IL COMMENTO Il coprifuoco

DI LELLO MONTUORI

Potrei dire che cenare tranquillamente alle 19.30 sarebbe di grande giovamento per la mia esofagite da reflusso e che leggere un libro in casa o guardare Sky Cinema fino alle 22.30, per poi addormentarmi magari prendendo qualcosa per conciliare il sonno, fa miracoli. Il coprifuoco non sarebbe un mio problema. Lo diventa perché mi sento parte di una comunità che dovrebbe essere o sentirsi solidale. Un problema grave per le migliaia di persone, piccoli imprenditori e imprese familiari, titolari di attività che sono il nerbo dell’economia italiana che non si regge sul pubblico impiego e sugli aiuti di Stato, come il reddito di cittadinanza, ma vive dell’intrapresa e della capacità individuale e collettiva di far spendere, di aumentare i consumi, di alimentare il circuito della domanda e dell’offerta, per creare ricchezza e benessere e che non può essere frustrato dalla incapacità o dai ritardi dello Stato nell’organizzare, con tutti i suoi uomini e mezzi, una campagna vaccinale a tappeto che riduca il rischio di contagio per la popolazione fragile e per chi può aver bisogno di cure. Non si tratta di ostinazione intellettuale verso provvedimenti certamente liberticidi. Come quello che ci impone di stare alle 22.00 tutte le sere a casa. Nemmeno di un senso personale di claustrofobia serale.

Dalla mia casa in campagna potrei sopportare un coprifuoco di mesi senza pregiudizio, forse nemmeno psicologico, se avessi la costanza di salire e scendere un pendio dove non passano a quell’ora manco i cani. Potrei anche recuperare un po’ di linea. Mi riesce tuttavia difficile capire come si possano non vedere le ragioni che impongono un’immediata inversione di tendenza nelle politiche del Governo, almeno in questa fase della emergenza pandemica, con una stagione turistica alle porte. Il paese è sull’orlo del baratro economico. O magari ci è già dentro. La nostra isola pure. Senza una stagione turistica – almeno come quella che abbiamo vissuto nel 2020, che pure è stata per certi versi assai breve e forse non economica – molte imprese piccole e medie rischiano di non riaprire, buona parte dei lavoratori stagionali potrebbero restare a casa e non percepire alcun sussidio per il secondo anno di seguito. Perché sfidare la capacità di sopportazione delle piccole imprese italiane, titolari di migliaia di attività di bar e ristorazione, di strutture turistiche, di svago ed evasione, che sono da sempre il motore dell’economia del bel paese, con questa assurda idea – protratta ancora non si sa per quanto tempo- del coprifuoco fissato alle ore 22.00, quando è oramai dimostrato che la capacità di propagazione del virus all’aperto è assai attenuata?

Perché, invece, non investire in assistenza medica domiciliare ai malati COVID, al fine di evitarne l’ospedalizzazione? Perché non investire in posti letto di terapia sub intensiva ed intensiva in modo da essere pronti a fronteggiare eventuali necessità di nuovi casi, e continuare, invece, con questa assurda logica delle restrizioni che mortifica l’economia e comunque non elimina del tutto i contagi? Perché, di fronte alle giuste proteste di chi non chiede altro che di poter lavorare, si continua con questo mantra del superiore ‘diritto alla salute degli anziani e dei fragili’ come se chi chiede di lavorare, volesse vederli sottoterra o attaccati alla bombola di ossigeno, fregandosene del prossimo? Perché non rendersi conto che è una rappresentazione assurdamente distorta che sovverte i termini del problema, facendo passare per carnefici quelle che sono solo altre vittime? Ma è così difficile capire che le vittime di questa pandemia oltre i morti e i malati di COVID, sono le centinaia di migliaia di persone che non hanno più un futuro per se stessi e la propria famiglia? Che vedono vanificati anni e anni di lavoro e sacrifici per restrizioni alle quali non credono e che potrebbero essere in parte superate adottando protocolli razionali e non inutilmente punitivi?

Non si tratta di alimentare un pericoloso processo di rimozione collettiva. Il COVID esiste e può essere mortale. C’è chi il COVID ha messo in conto di poterlo prendere. Magari usando tutte le cautele, ma continuando a lavorare in presenza dal primo giorno del primo caso di Codogno. C’è chi si è prenotato per il vaccino che farà quando sarà il suo turno. C’è chi non teme affatto AstraZeneca né per sé, né per i suoi. C’è chi non alimenta alcuna protesta antiscientifica. La maggior parte di chi chiede di ripartire intende vaccinarsi e sarebbe disposto a farlo subito. Se vi fossero i vaccini per tutti e chi deve inocularli. Ma nel paese crescono fermenti, inquietudini, rabbia, manifestazioni, proteste che evidentemente è più comodo ostinarsi a non vedere. Ossessionati come si è dall’idea che preservare fragili e anziani sia l’unica cosa di sinistra, e che dall’altra parte ci sia la destra degli aperitivi e delle aperi-cene delle signore maculate, private del pedicure e dei massaggi di muscolosi terapisti tuttofare. È una rappresentazione cabarettistica fatta evidentemente a fini consolatori o per dividere il paese in modo manicheo.

Ad Ischia serve, tutto. Serve il Festival del Cinema e serve il Global Festival. Per dire di due appuntamenti assai apprezzati. Perché all’isola serve quell’indotto. Servono i congressi e Andar per Cantine. Servono i turisti dei sentieri, le cure termali e i bagni sui lidi in concessione. Agli operatori servono le cene estive al ristorante, quelle che cominciano alle 22.00 e si protraggono ben oltre mezzanotte. Serve una stagione turistica che vada ben oltre il 31 Agosto con alberghi pieni almeno per metà, e ristoranti aperti con tavoli distanziati. Serve tutto, come l’aria per respirare. E se per avere tutto questo bisognerà ancora convivere con il COVID e con protocolli razionali, lo si farà lo stesso. Purché le persone siano libere di uscire e andare in ogni esercizio pubblico e far ripartire i consumi che non sono il demonio ma il motore della economia che abbiamo costruito, senza la quale ritorneremmo nelle caverne col baratto.

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