Non bastava la tendenza a vivere e lavorare in solitudine, convinti di poter fare da soli, rosi dal dubbio che la condivisione sia roba da deboli e depressi. Non bastava la difesa dei propri interessi e la chiusura a qualsiasi ipotesi di aggregazione e coesione sociale, cooperazione, semplificazione amministrativa, fusione dei Comuni. Ci si è aggiunta un’altra anomalia a rendere la vita più amara sull’isola d’Ischia. Abbiamo perfino imparato a conoscere il “mal di vivere”, un buco dell’anima, indecifrabile, incomprensibile, che sta portando al suicidio troppe persone. Ma c’è uno stadio intermedio che non avevamo ancora individuato: il disprezzo (o la sottovalutazione grave) degli altri. Ma chiariamo cosa s’intende per “disprezzo”. Secondo il vocabolario Treccani, è “il sentimento di chi, giustamente o ingiustamente, ritiene una persona troppo inferiore a sé o comunque indegna della propria stima”. Non ci riferiamo agli improperi, alle ingiurie, che si manifestano spesso sui social. Sappiamo che lo strumento binario del “con me o contro di me” porta a divisioni e divaricazioni laceranti. Ci riferiamo alla vita reale, non virtuale.
Farò alcuni esempi per meglio esplicitare il concetto, sottolineando preliminarmente che protagonisti di questa nuova forma di “annichilimento” degli altri viene praticata non solo da soggetti con povertà di retroterra culturale ma anche da persone che rivestono ruoli e funzioni rilevanti. Il primo esempio è nel campo dei trasporti marittimi. In questi giorni ho avuto il piacere di essere intervistato per un filmato che l’Alilauro ha commissionato ad un pool di giornalisti locali e comunicatori vari, sulla figura di Agostino Lauro. Ne sta nascendo un indubbio quadro positivo e di gratitudine per colui che possiamo, a giusta ragione, considerare un “pioniere” dell’economia e del turismo ischitano. Ma tale “ricordanza” ci dà anche l’occasione per capire come oggi si confondano tempi e modalità di esercizio di un’attività. Tutti noi (almeno quelli di una certa età) eravamo abituati alle coraggiose partenze (anche con navi non proprio adeguate) di Agostino, con ogni condizione meteomarina. Chi studiava all’Università, chi faceva il corriere, chi lavorava a Napoli o viceversa chi si spostava per lavoro da Napoli a Ischia, poteva contare sul coraggio e la personale assunzione di responsabilità di Agostino, che sfidava qualsiasi mare. Oggi non è più così e non potrebbe essere così. La responsabilità della partenza di aliscafi o traghetti spetta esclusivamente ai Comandanti del mezzo navale. Si dà il caso che viene imputata alle compagnie di navigazione del golfo la volontà di sopprimere deliberatamente molte partenze, non per il tempo avverso, bensì per risparmiare i costi di corse ritenute non remunerative. Ora, quello che io vorrei difendere non è l’onore degli imprenditori (che pure va rispettato) i cui interessi economici potrebbero spingere a scelte egoistiche, ma vorrei difendere l’onorabilità dei comandanti di navi e aliscafi. Quando, senza perplessità e dubbi, si lancia l’accusa che “deliberatamente” le compagnie non fanno partire navi e aliscafi, si offendono i comandanti. Li si considerano “pedine” e servi sciocchi degli imprenditori marittimi. E’ un’intollerabile forma di disprezzo o di mancanza di rispetto nei riguardi di lavoratori che svolgono un mestiere difficile, soprattutto in un mondo che è più attento del passato alle norme di sicurezza e che sconta, più del passato, l’insidia dei cambiamenti climatici e l’imprevedibilità della natura, che rendono la vita degli operatori del mare più difficile di prima. Tutto questo non ha proprio nulla a che fare col dovere della Regione Campania e degli Enti locali di sorvegliare e tutelare gli interessi degli utenti, facendo rispettare gli impegni e gli oneri delle Compagnie di navigazione.
Secondo esempio: una brava ex dirigente scolastica isolana, in un’intervista ad altro quotidiano locale, volendo analizzare la portata della DADA (Didattica per Ambiente Di Apprendimento) finisce, a mio avviso, per offendere o, quantomeno, sottovalutare la capacità degli studenti di avere un atteggiamento corretto e responsabile. Cosa dice la Preside? Che è assurdo il capovolgimento, che si vuole creare, facendo muovere gli alunni da ambiente ad ambiente, secondo le materie di studio, e facendo restare immobili sul posto i professori, mentre oggi è proprio il contrario: alunni fermi nella stessa aula, i professori si spostano. E’ una tesi rispettabile; non è questo che vogliamo mettere in discussione. Quello che ci sorprende e ci amareggia è che , a supporto della tesi sostenuta, si afferma: “Immaginiamo la scena. Al suono della campanella i ragazzi rumorosamente si alzano. Alcuni prendono un pesante zaino, altri un libro (quello giusto?) qualcuno un tablet (magari scarico), c’è anche chi non prende nulla…Chi si ferma a parlare con una bella compagna, chi ne approfitta per andare ai servizi, chi ne approfitta per andare alle macchinette o sgattaiolare nell’ufficio dei bidelli. Qualcuno potrebbe anche fare una puntatina a casa, annoiato dalle troppe lezioni”. E così via, sullo stesso tono. Ora, con grande rispetto per la Preside, che necessità c’era ,per dimostrare una tesi sulla didattica, di irridere o, quantomeno, sottovalutare la capacità degli alunni di autoregolarsi e comportarsi in maniera corretta ed educata? Non sacrifichiamo i ragazzi sull’altare delle polemiche, per quanto giuste e giustificate possano essere! Altro esempio: l’intervento di Antonio Buono, portavoce nazionale del Movimento scelta etica, cacciatore e capo di varie Associazioni e Fondazioni etico-venatorie. Lancia una violenta accusa verso CO.RI.VERDE (Associazione per la rigenerazione dell’isola verde), non ne fa il nome ma le citazioni son inequivocabili, in quanto “i rigeneratori del verde” si sarebbero svegliati tardi, quando cioè l’Epomeo è – a suo avviso – irreparabilmente compromesso. “Dove eravate allora, quando l’isola diventava grigia grazie al cemento selvaggio?… E dove eravate quando facevate ninna nanna allorquando si creava il Parco Marino ancor prima che un sol depuratore sorgesse per decantare le acque reflue dell’intera isola?… Infine sappiate che sa tanto di favola smarrita, ormai sa soltanto di buffonata la salvaguardia del Green”. E poi definisce “arroganza” il suggerimento dell’istituzione del Parco, perché solo chi vive sull’Epomeo può parlare.
Beh, abbiamo una concezione dell’etica un po’ diversa da quella di Buono. E rigiro la domanda che lui pone a noi: “Dov’era lui e cosa ha fatto perché la natura non fosse aggredita dal cemento selvaggio e dall’incuria?” CO.RI.VERDE, in quanto Associazione, è sorta dopo la doppia calamità di terremoto e alluvione, per cui lo scopo del Parco Regionale Protetto del Monte Epomeo parte innanzi tutto da un’esigenza di sicurezza, attraverso una cura del territorio. Ma i singoli aderenti a CO.RI.VERDE hanno una storia pregressa dimostrabile di cittadinanza attiva, a cui non sono certo sfuggite le emergenze dell’isola. E poi ci chiediamo: ma se davvero l’Epomeo e l’isola sono irrimediabilmente compromessi, come sostiene Buono, perché sostiene che chi vive e frequenta l’Epomeo (come i cacciatori) sono gli unici titolati a parlare e decidere delle sorti future del Monte? Che cosa devono salvare e tutelare, se si è convinti che non c’è più nulla da salvare? Aumenta il dubbio che incalzi il disprezzo, l’intolleranza per le idee e i progetti altrui. Chiudo con le emblematiche osservazioni di un grande poeta, scrittore e filosofo francese, Paul Valery: “Guardando bene, ci si rende conto che nel disprezzo v’è un poco di segreta invidia. Considerate bene ciò che disprezzate, e vi accorgerete che è sempre una felicità che non avete, una libertà che non vi concedete, un coraggio, un’abilità, una forza, dei vantaggi che vi mancano, e della cui mancanza vi consolate col disprezzo (Paul Valery – Cattivi pensieri).