IL COMMENTO Perché dire “no” all’astensione dalle urne
DI ANTIMO PUCA
“È proprio vero che fa bene/un po’ di partecipazione/con cura porgo le due schede/e guardò ancora la matita/così perfetta e temperata/io quasi quasi me la porto via/Democrazia..” – Giorgio Gaber – È partita la breve corsa verso il 25 settembre. Siamo lungo il rettilineo che ci porterà alle urne. Abbiamo varcato il confine che segna la fine dei giochi per la composizione di coalizioni, liste, collegi e chiama i partiti alla presentazione dei rispettivi programmi a un corpo elettorale che ai sondaggisti appare definitivamente spiaggiato dagli infiniti, irregolari, insopportabili moti ondosi della politica tricolore. Come scrive Lilli Gruber in una sua rubrica, “l’astensione non è una risposta sensata in democrazia”; infatti essa rappresenta una fuga davanti a quel segmento di responsabilità che ci unisce e insieme ci rende uno Stato. A chi è tentato dall’ astensionismo vorrei ricordare l’art. 48 della nostra Costituzione:”Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed uguale, libero è segreto. Il suo esercizio è dovere civico”. Abbiamo quindi il diritto ma anche il dovere di andare alle urne. Per alimentare la nostra Democrazia, che è fatta di istituzioni, di riti, di regole importanti. Così come sono importanti i partiti politici e i loro leader che spesso ci deludono, ci fanno arrabbiare e perdere fiducia. Ma che sono una parte di noi, che ci piaccia o no. Abbiamo il diritto all’informazione critica e corretta, ma anche il dovere a essere informati. Noi cittadini dobbiamo conoscere e sapere per poter decidere. Obiettivo difficilissimo da raggiungere nell’era di campagne elettorali popolate da pubblicitari, sondaggisti, esperti di marketing con tecniche e strategie di storytelling sempre più sofisticate grazie anche a internet e ai social network.
Riprendo una citazione da Hannah Arendt. “La società moderna, nella sua disperata incapacità di formulare giudizi, è destinata a prendere ogni individuo per ciò che egli stesso si considera e si professa e a giudicarlo su questa base. Una straordinaria fiducia in se stessi e l’esibizione di questa fiducia susciterà perciò fiducia negli altri; la pretesa di essere un genio desterà negli altri la convinzione di trovarsi di fronte a un genio. Si tratta solo della degenerazione di una vecchia e provata regola di ogni buona società, secondo la quale tutti devono essere capaci di mostrare ciò che sono e di presentarsi nella giusta luce. La degenerazione avviene quando il ruolo sociale diventa, per così dire, arbitrario, quando cioè è completamente staccato dalla sostanza umana effettiva, quando un ruolo svolto con coerenza viene accettato acriticamente come la sostanza stessa. In una simile atmosfera diviene possibile ogni genere di frode”.
La Arendt (sì, “la” Arendt, chiedo scusa ma mi viene così, politicamente molto scorretto) parlava di Hitler. Però le sue parole ci aiutano anche oggi. Ad esempio, a capire l’irrilevanza della gran parte del dibattito pubblico che, come ricorda Giunta, “è tutto soltanto un libero scambio d’opinioni tra persone che sanno esattamente le stesse cose, cioè le stesse parole che stanno intorno alle cose, che potrebbero scambiarsi le parti e di fatto se le scambiano, il parlamento è pieno di ex giornalisti”. Un mondo dove, appunto, diviene possibile ogni genere di frode. E dove, sin da piccoli (si fa per dire, sin dalla prima, vera prova “intellettuale” che tocca tutti o quasi: la maturità), si viene invitati a far credere di sapere ciò che non si sa, di capire ciò che non si è capito. Perché ciò che conta, alla fine – sempre, naturalmente e cultura a parte – è soprattutto il voto.
È più che mai cruciale fare uno sforzo per andare oltre gli slogan propagandistici che imperversano in ogni campagna elettorale. E fare uno sforzo per uscire dalla nostra “zona di confronto”, dove ascoltiamo solo argomentazioni che ci rafforzano nelle convinzioni già consolidate. Astenersi prima per lamentarsi poi è un modo comodo e un po’ vile di scansare il proprio pezzetto di responsabilità individuale civica e politica. A tutti i delusi del nostro sistema politico ricordo quello che disse Churchill nel 1947, memore degli orrori dei fascismi e delle dittature:”la Democrazia è la peggiore forma di governo. Eccezion fatta per tutte quelle altre forme sperimentate finora”. Con tutte le sue imperfezioni, che sono anche le nostre, non esiste sistema migliore. Questa è una buona ragione per imbracciare la matita che in altri tempi, gli anni 70, emozionava Giorgio Gaber.