È sempre più buio, diluvia, il cielo ci schiaccia, la terra scompare, l’oscurità di quel banco sovrasta l’oscurità della notte.Pioggia, tanta pioggia, così tanta che l’acqua caduta dal cielo pareva non finire mai. La notte avanza e di colpo prende il sopravvento. E poi… E poi la fine di quell’incubo non arriverà mai: un boato, poi un altro. Lo stridere di vite accartocciate lungo il pendio, dentro le gole, ormai troppo strette ed intasate per contenerle tutte. La valanga straripa, distruggere tutto. Non dimenticherò mai quel rumore, è il rumore della morte. Ora lo so. Sono le 5:10 del mattino è finita, la mia amata terra ci era crollata addosso. Ero viva con la certezza che non tutti quella notte ce l’avremmo fatta. Poi più nulla. Era il 26 novembre 2022. Ci aggrappiamo al telefono disperati, increduli. Non può essere accaduto ancora!È come nel 2009, è successo di nuovo, ma al Celario alcune case, le strade, non ci sono più, c’è gente che non riesce a trovare i propri parenti. Serve che qualcuno li raggiunga. Quella notte ci abbiamo provato, lo abbiamo fatto nel vano tentativo di essere rassicuranti, mentre sollecitavamo le richieste d’aiuto ai Carabinieri ed in Prefettura. I centralini intasati dalle chiamate d’emergenza. Partono solo a tarda ora le prime notizie sul disastro, è giorno ormai, anche io provo a lanciare un take dal mio sito web: «Fate presto!».
Cosa è successo? È successa Casamicciola! Ancora una volta la vera tragedia è un’altra: ci sono dei morti.Anzi è una strage di famiglie e di bambini. È quasi l’alba, ma fuori è tutto nero, è buio come non non siè visto mai, il telefono quella notte suona per l’ultima volta. Il sole comincia a farsi largo, svela il dramma, eppure è ancora il telefono a ricordarmi che c’è un mondo là fuori, oltre la coltre di fango, il cordone disperato di familiari e parenti che tra quei luoghi informi tentano di raggiungere a piedi scalzi e sconvolti la valle del Celario. Da questo inferno non si torna indietro. Quando l’immensità del dramma comincia a palesarsi,siamo già sul tetto di casa, diluvia, il cielo sta venendo giù come era già venuta giù la montagna, cerchiamo di orientarci, di capire come muoversi in quei luoghi che non si riconoscevano più:la mia casa è circondata dal fango e dai cadaveri. Corpi devastati lungo la strada di casa, maditi di sangue e pioggia, confusi tra i tronchi di alberi spezzati e il paesaggio stravolto nella sua orografia. In quell’infernoscorgo il braccialetto al polso di una ragazza, lo smalto sulle dita di una donna, un pigiama rosa e un pupazzo dalle orecchie grandi che aveva perso la sua bambina. I soccorritori non arriveranno prima di un bel po’. Poi si vedranno per giorni e giorni solo sacchi neri sfilare, lungo i pendi, tenuti a braccia da uomini in divisa e elmetti gialli. I pensieri si accavallano,una bugia mi tormenta. Scusami Sara se ti ho mentito.Avrei voluto che un fato clemente ci ascoltasse per davvero, riportando indietro le lancette del tempo e della vita,riportando la tua famiglia da te. Ma più passavano le ore e più le mani scavano tra quelle rovine svelando la drammatica verità.
Quella notte avevamo fatto la conta, ci eravamo censiti a vicenda da un promontorio all’altro, facevamo l’appello per stilare il bilancio di quelle che di lì a poco sarebbero state le vittime della Frana di Ischia. Prima del crepuscolo sapevamo già i loro nomi.
È un disastro senza appello e non c’è modo di cambiare le cose, si può solo restare muti. Non si può descrivere a parole quel che è accaduto e non basta viverle certe cose per comprenderle fino in fondo. Non si può spiegare, né descrivere ciò che non ha spiegazione. Decine di persone, bambini, sono state sepolte vive, straziate dalla furia degli eventi. Le loro vite, i sogni di fanciulli sono finiti in un canalone, alla mercé di barbari soccorritori costretti a violarne il ricordo per strapparli ai loro sarcofagi di fango e di macerie. Sono morti e chi li ha amati dovrà sostenere il peso della loro drammatica scomparsa. Tutto il resto non conta, men che meno il ricordo di chi c’era come me e non ha potuto fare nulla per impedire il disastro, che non ha potuto far altro che guardare impotente ed aggrapparsi alla speranza. Quale non saprei dirvelo, adesso. Forse sarebbe stato meglio morire che sopravvivere con la consapevolezza di non poter mai più vivere di nuovo per davvero.
Non saremo mai più gli stessi. Quella strage ha cambiato le nostre vite. La nostra terra si è ripresa la sua strada e tutto ciò che si trovava davanti anche chi, ignaro, credeva di essere al sicuro nelle sue minuscole case dove aveva trovato riparo in quei sei anni trascorsi dal drammatico terremoto. Resteremo sporchi, infreddoliti, forse vivi, ancora nella baracca degli sfollati al Majo. La catastrofe resta catastrofe, le macerie pesano sulle nostre anime alla ricerca di chi non c’è più.Aggrappati a quei 12 nomi nel tentativo di non dimenticare, restiamo anime di fango a cui va l’obbligo di portare al mondo il loro testamento, il sacrificio di giovani coraggiosi che volevano solo vivere, crearsi una famiglia nella terra che li aveva visti nascere. Perché non sia mai più Casamicciola. Nessuno ha la soluzione per far sì che non sia così per sempre,in questo paese maledetto tutto è impossibile. La valanga ha fatto la valanga, lafrana ha ucciso, ma l’uomo cosa ha fatto per evitarlo, cosa ha fatto per superare la sciagura?Nulla, perché non può!Da una tragedia così non si esce. Oggi restiamo un cantiere aperto, una preda con il fianco scoperto alle speculazioni, La Mecca degli appalti e degli affari, eretta su 400 sfollati, passando su quei 12 morti.Lo chiamano Stato di Emergenza, quella che a Casamicciola non finisce mai. Lo Stato finanzia lo Stato,così la storia si ripete tragica e indolente. Pioveva e piove ancora, oltre solo il rumore agghiacciante della morte,mentre la montagna scivolava giù trascinata in un misto di terra ed acqua, vita impastata di rigurgiti di tronchi e radici,ammassi di case, auto, suppellettili, testamenti di vite vissute che non torneranno mai più.