IL COMMENTO La primavera Calcidese a Pithecusae come a Neapolis
DI BENEDETTO MANNA
Da pochi giorni siamo entrati nella stagione primaverile del nostro emisfero boreale. Ritorno ciclico delle stagioni, che si ripete dai tempi più remoti e che nei tempi antichi veniva osservato e onorato con attenzione sacra, come i miti e i riti di allora testimoniano. Sembrerebbe una cosa lontana, del passato, che non ci riguarda più. In tale constatazione si evidenzia il profondo distacco che la cultura dominante oggi ha determinato tra noi e tutto ciò che appartiene al mondo naturale e ai suoi processi. Come se non fossimo anche noi fatti di acqua, aria, terra e fuoco, per citare i 4 elementi naturali di Talete memoria. Pertanto ripartirei proprio dal maestro fondatore della scuola ionica e dai suoi allievi, in primis Pitagora, per rimettere in luce un importante periodo storico della nostra civiltà, che ha segnato una svolta epocale di pensiero, di conoscenze, di costume, rivoluzionando modi di essere, che sono appartenuti alle popolazioni della nostra penisola e che si possono riscontrare a partire soprattutto dalla fine del VI sec. a.C. con la fondazione di Neapolis nel 525/520 a.C., dopo Parthenope. Strabone scrive: ”Dopo Diarchia – l’attuale Pozzuoli – c’è Neapolis, fondata dai Cumani, più tardi vi affluirono dei Calcidesi, degli Ateniesi, dei Pitecusani, sicché fu chiamata Neapolis” (Strabone ,V,4,7). Una vera storia della Campania più antica letterariamente si muove dall’affacciarsi di Ulisse nei mari italiani e quindi della presenza greca e delle componenti indigene italiche ed etrusche. Uno scarto di cocciame al Chiatamone fornisce uno spaccato cronologico dell’arco di vita del primo insediamento partenopeo dalla fine dell’VIII sec. a.C. ai primi decenni del V sec. a. C., denotando quanto precocemente i Cumani si fossero attestati su questo versante del Golfo. La città nuova si assesterà nel 470 a.C. a meno di 1 km a nord – est sul pianoro prospiciente la costa dal Rettifilo a Via Foria; a est – ovest tra Mezzocannone e Forcella. Un pianoro degradante verso mare con tenuta all’origine più accidentata con cavoni e con salite di quota, in parte sanate da colmate e terrazzamenti.
Le scoperte archeologiche sul pianoro della città e nell’antico braccio portuale di P.zza Municipio di frammenti ceramici, soprattuttodei decenni finali del VI sec. a. C., indicherebbero l’occupazione permanente dell’area. Le fortificazioni o scavo di Vico Soprammuro fornirebbero un termine intorno al 490 a. C. della Napoli intermedia tra la Partenope di Pizzofalcone e la Neapolis dell’ordito stradale regolare (vedere articolo di sabato 16marzo). La città, nella sua configurazione definitiva, nasce posteriore alla morte del tiranno di Cuma Aristodemo nel 484 a. C., come indica la scelta dei Dioscuri a tutela della Nuova Polis: una coppia gemellare divina ed astrale, pitagoricamente considerata nella sua funzione cosmica di punto d’incontro e di transizione fra l’emisfero semestre che indica inverno e primavera e quello estivo autunnale. In pari tempo nella loro diarchia paritaria, significando politicamente la liberazione dalla tirannide, che invece è occupazione del potere di uno solo. Le fonti suggeriscono una gestazione urbana di Napoli articolata in più momenti, che prevede anche l’apporto di nuovi coloni, per concludersi forse nel 452 a.C. con l’arrivo, imposto da un oracolo, della barca ateniese Diotimo, che rinnova il culto della Sirena Parthenope, che, suicidandosi per non essere riuscita a sedurre Odisseo, si trasforma in divinità, diventando protettrice del luogo che da lei prende il nome, come della sua comunità, oltre che essere protettiva del matrimonio tra cittadini e coloni stranieri. In suo onore si si tiene un agone giovanile: la Lampadodromia. Una corsa con fiaccole che si concludeva col getto delle fiaccole nel mare che bagnava una volta Napoli (all’altezza di Corso Umberto), dove era la Sirena appunto e i cui vincitori significatamene venivano coronati di spighe. Si ricorda che la spiga di grano comparirà anche sui rovesci delle monete neapolitane. In quel tempo dunque Napoli prenderà a battere regolarmente moneta, regolamentando compiutamente gli istituti politico culturali della città.La corona di grano, caratteristica sia di Parthenope che di Demetra, conferma il carattere agrario, legato a Demetra, assunto dal culto neapolitano della Sirena. Dopo il ratto di Ade e la scomparsa della figlia Kore – Persefone, dea della primavera, Demetra corre disperata alla sua ricerca, mimata dalle corse lampadiche. Il dolore della madre per la perdita dell’amata figlia rende la terra arida e improduttiva e la terra torna allo stadio primitivo dell’economia basata sulla raccolta dei frutti spontanei della terra, senza agricoltura, né città. E’ questa la fase in cui la Sirena, già compagna di Persefone, viene trasformata in terribile uccello, per non aver protetto la figlia da Ade, e mandate da Demetra alla ricerca della figlia per mare e per terra e negli inferi. Senza Demetra la terra era destinata a morire. Dovette intervenire Zeus a riportare la pace , obbligando Ade a restituire Persefone alla Madre. Con un compromesso Kore diventa divinità agraria e divinità degli Inferi, trascorrendo sei mesi nel Regno dei morti e sei mesi tra i vivi, nella terra che ricomincia a fiorire: nasceva il ciclo delle stagioni.
In questo contesto dovette rientrare l’influsso di Atene, l’Atena vittoriosa delle guerre persiane, a capo della lega delio – attica, alla ricerca in primo luogo di risorse granarie, oltre il vino e l’olio, delle fertili terrein Campania, dove tra l’altro nel primo quarto del V sec. la ceramica attica raggiunge i vertici per qualità e quantità. L’attenzione degli interessi di Atene spiega il coinvolgimento nella vicenda di fondazione di Napoli. Strabone segnala che al nucleo cumano si erano aggiunti i coloni di Calcide, che è appunto di Atene.Si apre un vasto orizzonte di riflessione, dall’imponente supporto dottrinario, per rintracciare le vie conduttrici di un progetto maturato nel segno della diffusione in Occidente della filosofia e astronomia ionica, in cui attività dell’uomo, geometria della terra e movimento degli astri, si corrispondevano in un’armonia invariante perché regolata dal numero (il pensiero umano passa dal mito al logos).Enti precisi si ravvisano in parecchi pensatori delle colonie calcidesi di Sicilia e dello Stretto (Stesicoro Petronio di Imera, ecc.), ma soprattutto importante in Italia l’arrivo di due esponenti più significativi del pensiero greco del tempo, cioè Senofane di Colofone, stabilitosi a Velia, iniziatore della scuola eleate, e soprattutto Pitagora di Samo, appartenente a quel gruppo di aristocratici giunto in Italia intorno al 530 a.C., fuggendo dal tiranno di Samo Policrate . Alcuni si installarono a Crotone, tra cui Pitagora, ma altri raggiunsero Cuma, che li insediò nell’area della futura Pozzuoli Dicearchia (la città del giusto governo, aristocratico opposto a quello tirannico). Aristocratica era Cuma prima dell’arrivo al potere di Aristodemo. Pitagora che aveva viaggiato l’Oriente, arrivando fino a Babilonia, era stato allievo di Talete, il quale aveva trasposto nella cultura greca le acquisizioni nel campo della geometria piana dei sacerdoti dell’antico Egitto. Lui trovò il modo di misurare l’altezza delle piramidi e misurare la distanza dei velieri in distanza a mare. Talete autorità indiscussa proverbiale. Negli Uccelli di Aristofane la parodia del geometra con regolo e compasso in mano pretendeva di disegnare una città nell’aria, partendo da un cerchio inscritto in un quadrato. Talete conosceva l’Egitto e gli arcani delle sue dottrine, Pitagora quelli dell’Oriente. Il trapianto in Italia di simili personaggi significava acquisire le manifestazioni più alte del pensiero non solo dei greci , ma di tutto il mondo contemporaneo. Per Benedetto Croce il monumento più significativo e importante di Napoli è proprio la sua pianta, non solo l’intrinseca bellezza e razionalità dell’impianto viario napoletano, ma anche il pensiero che ne informava l’intuizione. Il compito che attende ora lo storico è di verificare, con tutti i confronti possibili, quanto l’impianto filosofico ionico pitagorico si fosse organizzato in dottrina, cioè fosse diventato uno strumento operativo in mano a dei tecnici e geometri. Ricerche analoghe a quelle sulla costruzione geometrica della pianta di Napoli sono state condotte in anni più recenti sul centro etrusco di Marzabotto e che ha il vantaggio di trovarsi in un’area campestre esplorabile archeologicamente per intero senza ostacoli. Anche in quel caso l’orientamento per strigas appare determinato in base a rigorosi principi e tracciati con l’impianto di figure geometriche semplici con rettangolo aureo e strumenti altrettanto semplici , come lo gnomone , il regolo e il compasso.
1 – CONTINUA
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