LE OPINIONI

IL COMMENTO La cronofrenia dei giovani

Domenica scorsa ho scritto della carica su Ischia di oltre 2.200 giovani studenti di licei coreutici, musicali e degli Istituti di moda, provenienti da varie scuole d’Italia. L’entusiasmo post pandemico di questi ragazzi, la cui voglia di ritrovarsi insieme a tanti altri ragazzi e per di più alla presenza di un pubblico altrettanto entusiasta, sprizzava da ogni poro della loro pelle. Per una strana coincidenza, però, si palesava un contrasto con quanto contemporaneamente stava avvenendo a livello di presentazione ufficiale delle liste elettorali per le elezioni amministrative del Comune d’Ischia. Nelle sette liste aggregate intorno alla (ri)candidatura a Sindaco di Enzo Ferrandino, militano molti volti nuovi e giovanili. Parecchi sono figli di ex politici, di imprenditori, esponenti influenti della società civile, ma pur sempre figli di… Questo, naturalmente, senza generalizzare e senza voler sottintendere necessariamente che trattasi di candidature “per conto di…!”. L’augurio che tutti facciamo è che questi giovani innanzi tutto siano eletti al posto di qualche consigliere decisamente “obsoleto” e che non ha più niente da esprimere (ammesso che finora abbiano espresso qualcosa). Anche se l’analisi fatta da Gaetano Ferrandino sul modo col quale gli “uscenti” hanno praticamente “blindato” la riconferma, lascia pochi varchi alle novità. In secondo ordine l’augurio è che i giovani abbiano voglia non di affermare se stessi ma di affermare il superiore interesse pubblico, troppo spesso dimenticato dall’establishment.

Anche qui, è apparso subito strano che alcuni giovani, pur inseriti nelle liste di maggioranza, hanno espresso pensieri e contestazioni tipiche da esponenti di minoranza. Prendo a caso Alessandro Mazzella (che non ho il piacere di conoscere) ma che ha palesato sui social un’insofferenza verso l’establishment, che mal si concilia con l’appartenenza alla maggioranza. E poi qualcuno degli amministratori ha il coraggio di sostenere che se non ci sono (ad eccezione di Savio) liste di opposizione, la colpa è esclusivamente dell’incapacità di chi avrebbe voluto proporle. Come se non fosse chiaro che c’è stato un ingabbiamento e un condizionamento pesante dell’elettorato, fino a fargli credere che le soluzioni vanno cercate solo all’interno della maggioranza ed anche attraverso una lotta interna senza esclusione di colpi. Queste sono solo le premesse, le “conditio sine qua non”. Il difficile è capire lo spirito odierno dei giovani che si affacciano alla gestione della cosa pubblica, comprendere il “genius” che li ispira, quale sia la “voce di dentro” che le sollecita. E quale idea di paese essi abbiano. Bene, a coloro che disprezzano la stampa scritta, che considerano i giornali stampati poco più che un residuato della vecchia Repubblica, un involucro per avvolgere il pesce acquistato al mercato, vorrei sottolineare quanto scritto da chi considero uno dei migliori giornalisti italiani contemporanei, Antonio Polito che, sul settimanale “7” del Corriere della Sera, ha ripreso – a proposito dei giovani di oggi – un neologismo coniato dalla sociologa Vincenza Pellegrino: “cronofrenia”. Il termine sta ad indicare la schizofrenica contraddizione tra l’ansia giovanile di voler innovare, competere, correre, di cui la società li ha “incaricati” con la mancanza di un “orizzonte di senso” (come direbbe il filosofo Umberto Galimberti). Insomma si va di corsa con la preoccupazione di primeggiare e non farsi superare, senza sapere dove è il traguardo e quale esso sia. Intelligentemente, Antonio Polito intravede l’origine di questa dicotomia nel fatto che si è inceppata l’idea di progresso.

Antonio Polito

Per decenni, l’intellighenzia dominante ha diffuso l’idea ottimistica che il mondo va, inevitabilmente verso il progresso. Si ammette sì che possano esserci dei rallentamenti della storia, delle crisi cicliche, ma che sono destinati poi a risolversi positivamente verso nuove mete, riavviando rapidamente il processo evolutivo. Senonché, ci si è accorti che la Storia è disseminata di “cigni neri”, imprevisti incalcolabili, che possono anche farci tornare indietro, tal che si allontana qualsiasi meta gli uomini si siano razionalmente prefissi. Il mondo non è “razionale” a prescindere. Basterebbe seguire, con un po’ di attenzione, le ultime scoperte scientifiche come la fotografia di un Buco nero di una lontanissima galassia, per capire come la Terra e gli uomini sono un pulviscolo dell’Universo, le cui leggi ancora ci sfuggono e la cui immensità dovrebbe indurci alla cautela dell’imprevedibile. Il mistero dell’Universo è ben più grande di una maledetta pandemia e perfino di una maledetta guerra in atto. Basterebbe questo a ridimensionare la nostra capacità di guidare e condizionare la Storia. Probabilmente i giovani, un po’ più aggiornati delle generazioni precedenti grazie ai moderni mezzi di informazione e comunicazione, magari inconsciamente, introiettano tutta l’insicurezza del futuro. E non mi sembra che oggi la Religione, la Fede qualunque essa sia, riesca a mitigare questo senso di smarrimento. Ma adesso sto presumendo di volare troppo alto rispetto alle premesse, più terrene, da cui eravamo partiti.

Sempre il giornalista Polito osserva che, essendo più incombente sui giovani questo peso dell’insicurezza, rispetto a generazioni mature che l’esperienza ha reso più “vaccinati” alle incognite, si crea una incomunicabilità generazionale. L’idea che hanno i giovani di una “buona vita” non ha più alcuna somiglianza con quella che era la concezione dei loro padri, nonni ed avi. Nemmeno più il lavoro – dice Polito – è per le nuove generazioni un elemento essenziale e imprescindibile. Per loro può essere importante molto di più viaggiare, arricchire il patrimonio di relazioni più che il patrimonio di denaro. In America, dove generalmente i fenomeni si manifestano con anticipo rispetto all’Italia, molti giovani (soprattutto durante la pandemia) hanno lasciato il posto di lavoro e si arrangiano economicamente con lavori intermittenti, fantasiosi e uno dei motivi per cui non si riesce a trovare manodopera in alberghi, ristoranti, negozi (cosa che avviene anche da noi) è che i giovani non vogliono limitare troppo gli spazi di libertà. In molti casi pertanto l’etichetta di “sfaticati” è impropria. Le generazioni precedenti avvertivano il bisogno di assicurarsi un minimo vitale economico per sé e la famiglia e questo li spingeva a sacrifici pesanti. La soddisfazione che si ricavava era tutta nell’aver assicurato alla famiglia un tenore di vita accettabile. Ma oggi è il concetto di “tenore di vita” che è ribaltato. Nemmeno più la casa di proprietà, in molti casi, viene ritenuta essenziale. Anche per avere la libertà di spostamento da un luogo ad un altro. Il giornalista conclude dicendo che, tra i mille modi giovanili di sottrarsi all’obbligo del lavoro a tempo pieno, ci stanno anche la creazione di start up, di speculazione in bitcoin, sistemi del tutto sconosciuti alle vecchie generazioni. Per cui la conclusione è che è enormemente difficile perfino comunicare tra generazioni, essendo le distanze tra i modi di pensare e gli approcci di conoscenza, quasi incommensurabili, come le distanze dell’Universo. E come nell’Universo, nella galassia intergenerazionale, al centro, c’è un “Buco nero”.

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