IL COMMENTO Non si scrive (e riflette) mai invano

Leggo sempre, con estrema attenzione, gli scritti dei nostri autorevoli, puntuali (può sembrare questa una ovvietà ma credetemi non lo è affatto) ed attenti editorialisti, anche perché contengono argomentazioni non di poco conto (e soprattutto mai banali, e pure questa è merce rara). Sui quali, dopo aver fatto una sintesi di quanto pubblicato recentemente, mi soffermerò nei giorni a venire. Non prima però di essermi concesso una riflessione. Ho notato più volte, negli ultimi tempi, che tra consolidate e abituali firme di questo giornale traspare una sorta di (nemmeno tanto) malcelato pessimismo ed una sorta di insofferenza. Perché, viene obiettato, una serie di idee, spunti, inviti al confronto ed al dibattito, vengono spesso poco considerati se non palesemente ignorati?. E allora lo scrivente, che tra i tanti difetti ha forse pure quello di sentirsi più cronista che opinionista, proprio domenica sera ha provato a meditarci sopra ponendosi due quesiti. Ma questa sorta di disinteresse c’è davvero? E se così fosse, perché allora continuare a scrivere e a puntare il dito su quello che non funziona, spiegare come certe cose potrebbero andare meglio e alle volte aprire anche la mente a chi la mente ce l’ha chiusa o spesso – sia detto senza offesa, ma anche questa specie è tutt’altro che rara – non ce l’ha proprio o stenta ad accenderla?

Sì, dicevo, ho cercato una risposta. Non so quanto potrà o meno piacere, ma chi oggi si sforza di tenere vivo il dibattito e lo fa con osservazioni oculate e sensate scegliendo di rivolgersi alla comunicazione istituzionale e non ai social (diventati, sia detto senza offesa, un vero e proprio “troiaio”) lo fa perché sente di avere una responsabilità: quella di non tirarsi fuori dal dare un contributo alla società nella quale vive, cercando di aiutarla a crescere, a migliorare, a correggere quelli che magari sono i propri errori. Insomma, mi è venuta fuori una conclusione forse poco lineare ma che rende l’idea: spesso, si scrive anche per non avere scrupoli, per provare sempre e comunque a dare il proprio contributo per una società diversa e migliore. E quando sei su un giornale e non nel mondo virtuale e social, scrivi quello che pensi e quello che è utile, non quello che serve a strappare qualche “like” o condivisione in più. E non è vero che si rimane inascoltati, tutt’altro. Gli scritti dei nostri editorialisti sono spesso oggetto di discussione, è che altrettanto spesso chi è dall’altra parte della “barricata” fatica a riconoscere che su determinate tematiche c’è chi ha una visione d’insieme e idee più chiare delle loro. Un po’ il gioco e la strategia sovente adottata dai mediocri. Che tali restano ma la cui pochezza inevitabilmente si ritorce sulla comunità tutta, visto che la predetta mediocrità spesso impone anche una dose di presunzione tale da non prevedere cambi di marcia e/o inversioni di tendenza su qualsivoglia tematica. Insomma, ai miei amici e colleghi dico semplicemente che la loro attività non è ignorata come potrebbero immaginare, semplicemente spesso non viene riconosciuta: è così, si fidino di chi sta sulla “giostra” sette giorni su sette per almeno 16 ore al giorno. E allora oggi più che mai un giornale resta uno strumento indispensabile e se bisogna tornare a dibattere e riflettere o farlo in maniera ancora più incisiva vuol dire anche che i vari Borgogna, Petrucci, Della Monica, Puca, Di Dio (e mi scuso se dimentico qualcuno) lo faranno anche in una forma alternativa. Partendo dalle scuole. C’è già la loro disponibilità, c’è già quella del mondo didattico. Invogliare alla lettura i più giovani, Il Golfo ripartirà da qui. Molto presto.

gaetanoferrandino@gmail.com

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