Questo giornale, dalla proprietà fino all’ultimo dei collaboratori, ha cercato, con continuità e con scritti e convegni, di diffondere una sensibilità sul tema dell’insostenibilità dell’attuale volume di traffico e sulla tragedia degli incidenti stradali. Tuttavia non amiamo alzare i toni in coincidenza con la morte tragica di giovani, come l’ultimo caso di Manuel, di appena 17 anni. Per questo ho preferito che passassero alcuni giorni dalla disgrazia prima di esprimere un’opinione. L’ultima cosa che ci interessa è la spettacolarizzazione del dolore e l’insopportabile rituale di chi alza la voce solo nel momento in cui si richiederebbe silenzio e rispetto, tranne a riadagiarsi subito dopo nel tran tran quotidiano. Silenzio e rispetto innanzi tutto per la vittima, per i suoi parenti ed amici, ma silenzio, rispetto e “pietas” anche per l’altro giovane, che, seppure dovesse essere confermata l’ipotesi dell’omicidio stradale, è una persona che ha finito di vivere, non in senso fisico, come purtroppo è toccato alla vittima, ma nell’anima, che sarà rosicata dal rimorso.
E qui vengo alla protesta dei giovani della scuola che invocano sicurezza, sulla quale protesta devo registrare l’ennesimo errore di valutazione delle generazioni più mature: quello di ridicolizzare o insultare la manifestazione o, al contrario, quello di esaltare un presunto coraggio eticamente superiore a quello che fu il comportamento di generazioni ritenute più addormentate. Con questa logica, ferreamente binaria,non aiutiamo i giovani. Lasciamo che seguano il loro percorso, fanno bene a intervenire anche se stessero sbagliando obiettivi e analisi. Sbagliando s’impara. Dobbiamo solo aiutarli a non commettere quello che è stato (ed ancora è) il nostro principale errore: scaricare solo sugli “altri” responsabilità che sono invece collettive. In altre parole, dobbiamo solo dire loro che prima di “criticare” è necessaria l’autocritica. E questo ci riporta alla chiamata in correità di cui tutti noi ci dobbiamo sentire investiti. Ho letto tante dichiarazioni, tanti pareri, ma dico, in sincerità, che non mi convincono le tesi tecnocratiche di chi ritiene che esistano “strade killer” e che tutto potrebbe essere evitato con telecamere, rallentatori, mobility manager. Certo, tutto quello che serve a moderare la velocità, che è la principale causa di incidenti mortali, va fatto senza “se” e senza ”ma”. Così come bisogna utilizzare le forze di polizia per controlli, posti di blocco, accertamenti contro l’uso di dispositivi elettronici durante la guida o contro l’uso di droga o alcol prima di mettersi alla guida. E mi pare che l’intervista al Comandante dei Carabinieri di Ischia vada in questa direzione. Ma il vero problema è che occorre che tutti, dal mondo dell’informazione alla scuola, dalla famiglia alle istituzioni amministrative e governative, ci adoperiamo per una totale rivisitazione dei nostri comportamenti, dell’attuale scala di pseudo valori che abbiamo costruito, di una visione banalizzante della vita umana.
Occorre una “metanoia” stradale. “Metanoia” è un radicale mutamento nel modo di pensare, di giudicare, di sentire. Graziano Petrucci, nel suo “ caffé scorretto” di mercoledì ha indicato la strada per far rinascere il “buon senso”. E al buon senso è ispirato, da tempo, il comitato voluto da Mario Goffredo. Petrucci riassume in tre le linee di azione da perseguire: misure pedagogiche , misure tecniche (per la logistica delle vie di comunicazione, cartellonistica stradale, mezzi di controllo velocità) e infine misure di prevenzione, di cui la prima espressione dovrebbe essere l’intermunicipalità del servizio di Polizia Urbana, l’unificazione dei Regolamenti concernenti il trasporto di taxi e microtaxi sull’isola. Aggiungo io che, come viene fatto in alcuni Comuni della Riviera Adriatica, sarebbe opportuno studiare e istituire un servizio gratuito di navetta notturna per gli spostamenti dei giovani da e per i principali locali di musica ed intrattenimento giovanile. Una specie di “Zizì” dedicato ai divertimenti dei giovani. Questo eviterebbe, in molti casi, che tanti ragazzi si mettano alla guida in stato di ubriachezza o stanchezza. Conclude tristemente Petrucci: “al posto di Manuel ( Calise) e Francesco (Taliercio, altra giovane vittima del 2019) poteva esserci chiunque”. Mi permetto di aggiungere: ”Anche al posto del presunto omicida stradale (di 22 anni) poteva esserci chiunque”. Perché c’è un male che si diffonde in tutta la società attuale. E questo male colpisce in particolare i giovani, anche se non solo i giovani. Questo male si chiama “nichilismo”. Nella prima misura, quella pedagogica, indicata da Petrucci, inserirei la lettura, a scuola o fuori di scuola, di un saggio, vecchio del 2008, ma tuttora valido, del prof. Umberto Galimberti, filosofo e psicoanalista: “L’ospite inquietante – il nichilismo e i giovani”. Ecco l’incipit del libro: “Un libro sui giovani, perché i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra di loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendoli esangui. Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno sono diventati obsoleti, ma la loro stessa vita”. E’ brutto dirlo ma è come se si fosse smarrito il valore della vita; presi da un vitalismo, da una mania del cogliere l’attimo senza minimamente pensare a un futuro che si fatica ad intravedere, viene effettuato continuamente un salto nel buio, una roulette russa, un volo dell’Angelo. Dal che si intuisce che il problema della “metanoia stradale” è più generale, occorrendo una metanoia di tutto il nostro modo di vivere quotidiano. A ben vedere, quando ci mostriamo insofferenti a qualsiasi regola, a qualsiasi “codice” (non solo quello stradale) in nome di un’insopprimibile voglia di libertà, di dispiegamento della nostra vitalità, senza calcolarne le possibili conseguenze, noi replichiamo lo stesso comportamento spregiudicato che teniamo sulle strade.
Non mi piace l’appellativo “strada killer”. Nessuna strada è killer di per sé. Possono esserci strade meno difficoltose ed impegnative e strade che presentano criticità. Ma per questo esiste la cartellonistica stradale, i limitatori di velocità, i semafori e quant’altro offerto dalla tecnologia. I veri killer siamo noi stessi, tutti, a prescindere dalle responsabilità individuali che si registrano nei singoli incidenti. Noi tutti sfidiamo, con le nostre imprudenze, la morte (sulla strada come lontani dalla strada).Credo che la pandemia ci abbia offerto un altro angolo visuale del “nichilismo”. Molti considerano il “codice” di comportamento sanitario alla stregua del “codice stradale”. Esiste, ma siccome io sono bravo e furbo, so come cavarmela anche non rispettando quel codice che limita la mia libertà d’azione, la mia voglia di vivere cogliendo l’attimo, assaporando il fascino della velocità o della trasgressione al vaccino, alla mascherina. A qualsiasi vincolo. Il senso di responsabilità viene scambiato per “omologazione” e soggiogo ad un potere che limita. Tutto il nostro agire e il nostro pensare va rivisto. Non basta una metanoia stradale, ci vuole un ribaltamento della nostra etica. Per cui la Scuola, le istituzioni, le famiglie, i giornali e le televisioni dovranno fare prima un’opera di autoanalisi per poter successivamente analizzare e sensibilizzare la società ad una riconversione etico comportamentale. In questo ambito chiudo con un suggerimento che può sembrare banale ( ma no lo è): educhiamoci innanzi tutto a riscoprire la bellezza del passeggiare, del camminare a piedi.
Ha scritto, a tal proposito, Pier Luigi Vercesi, giornalista de Il Corriere della Sera: “L’evoluzione dell’uomo non è stata una passeggiata, ma è passeggiando che l’uomo si è evoluto. Aristotele intratteneva i suoi allievi passeggiando sotto ai colonnati di un porticato…Hegel solcava i sentieri di Heidelberg, Kant quelli di Konisberg, Kierkegaard sosteneva di non conoscere pensieri così gravosi da non poter essere seminati con una passeggiata; Nietzsche metteva in guardia dalle intuizioni nate al chiuso; Rousseau riteneva di non saper pensare stando fermo, Gesù e poi S.Francesco camminarono per chilometri per diffondere la parola cristiana. E infine Ippocrate, tutore della medicina, sosteneva che camminare è la migliore medicina”. Ecco, cominciamo da questa piccola rivoluzione. E giacché ci sono, consiglio agli agenti di polizia urbana e ai loro comandanti, di camminare un po’ più a piedi; circolare in macchina non fa “osservare” quello che si può osservare andando a piedi.