DI ANTIMO PUCA
In una scena della Terrazza, il film di Scola, un intellettuale militante nel Partito comunista, splendidamente interpretato da Vittorio Gassman, lacerato fra l’amore per la moglie e la famiglia, il senso del dovere e dei legami e la passione per un’altra donna, si chiede, durante un Congresso nazionale del Pci, se sia lecito essere felici causando l’infelicità di altri. Nel montaggio del film, questo smarrito e radicale discorso esistenziale viene tenuto dinanzi ai volti severi, turbati ma composti dei silenziosi grandi leader che hanno guidato, fra tante battaglie, errori e grandezze, il cammino di una formazione politica protagonista, nel bene e nel male, della Storia del Novecento. I volti di Napolitano, Amendola, Ingrao, Berlinguer e molti altri che ascoltano quella domanda senza risposta. L’episodio è naturalmente inventato e mai sarebbe stato verosimilmente possibile. Ma sarebbe pure impensabile collocare una simile scena nel congresso di un altro partito; è ridicolo immaginare, dietro il volto devastato eppure deciso di Gassman che chiede ai compagni la risposta a una domanda che lo dilania, i volti di Fanfani, di Andreotti, di Craxi o di altri leader di partito. In ogni caso, forse soltanto la generazione politica della Resistenza non stonerebbe quale coro muto e intenso di quella domanda, perché quella generazione, aldilà delle durissime divergenze politiche fra le sue varie componenti — cattolica, repubblicana, azionista, liberale, socialista — si era formata in un pensiero forte, in un clima in cui politica e morale, vita sociale e vita individuale rappresentavano o si pensava dovessero rappresentare un’unità.
Oggi quella scena, dinanzi alle facce dei leader e dei parlamentari attuali di ogni partito, sarebbe un lazzo da penoso avanspettacolo. In quell’istanza di unità organica fra politica ed etica, vita sociale e vita individuale, si annidava pure il totalitarismo comunista, quello di cui abbiamo temuto e cercato di impedire che potesse prendere il potere; quello che nella sua storia in tanti Paesi si è coperto di gloria ma anche di orrore tirannico e non solo con Stalin. Ma ci doveva essere pure un lievito morale, una pasta umana particolare in quel movimento, se ad esempio un vitale e sanguigno scrittore ferocemente anticomunista come Guareschi dipingeva i comunisti come più schietti e veri degli altri; faceva di Peppone un uomo più buono di don Camillo, l’uomo che si commuove per la Patria e costruisce il Presepe, il capo del Partito comunista del piccolo paese emiliano che, contro l’opinione faziosa o melliflua di tutti i consiglieri del comune di cui egli è sindaco, ordina che la maestra monarchica del paese sia sepolta con la sua bandiera monarchica, come voleva. Leggendo Don Camillo, si desidererebbe essere governati da Peppone e dai suoi, nonostante le violenze perpetrate proprio in quelle zone, negli anni terribili intorno alla fine della guerra, da formazioni comuniste. Quella cultura — quel senso della vita, del lavoro, della solidarietà, dell’umano — che scorre come una vena nel grande Partito era, è una linfa preziosa, forse necessaria alla civiltà di un Paese. Vitale pure per i non comunisti e ora apparentemente inaridita insieme a molte altre grandi tradizioni etico-politiche.
“Eppur si muove!” Certo ci si sarebbe aspettati qualcosa da un governo che sinora non ha fatto altro che vivere della rendita di quello precedente, ci si sarebbe aspettati almeno qualcosina sulla crescita dopo l’austerity. Certo un aiutino l’eurocrazia ce l’ha dato. Un po’ come lo strozzino che deve mantenere in vita il suo debitore, perché di un morto non sa proprio che farsene. E così è stata chiusa la procedura per deficit e gli eurocrati che ci governano da Bruxelles hanno deciso di riattaccarci per qualche mese alla bombola dell’ossigeno. Il nostro governo ha invece cose ben più urgenti di cui occuparsi e riguardo all’economia ci si è limitati a rinviare come per gli esami di riparazione, e a discutere di eventuali aumenti tanto per favorire i consumi. No, a qualcuno dei milioni di disoccupati, cassaintegrati, suicidati, giovani in attesa di primo impiego, studenti con tasse da pagare spropositate, piccole medie imprese che ogni giorno chiudono i battenti, no, di tutto questo non gliene frega proprio nulla. È un’altra Italia questa, che qualcuno non vuol vedere. Ai partiti liquefatti che tengono sempre meno (guardate bene i risultati elettorali delle comunali e le perdite consistenti anche di quel partito che oggi, di fronte a un astensionismo senza precedenti, sostiene di aver vinto le elezioni) deve corrispondere un paese liquefatto. Questo c’è già, ma bisogna dargli il colpo di grazia mutando quelle regole fondamentali che esso si era dato dopo la fine della Seconda guerra mondiale e preparando una svolta autoritaria nelle nostre istituzioni democratico parlamentari. Intanto il pdmenoelle si divide al suo interno persino sulla necessità di sostituire il porcellum, timoroso dell’ira di Berlusconi. Le costituzioni non nascono come i funghi, ma sono il prodotto di un rivolgimento presente all’interno di un paese.