IL COMMENTO L’emergenza disagio giovanile
DI LUIGI DELLA MONICA
La cronaca ci addolora con un tentato caso di suicidio di un ragazzo di 15 anni sulla nostra isola, per fortuna e per Provvidenza miracolosa – per chi è credente – scampato al pericolo di morte. Questo caso ci apre l’orizzonte, anche sull’isola, alla necessaria consapevolezza dell’emergenza giovanile dopo lo scompenso sociopatico dell’emergenza epidemiologica COVID19. Sicuramente in piccola misura ha inciso anche la amara consapevolezza che ottanta anni dopo il secondo conflitto mondiale, processi mediatici, giudiziari e storici, la subdola e strisciante crudeltà della guerra non è mai finita.
Putin ha trasmesso al Mondo un messaggio pericolosissimo: se commetti qualcosa di sbagliato – ovviamente sto adoperando una licenza narrativa – stai sereno, quando appartieni all’apparato del potere non pagherai nessuna conseguenza; chi sbaglia non paga se è potente, bullo, dittatore. I giovani di oggi non hanno più certezze, (sto parlando in genere senza alcun riferimento allo scampato pericolo al Belvedere Castiglione) non ci sono più famiglie stabili, inossidabili e punto di riferimento granitico e nemmeno istituzioni alternative che possano contribuire alla formazione sana dell’identità culturale ed evolutiva dei ragazzi, come il partito, il sindacato, la parrocchia, le associazioni sportive. L’elezione della nuova segretaria del PD, la giovanissima Elly Schlein, sembra uno straniero acquistato in una importante squadra di calcio, perché non si capisce dal cognome se sia italiana, ma forse a breve chiederà la quarta cittadinanza per non scontentare nessuno; fatto sta che alle primarie per eleggerla partecipano anche i pentastellati… Pertanto, senza udire una chiara ed inequivocabile voce forte contro la abolizione della scala mobile, della cui soppressione sono artefici i suoi avi benedicenti Romano Prodi ed il Prof. “sottile” al secolo Giuliano Amato, la giovanissima segretaria si preoccupa dei diritti delle coppie monogenitoriali, a Milano o a Torino, senza pensare che uno stipendio medio si aggira sui 1.400 euro, ma un affitto, aumentato alle stelle intorno agli 800-1200 euro, per la tanto propugnata IMU dai suoi nonni (Romano Prodi, Giuliano Amato e da ultimo il pater bocconiano Mario Monti) impedisce alle famiglie “tradizionali” etero o bis genitoriali di formarsi, oppure induce a trovare una abitazione più a buon mercato in via Celario e lasciarci la vita.
Non intendo passare per anti Schlein o filo Meloni, ma analizzo il dato concreto che quest’ultima da bistrattata, vilipesa e misconosciuta da circa 30 anni nei salotti radical chic, da cui inequivocabilmente proviene la segretaria del PD, che da ultimo sta cercando casa a Roma, grande problema esistenziale, non certo da Tamburi di Taranto, Bari vecchia, Nervi Genova, Napoli Sanità, Quarto Oggiaro Milano, Roma San Basilio o Tor Bellamonca, è diventata la prima donna Presidente del Consiglio, perché parla alla pancia ed al cuore dei cittadini, non li ghettizza perché osano pensare diversamente da lei. Ma certamente la Meloni dovrà liberarsi del giogo, dell’ombra neofascista, mentre la Schlein non ha speso una sola parola in Europa per deplorare e condannare una Germania che è ancora debole nel perseguire e prevenire il neonazismo: prova concreta ed inconfutabile le scorrerie dei “tifosi” di Francoforte a Napoli. Si sta quasi insinuando una sottile percezione come se l’Italia fosse il luogo del permissivismo globale e generalizzato e di questo assolutamente i giovani ne soffrono immensamente. I genitori sono frustrati e fragili in questo sistema schiacciasassi e tali amarezze si proiettano pari, pari sui figli, provocando danni enormi alla crescita dei nostri giovani.
Il magistrale Franco Borgogna ci ricordava di Benedetto Croce sulla nostra isola, che perse dolorosamente quasi tutti i suoi cari nel luglio 1883 per il terremoto di Casamicciola. Ha citato un caso molto amaro della narrazione di Saviano, il vate di Gomorra, sul presunto intento concussivo o corruttivo di un giovane di 17 anni (Benedetto Croce) che offriva ai soccorritori 100mila lire (badate che nemmeno 30 anni dopo con la stessa cifra si poteva aspirare ad acquistare il Castello Aragonese). Ma ve lo immaginate oggi un ragazzo di 17 anni che perde tutto e tutti i suoi cari diventare il filosofo che sopravvisse al fascismo e lasciò di sé traccia nella storia della cultura mondiale del primo novecento? Lo stampo di fabbrica è stato perso, oppure per dire con frasi di Grazia Deledda siamo noi stessi adulti, non solo i giovani per necessità di crescita, “canne al vento”? All’epoca della gioventù di Benedetto Croce, nella Vienna imperiale si faceva strada il medico ebreo Sigmund Freud, padre della codificazione medica dell’inconscio. Un suo allievo, di poco più giovane, Carl Gustav Jung, teorizzò l’inconscio collettivo, come l’insieme delle nozioni percepite da un individuo, addirittura nel grembo materno, che condizionano e pregiudicano la sua conoscenza razionale ed intellettuale.
In altri termini, il male del ventunesimo secolo è la depressione, l’angoscia di non farcela, se non ti allei con il potente di turno, se non vendi la tua dignità a qualcuno e questo, contrario alla natura libera di qualsiasi coscienza umana, produce disagio, sofferenza e frustrazione, che in casi di elevata fragilità, dove non esiste una figura genitoriale o familiare (nonni, zii, fratelli\sorelle maggiori) nei giovani cagiona sofferenza che porta al disagio psicosomatico, come l’anoressia, il disturbo dell’apprendimento, l’iperattività e nei casi più seri le pulsioni suicide. Il vecchio oppio dei popoli “Dio, Patria e Famiglia”, per quanto deriso dai salotti culturali dell’alta borghesia, a mio sommesso avviso, proteggeva da molte depressioni giovanili. Una visione di una società migliore, quale che sia la parte politica o religiosa, alla Don Camillo e Peppone maniera, ingenerava nelle coscienze dei giovani una maggiore serenità e qualità di vita, che li allontanava anni luce dal pensiero di togliersela, pur perdendola a volte per futili motivi come la guerra.
Riporto una lettera di un giovane soldato italiano al fronte del 1917 “Caporetto, 3 novembre 1917 Carissima madre, come state?Qui la situazione è terribile, non si può vivere e ogni giorno le bombe sono boati che sgretolano un’intera parte del mondo. La guerra è spietata sotto ogni aspetto: molti miei compagni rimpiangono giorno e notte di essersi allontanati dalle proprie famiglie per abbandonarsi alla presunta morte. Io però non mi arrendo, spero ancora di farcela e di uscire vivo da questo inferno.Voi non potete nemmeno immaginare quanto io soffra ogni ora per quello che vedo e sento.Ogni mattina mi alzo prestissimo al suono delle fucilate, tra i defunti della trincea e le persone morenti che esalano gli ultimi respiri pregando il buon Dio nell’attesa di trovare la pace. Quando arriva il mio turno provo un dolore e una tristezza infinita, quasi come un fuoco che brucia ogni speranza. Quasi per miracolo, riesco a resistere per qualche tempo. Questi casi sono i più disperati: devi uccidere senza guardare in faccia alcuno, non importa chi ti troverai davanti perché dovrai ugualmente sparare, e farlo quasi con fierezza o passione; dovrai continuare, senza poterti opporre agli ordini, anche se avrai la polvere negli occhi e le lacrime nel cuore. E in quei momenti sai che stai commettendo del male, ma non puoi fermarti, anche se sei consapevole che chi sta al di là di quel confine è giovane come te e non è colpa sua se indossa una divisa di un altro colore o alza una bandiera diversa dalla tua.C’è invece chi muore di fame e di stenti, anche perché il cibo è scarso e quel poco che possiamo mettere sotto i denti è rancido. I più deboli muoiono per colpa del freddo che ci tormenta dalla sera al mattino. Le coperte, infatti, sono poche e chi riesce a procurarsele è così avido da non volerle condividere con nessuno.Alla fine di una settimana abbiamo conquistato o perso solo pochi metri, che ai miei occhi sembrano solo allagati dal caldo sangue innocente di chi ha lottato fino alla fine.Sono stufo, mia carissima e preziosissima madre, di tutto quello che sta succedendo; qui si sta verificando l’impossibile: morti a destra, morti a sinistra, morti dietro ai miei lenti passi scoraggiati. Ognuno di noi sa che non può in alcun modo tornare indietro e recuperare ciò che è ormai perduto per sempre: la vita di un amico, di un fratello lontano che ora non può più abbracciare.Basta, basta, basta! Non ne posso più, ho il cuore freddo come una pietra e le lacrime calde che parlano da sole: ho ucciso. Non credevo che sarei mai stato capace di spezzare la vita di un uomo così velocemente, senza permettere di dare ad entrambi un senso all’orrore della guerra.Chi non prova a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo e detta solo leggi dalla propria scrivania, dicendo di combattere sempre e comunque, non sa che cosa noi abbiamo visto, udito, provato, e non potrà mai, dico mai, rendersene conto.Solamente ora, ahimè, capisco che a noi qui non è rimasto più niente, solo i boati nelle orecchie, il freddo sulle gambe, il respiro dell’ingiustizia nella mente e il peso di vite umane che grava sul cuore, e guardando come incantato il mondo intorno a me, per la prima volta nella mia vita, ho paura.Un saluto e un abbraccio, Alessandro.
Carissimi giovani lettori, quando siete colti da scoramento e da sofferenza esistenziale, affidatevi a qualcuno, non siate chiusi in voi stessi, perché da soli non si può rimanere: la vita, ce lo ricorda questo giovane Alessandro 110 anni fa, è il bene più prezioso che esiste, l’ingiustizia è una realtà umana, ma credere fermamente che possa essere neutralizzata con l’aiuto di un genitore, di entrambi o di un fratello o ancora con una figura amica, ci aiuta a vivere meglio e forse plasmare la realtà all’ideale di Giustizia.
* AVVOCATO