Non conosco bene tutti i Presidi delle scuole dell’isola d’Ischia. Quelli che conosco sono bravissimi. E l’impressione è che il livello generale di competenza ed efficienza sia alto. Quindi mi sembra doveroso prendere in seria considerazione il documento scritto da 130 Presidi della Campania e condiviso da 4 Presidi della nostra isola (4 donne per la precisione). Cosa hanno detto, in sostanza, i Presidi, nella lettera al Ministro della Pubblica Istruzione, Azzolina? Hanno rivendicato la serietà e l’impegno della scuola campana e hanno sottolineato l’inopportunità di affermazioni che ricalcano luoghi comuni sulla “leggerezza” dei meridionali nell’affrontare gli impegni scolastici. Lamentano i ritardi e le inefficienze nel colmare, da parte del Governo, quelle carenze di spazi, sicurezza, numero di insegnanti e collaboratori scolastici, più volte segnalati, anche attraverso 5 monitoraggi del periodo estivo. Però non deve sfuggire il passaggio in cui si dice: “La scuola campana è una scuola seria, dove si lavora sodo, spesso senza un’adeguata interlocuzione con gli Enti Locali (in molti casi assolutamente assenti)”. Ora, trattandosi di un documento comune alle scuole di tutta la Regione, non sappiamo se le quattro Presidi ischitane abbiano – con la loro firma – voluto condividere anche questo aspetto. Sarebbe interessante sapere se al di là del rispetto che si deve tra istituzioni, le dirigenti scolastiche si sentano trascurate e scarsamente collaborate da Comuni, Città Metropolitana e Regione. Perché è importante capire questo? Lo è perché in un Paese come l’Italia che, a differenza di altri, vede una forte “concorrenza” di Enti diversi sulla stessa materia, con un inviluppo di distribuzione di compiti di difficile decifrazione, è giusto che meriti e demeriti vadano esattamente attribuiti a chi di competenza. Ciò che compete al Governo deve essere giustamente valutato e criticato, ma per quanto riguarda Regioni, Città Metropolitana e Comuni, questi non possono essere solo “controparti” del Governo, come talvolta capita. Devono, a loro volta, rispondere per le parti di loro competenza.
Se De Luca ritiene di dover chiudere le scuole fino al 31 ottobre, per le condizioni particolari in cui versa la Campania, lo può fare (e il Tar lo ha sancito) ma assumendosene tutte le responsabilità. Quando si dice “condizioni particolari” in cui versa la Campania, si fa riferimento non solo alle carenze delle strutture scolastiche ma a tutto il contesto infrastrutturale (trasporti insufficienti, quartieri affollati, stradine strette, condizioni igienico-sanitarie carenti). Non deve dunque meravigliare se dal 20 ottobre sono tornati a scuola gli alunni della scuola primaria, in quanto De Luca si è reso conto (sia pure con ritardo) che le modalità di spostamento dei bambini sono diverse da quelli adottati da ragazzi di età superiore. Non avvengono con mezzi pubblici e quindi i pericoli di contagio sono più bassi. Precisato ciò, sarà De Luca a prendersi il merito o il demerito, secondo che la decisione assunta avrà un qualche successo o insuccesso. Il Ministro Azzolina può legittimamente ritenere che il Paese ha bisogno delle lezioni in presenza ( almeno nelle scuole primaria e secondaria) ma, se il Governo delega le Regioni e dà loro la possibilità di provvedimenti più restrittivi della norma nazionale, deve lasciar fare e non alimentare una polemica istituzionale, come – del resto – sbaglia De Luca a presentare la “diversificazione” come atto di “dissociazione” dal Governo invece che di “differenziazione” territoriale. Siamo all’abc del rispetto tra istituzioni concorrenti. Questo ragionamento, che spazia da Elementi di Diritto Costituzionale a Elementi di Diritto degli Enti Locali, ci porta a trarre anche altre conclusioni. Per esempio, il rapporto tra Governo ed opposizioni parlamentari.
Le forze di opposizione, con in testa Salvini e la Meloni, lamentano che non vengono consultati preventivamente sui principali provvedimenti oggetto di DPCM, di cui il Presidente del Consiglio farebbe abuso. Istanza comprensibile in clima di calamità nazionale. Ma quello che è incomprensibile è che quando viene recepita una raccomandazione delle forze di opposizione, all’indomani stesso i capi dei partiti di opposizione si affrettano a rivendicare, per televisione e sulla stampa: “Abbiamo costretto il Governo a fare tale o talaltro provvedimento”. O si invoca il coinvolgimento e il risultato complessivo è merito di tutti o si rimane critici e intransigenti all’opposizione per sparare a zero in caso di passi falsi del Governo. Non ci sono vie di mezzo! Allo stesso modo, gli Enti Locali non possono limitarsi a criticare il Governo, senza mettere in atto la collaborazione istituzionale e l’implementazione di tutto quanto è di loro competenza. L’Italia è un Paese variegato e con profonde differenziazioni da nord a sud. Ipotizzare che sia sempre possibile una strategia valida per tutto il territorio è perciò impossibile e sbagliato. Allora non capisco le perplessità dei nostri Sindaci rispetto all’ipotesi, prevista dalla Delega che, in una prima bozza del DPCM, il Governo aveva loro dato di poter chiudere piazze e vie in caso di necessità per prevenire assembramenti.
E’ successo che, dietro le spinte dell’Anci e del suo Presidente De Caro, il DPCM non parla più di delega ai Sindaci per eventuali chiusure, ma si limita ad assegnare ai primi cittadini il compito di “individuare” eventuali spazi da chiudere, con la consulenza dell’Asl e a mezzo del Prefetto e delle forze di polizia. Misura certamente più ingarbugliata e meno diretta della prima stesura del provvedimento e pertanto meno efficace. Tant’è che l’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (Asmel), che rappresenta più di tremila Comuni italiani, si è dissociata dalla posizione dell’Anci. E’ poi assurdo ritenere che il Governo abbia tentato un’operazione “scaricabarile”, atteso che molti degli amministratori locali militano negli stessi partiti di governo ed è assurdo che i Sindaci lamentino che gli si vorrebbe passare una patata bollente che costerebbe loro molto caro, in tema di consensi elettorali.
Durante la prima fase di lockdown, spesso i Sindaci si sono lamentati esattamente del contrario: di avere cioè le mani legate, tant’è che si lamentarono quando la loro decisione di inibire gli imbarchi da Napoli e Pozzuoli di turisti provenienti dalle zone critiche del Covid, fu impugnata dal Prefetto. Allora, lo vogliono o non lo vogliono il giusto margine di discrezionalità territoriale? E, a questo punto, ritorno ai Presidi. Hanno molte ragioni e non importa che il solito Salvini abbia tentato di strumentalizzare il loro documento in funzione antigovernativa. Però, al pari dei Sindaci, anche loro non devono limitarsi a segnalare le carenze strutturali delle scuole ma devono prendersi tutto lo spazio che a loro compete e coraggiosamente diversificare orari, organizzazioni, turnazioni, tutto quanto in loro potere e nelle loro capacità. Alcuni lo hanno già meritoriamente fatto, altri – più timorosi – attendono istruzioni dall’alto. Ma non sempre ciò che viene calato dall’alto si attaglia alle necessità delle singole scuole, radicate in determinati territori, con carenze infrastrutturali diverse da luogo a luogo.