DI BENEDETTO MANNA
Di recente si è evidenziato come le ultime piogge violente avvenute sull’isola sono una precisa conseguenza dei cambiamenti climatici, che consistono essenzialmente in un continuo aumento delle temperature, costatato soprattutto negli ultimi anni. Su Ischia, in base allo studio prodotto da attività scientifiche condotte da qualificati centri di ricerca internazionali, grazie al supporto fornito dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI), si è tarato un modello che prevede per i prossimi 25 anni un aumento di temperatura medio superiore a quello globale (valutato di circa 3 decimi di grado),così come è riscontrato anche per le zone mediterranee. Pertanto ciò comporterà, per il maggior vapore d’acqua in atmosfera, una maggiore intensità degli eventi meteorici estremi, alluvionali, di circa il 10%, intervallati in spazi di tempo sempre più brevi, mettendo sempre più in crisi il tessuto territoriale con aumento della pericolosità. A questo punto, al netto di tutti gli interventi strutturali e infrastrutturali pensati correttamente per contenere i rischi che derivano dai cambiamenti climatici in atto, sono da fare alcune considerazioni preliminari, indispensabili per inquadrare il problema nel suo aspetto più risolutivo e vitale per le effettive sorti che riguardano non solo l’intero sistema isolano, ma in modo più complessivo il Pianeta stesso, del quale si fa parte. Si tratta di prendere nella giusta valutazione e di far riapparire sugli “schermi radar” l’Ecosistema Mare, riferito sia agli Oceani sia al Mare Nostrum. L’Italia è bagnata dal Mar Mediterraneo, ricco di biodiversità. La biodiversità del Mediterraneo è fondamentale per i servizi che il mare ci rende: produzione di ossigeno e di alimenti, controllo del clima. Le acque catturano, infatti, il carbonio in superficie e lo trasferiscono in profondità, riducendo la CO2 in atmosfera, conosciuta come gas serra, vero responsabile del surriscaldamento terrestre. Inoltreil Mediterraneo, come tutti i mari, gioca un ruolo chiave nella mitigazione dei cambiamenti climatici svolgendo anche la funzione, dato il suo enorme volume, di assorbire notevoli quantità di calore in eccesso, abbassando la temperatura atmosferica.
I livelli innalzati di temperatura dei nostri mari negli ultimi due anni hanno superato soglie mai pensate prima. Il riscaldamento globale insieme all’acidificazione e alla deossigenazione sta cambiando la chimica di tutto il mare, quindi inclusi gli oceani. Ciò comporta impatti di enorme portata sugli ecosistemi oceanici e sulla loro biodiversità, oltre a sconvolgere il ruolo vitale che gli oceani giocano nel regolare la temperatura e il clima del Pianeta. La nostra vita dipende dal mare più di quanto si possa immaginare. Un respiro su due lo dobbiamo alla grande distesa blu, fonte di sostentamento e nostra alleata nel proteggerci dall’impatto dei cambiamenti climatici. Eppure il Mar Mediterraneo è messo a rischio, oltre dagli effetti dei cambiamenti climatici, da diversi fattori tra cui l’alta densità di popolazione presente sulle sue coste, destinata a crescere fino a 174 milioni entro il 2025, la pesca intensiva e selvaggia, le attività estrattive minerarie e d’idrocarburi con infrastrutture a supporto, oltre al traffico navale molto intenso. Basti pensare che il 30% del traffico marittimo di tutto il mondo passa per il mar Mediterraneo ed è responsabile, in particolare, dell’inquinamento cronico da idrocarburi in mare, con il rischio d’incidenti e sversamenti (fonte “Mediterraneo da proteggere” luglio 2024 Greenpeace). Inoltre la sua biodiversità è minacciata da inquinamento da plastica, chimico e acustico(solo per citarne alcuni). È il regno di chi, senza scrupoli, lo sfrutta e lo inquina impunemente. I nostri mari sono anche la casa di animali iconici. Otto specie di cetacei popolano le nostre acque, cui si aggiungono tartarughe marine (la tartaruga verde, laliuto e la Caretta caretta) e uno degli animali più elusivi del Mediterraneo: la foca monaca, avvistata di recente nelle acque del Tirreno centro – settentrionale(nel merito chi fosse interessato può leggere articoli precedenti del Golfo). Un patrimonio inestimabile da proteggere e tutelare. Serve una rete efficace di aree marine protette per dare al mare la possibilità di riprendersi e prosperare.
Il Parlamento europeo ha votato a favore della ratifica del Trattato delle Nazioni Unite per la protezione dei mari del Pianeta. Si attende la ratifica dei 27 governi che fanno parte dell’UE prima della Conferenza delle nazioni Unite sugli oceani in programma a Nizza nel 2025. A oggi, 89 Paesi hanno firmato il Trattato (compresi tutti i 27 governi dell’UE), a dimostrazione del sostegno politico globale. Tuttavia, solo 13 hanno ratificato il Trattato e sono necessarie almeno 60 ratifiche affinché entri in vigore. L’obiettivo dell’accordo internazionale è di proteggere almeno il 30% degli oceani con aree marine protette (AMP) entro il 2030 (cosiddetto “obiettivo 30×30”). Parallelamente alla ratifica, i governi devono anche iniziare a sviluppare le prime proposte per la creazione di una rete efficace di aree marine protette. Impegno già preso ufficialmente durante la conferenza sulla diversità biologica del 2022 anche dall’Italia, che deve quindi incrementare le AMP nelle sue acque territoriali per l’”obiettivo 30×30”. Gli impatti del riscaldamento del pianeta sono sempre più evidenti, ma per arginarne gli effetti va previsto l’aumento delle aree marine protette per pianificare la mitigazione e la corretta gestione delle pressioni locali in modo da incrementare la resilienza degli ecosistemi marini costieri. Laddove non esiste tale strategia, gli effetti negativi delle anomalie termiche si manifestano in modo più marcato. In ogni caso se si vogliono salvare gli ecosistemi marini, la riduzione delle emissioni di gas serra per contrastare la crisi climatica non èpiù rinviabile. Un’indagine di Greenpeace Italia rivela che meno dell’1% dei mari italiani è sottoposto a misure di tutela efficaci e appena lo 0,04% rientra nel computo delle aree in cui è vietato qualsiasi tipo di attività, con solo lo 0,9%tutelato con regolamenti e vincoli delle attività consentite, inclusa la pesca. Siamo ben lontani dall’”obiettivo 30 x 30”, di cui il 10% con aree a protezione integrale.
Il governo italiano sostiene ufficialmente di tutelare l’11,6% dei mari nazionali, perché sono conteggiati i “parchi di carta”, che comprendono il Santuario Pelagos, dove non c’è una vera gestione che tuteli lo stato di salute delle popolazioni di cetacei, e i SIC, aree marine importanti per la loro biodiversità,senza piani di protezione marina né di regolamentazione di ancoraggio e pesca. Nel 2023 la Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia per non aver attuato le misure necessarie a monitorare e prevenire le catture accidentali di cetacei, tartarughe e uccelli marini da parte dei pescherecci e per non aver adottato misure adeguate a proteggere diverse specie marine e di uccelli nei siti SIC – Natura 2000 designati per la loro conservazione. “Siamo molto lontani dall’obiettivo di protezione del mare che dobbiamo raggiungere entro il 2030. Attualmente le aree marine protette (AMP) sono poche, troppo piccole e senza un sistema di gestione integrata. Quindi non solo servono più AMP, ma occorre che siano meglio gestite e più funzionali”, spiega Carlo Nike Bianchi, professore e ricercatore di Ecologia marina dell’Università di Genova. “Sarebbe importante se l’Italia fosse un esempio virtuoso di protezione dell’ambiente marino nel Mediterraneo e istituisse una rete coerente di AMP per raggiungere gli obiettivi di tutela prefissati a livello internazionale”. Greenpeace Italia chiede al governo italiano di istituire un network di aree marine protette, dotato di un corretto sistema di gestione integrata, adeguati fondi, piani di monitoraggio e strumenti efficaci per raggiungere l’obiettivo del 30%. Chiede inoltre di ratificare il primo possibile il Trattato ONU per la protezione degli oceani, impegno che l’Italia ha promesso di mantenere per la conferenza ONU sugli oceani che si terrà a Nizza nel giugno 2025. Un criterio che ha permesso di identificare aree di particolare rilevanza nel mare Tirreno Centrale è stato quello dell’Important Marine Mammals Areas (IMMAs), che consente di riconoscere porzioni di habitat contraddistinte dalla presenza di importanti specie di mammiferi marini. Le acque costiere di Ischia e gli arcipelaghi Campano e Pontino sono state riconosciute ufficialmente come Important Marine Mammals Areasdall’International Union for Conservation of Nature’s (IUCN), la IUCN Species Survival Commission (SSC) e la World Commission on Protected Areas (WCPA) nell’ambito del progetto IMMA. Sicuramente possono contribuire a costituire e costruire, come si è detto,l’obiettivo del 30% di aree integrate marine protette entro il 2030, formando un raggruppamento integrato di aree marine in sinergia tra loro, favorendo, come è dovuto, la ratifica italiana del Trattato ONU per la protezione degli oceani, per dare vita al mare, al Pianeta e a noi stessi.