IL COMMENTO Quello che non ha funzionato nel caso Silvia Romano

La bella notizia del rilascio di Silvia andava gestita con maggiore e diversa riservatezza. A maggior ragione se lo stesso è frutto di inconfessabili risvolti secretati e comunque non noti e non chiari neanche alle massime autorità dello Stato. Non era il momento di esibire Silvia ed il suo rilascio, esponendola al linciaggio e alle peggiori accuse ed insulti. Una parte di Paese, affamata e giustamente arrabbiata, ha fatto prevalere i suoi peggiori istinti su supposizioni, su ipotesi, ma soprattutto sui motivi che avrebbero indotto Silvia ad alcune scelte. A questa parte di Paese ha dato ascolto quella parte politica che vive del loro dolore e dei loro bisogni. È stato messo in discussione tutto sul nulla. Anche la storia bella ed importante dell’attività di cooperazione che vede protagonisti tanti volontari e cooperativisti che vivono con passione e spirito di sacrifico la loro vocazione e la loro missione svolgendo un strategico per il nostro Paese. Penso che negli ultimi anni sia l’unica attività seria promossa dalla nostra politica estera, evasiva ed inconcludente.

Spero che ora si spengano i riflettori e, chi ne ha competenza e responsabilità spieghi quello che è accaduto e, soprattutto, chieda scusa a Silvia, usata per le sue azioni propagandistiche ed esposta a tutto senza che le venisse offerto nessuno scudo. Certo vanno smentite le voci in ordine alla possibilità che, con il riscatto, siano state finanziate frange estremiste di quel Paese: è l’unica nota inquietante della storia. Soprattutto per un Paese come il nostro che, al principio ed alla strategia della fermezza, ha sacrificato uomini illustri a cominciare da Aldo Moro, del quale quest’anno ricorrono 40 anni della sua brutale esecuzione.

Ma in tutto questo Silvia non c’entra niente: non c’entrano il suo terrore, le sue angosce, il suo calvario vissuto negli ultimi 18 mesi di prigionia, le sue scelte religiose. Così come non c’entra niente, a maggior ragione, la sua vocazione di volontaria in un’area di crisi cronica, dove quei bambini valgono quanto i nostri. Non sappiamo se lo Stato, attraverso la sua intelligence, abbia mai trattato nel tempo e nella storia con terroristi, così come non si sa se, nel tempo e nella storia, lo Stato abbia trattato con la criminalità organizzata, pensando di salvare vite umane o di mantenere calmi mafiosi o camorristi e limitare atti di rivolta e subbugli nelle carceri. Ma in queste inquietanti ipotesi o illazioni Silvia non c’entra niente, la politica di cooperazione non c’entra niente, non c’entrano la possibilità e l’opportunità di metterla in salvo. La questione riguarda solo l’inopportunità di esporla in questo momento e le mancate informazioni, scuse e giustificazioni da parte del Ministro degli Esteri e del Presidente del Consiglio, su una storia grigia della quale Silvia è la prima e maggiore vittima.

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