IL COMMENTO La liberazione, ossia rieduchiamoci alla bellezza
DI RAFFAELE MIRELLI
Ognuno di noi ha un piccolo spazio intimo in cui ama rifugiarsi. Da ormai un mese l’isolano osserva da lontano le dinamiche sociali ipertrofiche che devastano lo spazio limitato di questa piccola terra emersa. Ischia, l’isola portata alla ribalta dal terremoto, una pubblicità non voluta ma funzionale, non prevista, che ha dato i suoi frutti con la complicità della situazione pandemica. Da sempre il Sud Italia dona ai suoi ospiti il piacere della dolce vita, degli anni che furono, a tutti. Luoghi magici che, uniti a un atteggiamento naif, fanno breccia nel cuore dello “straniero”. Quella spontaneità dell’italiano meridionale travolge il cuore. Così gli stranieri, assetati di un modo di vivere differente, emozionale, affascinante, acquistano le chimere, i fantasmi di una vita desiderabile.
Ma l’ischitano ad agosto è stressato, conta i giorni, attende la fine di un periodo che trasforma l’isola in un pandemonio. Si sente come un carcerato che desidera la libertà e sa che l’isola non gli appartiene. Un sentimento sano, da custodire. Dopo agosto arriva settembre, il mese della libertà. Lo straniero abbandona finalmente il campo di battaglia: lo sanno i nostri ospiti che quando eravamo bambini i nostri genitori ci accompagnavano al porto per osservare il grande esodo? Le auto piene di valige in ogni dove, i taxi stracolmi, o meglio le “motorette” stracolme, la fiumana di gente che affollava le banchine, i litigi, lo stress degli addetti ai lavori nelle biglietterie, e ancora litigi sui mezzi e i vigili, poveri vigili.
Così, mentre gli spazi dell’isola si allargavano, sui traghetti essi si restringevano, lasciando alle spalle un’oasi di tranquillità e bellezza un po’ fasulla. A settembre gli ischitani sono felici, tirano le somme, preparano la vendemmia. Eppure, anche se godono nel vedere la massa abbandonarli, lasciano segretamente nel cuore un posticino per la nostalgia, come giovani innamorati che si dicono addio al limitar della bella stagione. Ognuno di noi abbandona Serrara Fontana, che diviene uno “state of mind”, un luogo di rifugio, come cantava Billy Joel in “New York state of mind”. La libertà, però, è un abbandonarsi, non un abbandonare. La domanda si pone obbligatoriamente: quando soffriamo smisuratemene di questa mole incredibile di esseri viventi che affollano la nostra isola, non pensiamo a come migliorare il futuro, il nostro “agosto interiore”? A quanto pare no! Eppure, una sana pianificazione dei numeri da accogliere sarebbe forse la soluzione migliore, una limitazione delle presenze. Pensate a questa proporzione: 65.000 abitanti che vivono uno spazio che già sembra affollato nei mesi autunnali e invernali. Fermatevi un momento. Come potrebbe essere l’isola con il triplo degli abitanti? Pensate ad agosto e avrete la visione di un territorio devastato.
Mi chiedo se le amministrazioni possano iniziare a pensare a un reale potenziamento delle attività di gestione e degli addetti ai lavori nei mesi estivi. Mi chiedo – allo stesso tempo – se ci debba essere davvero un limite di presenze per salvaguardare l’ecosistema Ischia. Sarebbe forse la strada giusta, guardare ai numeri e determinarne dei limiti? Potrebbe essere anche funzionale al mercato dell’accoglienza? Immaginiamo un’isola “sold out”. Potrebbe sembrare utopico, ma forse è l’unica soluzione che cammina di pare passo con l’esigenza non soggettiva, ma ben più rilevante, della salvaguardia dell’ecosistema. Ormai è questo il parametro con cui bisogna fare i conti: la nostra isola è bella perché in essa risiede il tempo della natura, se la distruggiamo, non potremmo più abitarla. Ovviamente questo appello non si riferisce solo al periodo estivo. Noi Ischitani dobbiamo apprendere il senso civico: basta gettare i rifiuti per strada, creare discariche ovunque, basta con le decine e decine di autonoleggio, di compagnie che affittano gommoni e barche che distruggono le nostre coste, se vogliamo salvaguardare il nostro ecosistema abbiamo bisogno di rieducarci a una vita più lenta, più naturale.
I nostri nonni avevano la fortuna di non vivere nel consumismo: facciamoci raccontare come vivevano, prendiamo esempio, non possiamo continuare in questo modo.
Il problema non può essere limitato ai mesi estivi. Come isola dovremmo proporre uno stile di vita lento e intenso, un modello unico, da riprodurre. Abbiamo le condizioni per attuarlo e la politica, i nostri amministratori, devono puntare a questo obbiettivo. C’è troppa abbondanza tossica di materiali, persone, mezzi. L’isola non regge più questo impatto. Siamo alla resa dei conti e pensare a una liberazione dallo straniero è davvero inutile. Se ad agosto abbiamo la sensazione di essere degli ospiti, perché l’isola non ci appartiene, perché sono troppe le persone che la scelgono, allora dobbiamo capire come sentirci stranieri sempre. Dobbiamo rispettare la natura di un’isola in passato detta “verde”, dobbiamo cambiare le nostre abitudini e non mercificare – all’esasperazione – quelle tradizioni che hanno bisogno di uomini e donne sapienti, che sanno vivere lentamente, secondo natura.
È arrivato il tempo di dire basta e di cambiare, di non voler perseguire solo scopi personali.
L’isola è un patrimonio condiviso, non una proprietà privata. Diventiamo lenti, altruisti, altrimenti il futuro continuerà – come ho detto in passato – a non esistere: la libertà è un abbandonarsi, non un abbandonare. La liberazione dallo straniero non esiste. Siamo noi ischitani a gestire il territorio e, fino ad ora, non abbiamo fatto un gran lavoro.
* FILOSOFO