IL COMMENTO Ischia e la gioventù desiderata
DI LUIGI DELLA MONICA
Il principe Antonio De Curtis ci ha regalato questa meravigliosa canzoncina che ho sentito qualche volta recitare a squarciagola dai giovani che oggi non lo sono più, ma che lo erano al tempo della diffusione di questo inno alla gioia che scrisse e musicò il nostro amatissimo “Totò”. Alla luce delle ultime vicende occorse al Liceo “Buchner” mi sono domandato quale gioventù noi desideriamo che debba popolare l’isola, visto che il Mondo appartiene a loro. Quale icona di giovane dobbiamo prefigurarci noi adulti. Il discoboro, il bronzo di Riace, il David di Donatello sono immagini plastiche e classiche del bello di genere maschile immaginato dagli antichi e per quello femminile potrei citare la Venere di Milo, oppure la meraviglia neoclassica del Canova, Paolina Bonaparte. Nelle trasmissioni televisive degli ultimi vent’anni vi è stata una ricerca spasmodica e vacua della immagine a dispetto della sostanza, dell’empatia, della spiritualità e della cultura. Ergo sembrerebbe che oggi un genitore dovrebbe innanzitutto attendersi la bellezza dal figlio\a e tutto il resto verrà da sé.
Ischia non fa eccezione alla regola, se non perché è un contesto ameno e privilegiato, in assenza di realtà malavitose organizzate come nella terraferma, che potrebbero inquinare la crescita giovanile: i ragazzi sono fortunatamente seguiti dalla famiglie, dalle istituzioni scolastiche e dalla comunità in senso ampio. Non sto dipingendo un quadro illusorio, distante dalla realtà concreta, ma l’isola ha tutto per allevare ed educare i giovani in piena serenità, potendo essi godere di un ambiente ecosostenibile in armonia con cultura, sport, tempo libero e svago, senza necessità di andare in terraferma se non per turismo familiare o scolastico. Una sorta di “Paradiso della Gioventù”, appunto come evocato dal principe De Curtis. Questi sapori ed odori di tranquillità sono ancora più forti, se paragonati al dolore che i giovani ucraini stanno patendo, per la sciagura della guerra di Putin e spero che un giorno così rimarrà, perché i russi meritano ancora il beneficio del dubbio sulla accettazione di questa barbarie. Due ragazze appena ventenni, piangevano a dirotto, perché avevano lasciato indietro e non sapevano se mai avrebbero più rivisto la mamma. Lacrime che sono esattamente speculari a quelle dei coniugi superstiti o dei genitori delle insegnanti e dei bimbi periti nella strage di San Antonio in Texas, dove l’uso libero delle armi ha dato facoltà ad un diciottenne un tempo vittima di bullismo, per la sua balbuzie, di uccidere delle anime candide ed innocenti, per manifestare vendetta verso la società che lo aveva emarginato. Pianto assente dal volto del giovane soldato ventunenne russo, il quale dichiarato colpevole di omicidio, perché abusando e violando la propria funzione di soldato ha commesso crimini contro l’umanità, macchiandosi di stupri ed assassini di civili inermi. Ancora sgomento e riprovazione si avvertono nell’apprendere la notizia dell’omicidio di una mamma premeditato da un triangolo vizioso e pernicioso fra due figlie sorelle ed un fidanzato comune, che si volevano appropriare dell’ingente patrimonio, gestito a loro dire in maniera tirannica dalla vittima assassinata con modalità di tortura.
Tutto quanto descritto sarà certamente anni luce lontano dalla nostra amata isola, culla di giovani brillanti menti. Eppure ci troviamo di fronte all’imbarazzante gesto, che è costato carissimo al suo artefice, di indirizzare epiteti sconvenienti ed antisociali verso un’opera d’arte che ci ha donato il noto Jorit. Nel caso specifico, non intendo condannare alla gogna mediatica, ovvero assolvere indiscriminatamente il suo responsabile, che non cito volutamente con il suo nome, ma pongo l’interrogativo categorico: come è potuto accadere e, soprattutto, perché non c’è stato subito spazio al possibile perdono, oppure alla comprensione del pentimento? Ricordo che al tempo delle feste romane, allorquando l’imperatore mostrava il pollice verso l’alto per risparmiare la vita al gladiatore sconfitto applicava la c.d. pietas, concetto complesso che evocava al tempo stesso clemenza e magnanimità dell’unico detentore della vita e della morte sui sudditi, la cui autorevolezza si accresceva ancora di maggior contenuto se lasciava salva l’esistenza di un individuo destinato alla sicura eliminazione fisica.
Allo stesso tempo, il cristianesimo ha insegnato all’umanità la virtù salvifica del perdono e della comprensione per chi abbia commesso un errore, inducendolo al pentimento ed alla riparazione al suo sbaglio. Francamente, pur essendo infarcito il nostro ordinamento, tanto costituzionale, tanto primario, di norme precettive in termini di rieducazione e riabilitazione del presunto reo e del condannato, ho assistito ad una operazione missilistica di precisione atta ad individuare un singolo, isolato nell’isola, quale specifico responsabile, senza dare spazio al medesimo di difendersi. In pratica, è avvenuto un processo mediatico, via social, di passaparola, che ha avuto il pretesto di affermare che il razzismo ad Ischia non può esistere e non poteva esistere, se non nella mente di uno solo che doveva essere emarginato. Questo è un madornale errore. La meditazione a farsi è come nella mente eccellente del presunto responsabile si sia generata una tale reazione, senza che abbia avuto gli strumenti intellettuali per fermarsi prima dell’irreparabile, ma anche perché la sanzione del furor di popolo è stata così corale ed inesorabile.
Non sto assolutamente affermando che si tratta di una ragazzata e le Autorità dovranno procedere secondo le loro attribuzioni di legge, ma sinceramente intendo affermare che non ci si può illudere che un tale episodio si sia generato casualmente. Il ragazzo è uno di noi, figlio di persone come noi, che come noi, che se sbagliamo devono essere messe in condizione di riparare, ma ricevere una sanzione equa, proporzionata e non appesantita da una violenza mediatica smisurata. In questo la comunità locale, le istituzioni scolastiche, la Magistratura devono essere vigili ed efficienti, perché per il Nostro Ordinamento Costituzionale la forza, la coercizione, la brutalità, l’esecuzione di una pena è affidata dai cittadini secondo il patto sociale allo Stato. Questo deve gestire le onde anomale di ferocia, non solo fisica, ma anche virtuale e morale, che una reazione collettiva ad un singolo gesto inappropriato possono portare al linciaggio del suo presunto o reale autore. Dobbiamo porci l’interrogativo su che tipo di giovani debbano abitare l’isola. La cultura dell’antifascismo può legittimare una altrettanta violenza annientatrice dell’apologia del fascismo, al punto da rinnegare i principi cardine del medesimo antifascismo del perdono, della tolleranza, della pietà e della funzione rieducativa della pena?
Gli epiteti contro il bellissimo murales di “Santa Restituta”, il cui simbolismo inclusivo citavo in un mio precedente articolo del mese di maggio, sono certamente esecrabili e perseguibili, ma non costituiscano uno strumento per accantonare con sterile ipocrisia che vi sia un’emergenza sociale e culturale in tutta la gioventù contemporanea, senza fare eccezione quella isolana, pur se fortunata rispetto ad altre. Abuso di alcolici, taluni episodi di violenza familiare in timido accrescimento, diffusione della cocaina nella media nazionale, eventi tragici di incidenti stradali specialmente nelle ore notturne, accoltellamenti per futili motivi… Mi viene da pensare che proprio tanto bello il mondo occidentale non sia come ce lo immaginiamo, se critichiamo Putin per aver fatto piombare l’umanità nell’oscurantismo neonazista ed aver plasmato un assassino di 21 anni, mentre sulla nostra isola, peccando di superbia del buonismo non siamo attenti, avveduti e lungimiranti a cercare una misura correttiva del singolo gesto da condannare, ma soprattutto a prevenire la nascita del germe della ignoranza e della barbarie morale nelle giovani coscienze. Il sistema sanzionatorio è efficiente ed inesorabile, quello di cui peccano fortemente le istituzioni, le unioni familiari, i genitori ed i tutori devono avvicinarsi ai bisogni della gioventù, ma questa deve essere posta sulla strada della comprensione che la rabbia, l’ira di non essere compresi nella società della globalizzazione che dissolve ed annienta i talenti del singolo, non si cura con l’odio e la sopraffazione dei deboli, con lo scontro generazionale.
Se non si trovano più giovani in grado di spaccare le pietre, in senso figurato, per cambiare il Mondo, allora è il caso di chiederci se questa dimensione di felicità del modello occidentale non sia il rovescio della medaglia della stessa barbarie russa. Discorso di fine anno Sandro Pertini 1983: “Battetevi sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale, la libertà senza giustizia sociale non è che una conquista fragile. Bisogna che la libertà sia unita alla giustizia sociale. Sono un binomio inscindibile. Lottate con fermezza, giovani che mi ascoltate, perché lottate per il vostro domani e per il vostro avvenire, ma siate sempre tolleranti. Lottate con la passione con cui ho lottato io e lotto ancora oggi, nonostante gli anni, per le vostre idee e per questi principi, ma io vorrei che teneste presente un ammonimento di un pensatore francese dico al mio avversario, io combatto la tua idea che è contraria alla mia, ma sono pronto a battermi sin al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, la possa esprimere sempre liberamente.”
* AVVOCATO