IL COMMENTO L’abitudine della menzogna
Così si esprime Friedrich Nietzsche: “La costatazione che la menzogna sia necessaria a vivere, diventa parte integrante della natura terribile e discutibile dell’esistenza”. Entrando nella realtà contemporanea si può dire che la sua acuta riflessione continua ad essere non peregrina ma fattuale. Infatti, nelle relazioni interpersonali, nei luoghi familiari, nella pratica della vita pubblica, nel professare i propri sentimenti etici, religiosi, amorosi, si ricorre alla necessità di essere evasivi, di camminare sui fili sottili dell’ambiguità e della simulazione, tanto da sviluppare l’opportunismo di inventare una quantità di falsità. Ma, parimente, manifestare ed esternare il concetto universale che la menzogna è un atteggiamento sbagliato. Scoprire una bugia comporta il rischio della disgregazione del mentitore al punto da distruggere totalmente la reputazione. La saggezza antica indica che le menzogne non sono soltanto un male intrinseco ma l’anima di chi le pronuncia subisce una contaminazione invasiva. Per cui tale agire costituisce un maledetto vizio. Perché, eliminando la trasparenza delle parole nel dialogare, ci trascina nel non stimarsi gli uni con gli altri.
Comunque a ciò c’è un contraltare di chi riconosce ad essa la facoltà di salvaguardare la privatezza interiore, il pericolo della noia, della disperazione. Esemplare mentitore, in tal senso, è l’Ulisse omerico, capace di aggirare con la sua astuzia fallace, le sirene, il gigante Polifemo, la maga Circe e vari abitanti della sede degli inferi, l’Ade, e portare in salvo la propria vita e quella di parte dei suoi marinai. E qui sopravviene la giustificazione di darle la funzione di protezione da conoscenze che potrebbero alimentare lacerazione e tormenti angoscianti e paralizzanti. Al punto di giungere alla giustificazione dell’effetto benefico della bugia che contrasta con la visione di un’antica sapienza che definisce il menzognero produttore di un duplice crimine; quello di conoscere la verità e buttarla nel nascondiglio e in secondo luogo quello di condurre gli altri, con cinica intenzionalità, verso la lontananza da essa. In tale divaricante controversia Kant cerca di immettere una nobile mediazione. Partendo dal presupposto che la menzogna è sempre completamente inaccettabile, lui mette in campo la considerazione che sarebbe possibile concedere di dire una cosa diversa e meno grave definita la “non verità”, la quale è accettabile nel momento in cui consente di evitare un danno e di ferire in un percorso sentimentale. Ma il filosofo di Konigsberg si trova, inopinatamente, in compagnia dei moralisti religiosi. I quali affermano che la Bibbia, in modo alquanto prudenziale, tende verso la non verità. Così si trovano le espressioni nei “Proverbi”: “chi parla molto non è immune dai toni fallaci per cui è cosa prudente frenare la lingua”. Vuol dire che la non verità è una bugia innocente.
Giunti a questa situazione percepiamo di essere intrappolati in un circolo vizioso. Per uscirne non ci resta che ritornare alle sensazioni di Nietzsche. Cioè stabilire che le bugie, nel momento in cui diventano necessarie per rendere più agibile la quotidianità del vivere, non sono elementi lusinghieri. Ciò implica che le relazioni umane accedono in un labirinto in cui si smarrisce, perennemente, l’uscita che conduce ad essere, strutturalmente, libere dal disagio, dalle tensioni fonti di suscettibilità, gelosia, incertezza. Cosa che stiamo vivendo oggi, in modo devastante, negli ambiti socio-politico, informativo, comunicativo, istituzionale, educativi, economici. Per sperare di superare tale accidentato percorso esiste una strada da attraversare? C’è una possibilità e qual è? Quella di aprire una vasta campagna di impegno civile per eliminare la piaga dell’analfabetismo dello spirito che sta spingendo, sempre di più, verso il disumanesimo crudele. Ci stiamo trasformando in tante deforme configurazioni robotizzate dentro il velo di Maya della torbida oscurità. Da cui emerge un’aridità spirituale che espelle dalla persona lo slancio vitale della trasparenza nell’incontro, nel dialogo con gli altri. Che consente di togliersi i panni sudici del mentire e mettere a nudo la propria fragilità e precarietà in un sublime abbandono di reciprocità misericordiosa. Ecco una probante ricetta per vivere meglio e bene.
* FILOSOFO