IL COMMENTO L’acqua termale non è cambiata
DI ANTIMO PUCA
Sulla fiera delle umane pochezze, svetta e s’impone una confortante verità: L’acqua termale non è cambiata. È sempre lei, e continua a fare miracoli. In fondo, è questo quel che conta. Ischia, Caporetto economica e perla del turismo termale, fra aprile e ottobre calamita un bel mondo che dovrebbe ripartire con corde vocali rimesse a nuovo. Luoghi termali da «favola», eppure diversissimi dalle ambientazioni calde, mediterranee, naturalmente associabili all’immaginario collettivo. Ci si allontana dal mare, pinnacoli disegnati dal vento, pareti a picco piene di nidi degli uccelli, pendenze da vertigine o da paura, stradine sterrate. Il termalismo è diviso tra la solarità delle ginestre e il buio delle grotte. Abitazioni rupestri. Gole si aprono alle spalle delle spiagge, di fianco a ruscelli d’acqua che scorrono laterali lungo i sentieri, quasi stessero lì apposta per indicare la strada. Atmosfere cupe e grandiose allo stesso tempo, anche se, non si può tacere, i siti andrebbero tenuti meglio. Per andare a Cava scura è necessario superare il rammarico e procedere per circa 300 metri in fondo ad una specie di canyon, sino ad arrivare a una vera e propria sala termale all’aperto, nota già in epoca greco-romana, intensamente sfruttata anche da Aragonesi e Borboni. Nella roccia sono state scavate delle piccole celle in cui fare la doccia, oltre a delle grotte in cui è addirittura possibile immergersi nelle acque bollenti che sgorgano dalla montagna.
C’è, manco a dirlo, la sauna naturale, per non dire della possibilità esclusiva di sottoporsi a trattamenti di cosmesi naturale con l’applicazione sul corpo di fango ricavato dal contatto dell’acqua termale con l’argilla delle pareti rocciose. Ischia è un geosito unico nel suo genere, risultato di un processo millenario di erosione delle rocce dovuto all’azione congiunta del vento e delle acque meteoriche da cui gli scenari unici delle grotte e degli anfratti naturali cui si è fatto riferimento. Il termalismo ischitano potrebbe benissimo reggere il confronto con ambienti turisticamente molto quotati se solo trovasse posto nell’agenda pubblica la necessità di preservare le specificità ambientali che solo l’isola d’Ischia, per lo meno rispetto alle altre isole del Mediterraneo occidentale, può vantare. Un declino di certe dimensioni viene ovviamente da lontano ed è figlio di una combinazione singolarmente avversa di fattori. A cominciare dalla crisi di quel prodigo stato sociale che a occhi chiusi e borsa aperta, dunque sbagliando, rimborsò per decenni cure termali a piè di lista. Ma contò anche la modificata geografia termale di una clientela che, ormai culturalmente estranea al fascino ‘Belle epoque’ dei vecchi soggiorni curativi, ha via via preferito altre direzioni. Giocò in fine il crescendo rossiniano –dall’Ici all’Imu – delle tasse locali sugli immobili che, agendo su un sistema alberghiero già in sofferenza agli inizi del duemila, gli ha vibrato il colpo di grazia: panico diffuso, raffica di svendite, decisione di molti albergatori di garantirsi un minimo di redditività convertendo i piani bassi degli hotel in parcheggio di richiedenti asilo, nella patetica speranza che gli avventori paganti ai piani alti non s’avvedessero della curiosa convivenza. Fu uno spericolato compromesso fra gli opposti istinti della sopravvivenza e dell’autodistruzione. Quale dei due abbia vinto si intuisce al primo colpo d’occhio. Per carità, niente di male nel preferire il sicuro uovo di oggi all’incerta gallina di domani. Il guaio è che rinunciare alla gallina non necessariamente garantisce che si disporrà dell’uovo.
Ed eccoci alla domanda centrale: quale è stato, nel processo sommariamente richiamato, il ruolo di politici e amministratori, cioè di chi era istituzionalmente delegato a tutelare gli interessi del territorio e a cercare le vie e i mezzi per superare le criticità e le secche in cui si era arenato? A parte un paio di parentesi, politologi hanno pressoché ininterrottamente governato in Comuni isolàni negli ultimi trent’anni. Niente di nuovo sotto il sole. Il termalismo isolano perde a questo punto ogni singolarità e appare perfettamente in linea col più generale trend di un sistema Paese da decenni afflitto da gravi carenze di visione strategica e capacità di programmazione della rotta nazionale sui tempi medio-lunghi. Inadeguate classi dirigenti hanno allegramente cavalcato gli anni d’oro senza convertirne i profitti in investimento strategico sul futuro. E, a crisi deflagrata, non s’è trovato di meglio che privatizzare e svendere asset strategici e beni della collettività per un piatto di lenticchie, retoricamente travestendo un banale bisogno di far cassa, e di farla in fretta, da geniale tributo alla religione del mercato e della sua intelligenza spontanea. In verità la conversione della vecchia politica è stata vistosamente tardiva. E come tutte le conversioni tardive ha messo capo a una quantità di fin troppo zelanti devoti. Pascoli sterminati si sono aperti a qualunque privato, portatore o meno di autentiche capacità imprenditoriali, consentendogli di brindare e soprattutto pasteggiare sul fallimento del sistema pubblico. Le splendide terme di ischia ridotte a ombra di se stesse, incartate nell’eterno standby che tuttora avvolge la ‘art deco’, attendono l’alba della rinascita. Lo scetticismo è d’obbligo di fronte al desolante minimalismo che attualmente penalizza le terme suggerendo che per i nuovi strateghi fare impresa significhi sottrarre invece che aggiungere, spennare fino al minimo sindacale i complessi termali acquisiti invece che potenziarne attrattive e servizi. Cancellata l’aria condizionata, frequentatori e personale sanitario languono in un’insopportabile pentola a vapore. Il termalismo mondiale isolano non trova imbarazzante negare ai frequentatori il conforto di un decente caffè consumato in condizioni decentemente confortevoli. E per una sconcertante modifica del protocollo sanitario può accadere di accedere a terapie senza preventiva visita di controllo, manco una distratta guardatina alle condizioni di naso e gola. Lontani anni luce i tempi in cui i luminari di fama internazionale della direzione sanitaria incrociavano ricerca scientifica e osservazione sperimentale dei benefici termali. Niente di diverso peraltro da quel che accade nel resto di Ischia e nella varietà dei suoi settori. E’ la fine di un mondo, di un’intera civiltà sociale che, pur fra contraddizioni e limiti, aveva espresso serietà professionale, competenza e saputo ragionare anche in termini di autentico bene comune. Sulle sue macerie le spa fioriscono e si moltiplicano come viole a primavera. Acque termali, misure olimpioniche, ambiente spartano e tariffe popolari. Un perfetto mix che oltre al servizio sul territorio, ha per decenni consentito la riabilitazione motoria di una quantità di gente proveniente da ogni parte del mondo. Essere un vanto e un’eccellenza è una colpa da scontare? Evidentemente sì! Le terme isolane sono abbandonate alle ragnatele in nome dell’unica logica che non pare incontrare ostacoli: quel che risponde all’interesse collettivo ma non produce soddisfacente profitto si taglia. Cari politologi, ormai non ho più dubbi: per capire le due fasi dell’Italia contemporanea bastano due semplicissime parole. Prima fase: l’era dell’arrosto, poca retorica del ‘sociale’ ma fatti e concreti servizi a disposizione della comunità. Seconda fase: l’era del fumo, ovviamente successiva alla sparizione dell’arrosto ormai divorato fino all’ultimo boccone. Ma attenzione: i venditori di fumo lo confezionano in così seducenti involucri da riuscire a spillare all’ingenuo avventore termale fior di quattrini affinché un ispirato maestro di vita, incrociando con mirabile sforzo scientifico dati di inoppugnabile validità come segno zodiacale o fisiognomica, gli riveli se per il recupero della salute fisica e interiore gli è più utile fiutare basilico o rosmarino. Ma per fortuna sulla fiera delle umane pochezze, svetta e s’impone una confortante verità: l’acqua termale non è cambiata, è sempre lei, e continua a fare miracoli. In fondo, è questo quel che conta.