiedevano dei vestiti borghesi e si toglievano freneticamente le divise. Volevano camuffarsi e scappare. Avevano un terrore folle dei Tedeschi. Erano i soldati che stavano sul Cottimo presso le batterie dei cannoni. Temevano che gli alleati di un tempo per ritorsione li avrebbero ammazzati tutti o deportati in Germania. A Procida, però, Tedeschi non ce ne erano e mai ci sarebbero stati. Ma i nostri soldati non sentivano ragioni, avevano troppa paura. Alcuni si erano nascosti nei Fossi per i conigli. Ho la loro immagine davanti agli occhi ancora oggi. I giorni passavano; la guerra non finì; mio padre non tornò; i tedeschi cominciarono a bombardare l’isola da Monte di Procida; i nostri paesani di Sènt’Cò scappavano verso le parti più interne di Procida. La famiglia di fronte casa mia ospitava tutti i parenti fuggiti dalla Marina. Mi dispiace aver scritto queste cose tristi. E dire che avevo cominciato con il tango che una cosa bella. Scusatemi se mi son lasciato prendere la mano, ma anche questi avvenimenti fanno parte della nostra storia e del nostro vivere quotidiano.