IL COMMENTO Gli opposti estremismi
Non sempre Wikipedia, enciclopedia online a costruzione diffusa, riporta la definizione corretta di un termine. Non sempre i contributi apportati dagli utenti all’enciclopedia vengono controllati e selezionati. Nel caso dell’espressione “opposti estremismi” su wikipedia, ci sono delle imprecisioni. Si va dall’idea di una strategia che i partiti centristi misero in atto, fin dagli anni 40, per un patto tacito o esplicito di emarginazione delle forze radicali ed estremiste di destra e sinistra, e si arriva poi all’idea di una “convergenza inconsapevole” (Moro avrebbe detto “ convergenza parallela”) negli atti di violenza politica di destra e sinistra radicali. Non è differenza da poco. Uno dei primi politici che usò tale definizione fu Giuseppe Saragat, in occasione dell’uccisione dell’agente Antonio Donnarumma a Milano, nel novembre del 1969. Poco dopo (dicembre 1970) il termine fu usato dal Prefetto Libero Mazza in un Rapporto al Ministro dell’Interno Franco Restivo, a proposito degli scontri tra il Movimento Studentesco e le forze di Polizia. Stava nascendo quella sinistra extraparlamentare dalla quale ebbe origine il movimento terroristico delle Brigate Rosse. Ci furono molte polemiche, nel mondo politico, dell’informazione e dell’opinione pubblica, in quanto il Rapporto sembrava voler mettere in parallelo la violenza neofascista con quella radicale di sinistra, Molti ritenevano che era assurdo trattare i due estremismi allo stesso modo, in quanto quello neofascista era chiaramente in contrasto con la XII Disposizione della Costituzione che prevede l’illegalità della ricostituzione di un partito dittatore che la Nazione aveva già conosciuto e condannato. Nelle polemiche sfuggì una verità che oggi dovremmo tutti riconoscere: anche se questi estremismi partono da assunti completamente diversi, arrivano alle stesse drammatiche conclusioni: “cassér l’Etat “ (squassare lo Stato).
E allora non dobbiamo meravigliarci se nelle proteste violente che sono scoppiate giorni fa – in clima di Covid , in varie città italiane (e che temo continueranno nei giorni avvenire) capita di trovare, nelle stesse piazze, neofascisti e centri sociali, estremisti di destra e di sinistra, che “scassano” insieme le vetrine dei negozi, le auto, gli ingressi delle banche e le sedi di Associazioni. E’ difficile credere, se si assale la sede di Confindustria, che si voglia difendere la libertà economica e il diritto ad esercitare il proprio lavoro, e la propria attività. Il vero scopo di tutti questi “casser” è, appunto, “distruggere” ogni simbolo di una società che non si vuole accettare, senza avere la minima cognizione di quale “società alternativa” si voglia. In questo momento storico politico non credo che da un lato ci sia una destra estrema che punti alla “strategia della tensione”, il cui obiettivo dovrebbe essere la svolta dello Stato in senso autoritario e che a sinistra ci sia la voglia di indirizzare la società verso un modello di comunismo. Credo che prevalga, in entrambi gli estremismi, soltanto la difesa di un individualismo anarcoide, sordo ad ogni coesione, condivisione, comunione d’idee. Alcuni di essi sventolano la bandiera tricolore ma non per esaltare lo spirito unitario patriottico bensì per allontanare l’idea di patrie più grandi, come l’Europa. Qualcuno fa la scelta di vivere in “comunità” ribelli e fuori da ogni convenzione, ma non per riscattare i disagiati, i poveri, gli emarginati ma, al contrario, per auto emarginarsi e per rifiutare una società che non vogliono, per vivere in uno stato di libertà assolutamente fuori da ogni regola. Ecco perché gli estremi si toccano. Basta esaminare con attenzione le parole d’ordine leggibili sui loro cartelli di protesta, basta leggere alcuni post di estremisti di destra e di sinistra per capire come, alla fine, arrivano alle stesse drammatiche conclusioni.
Ciò non vuol dire affatto che viviamo nel migliore dei mondi possibili e che non ci si possa impegnare per una società più giusta, ma fino ad oggi nessuno ha saputo trovare un metodo diverso e migliore del “riformismo”. Riforme anche profonde che, una volta, si definivano correttamente “riforme di struttura”. Se anche gli intellettuali che si piccano di fungere da mosche cocchiere si abbandonano ad estremismi parolai, a difesa strenua di una libertà considerata minacciata dal Leviatano o da novelli Moloch che invocano vittime sacrificali, allora è davvero il caos. Mi si consenta una parentesi distensiva sul termine “ mosche cocchiere”. Esso nasce da una favola di Fedro (poi Jean de La Fontaine ne scrisse una analoga) che vede protagonisti una mosca e il mulo. La mosca si posa sul muso del mulo che traina un carretto e si bea del bell’andare dell’animale, pensando di essere lei a guidarlo, senza accorgersi che è invece il cocchiere che, con la frusta, guida il carretto. Ecco la parabola, l’illusione – molte volte – degli intellettuali di poter condizionare il Potere, che invece se ne va per conto suo. Successivamente l’espressione “mosca cocchiera” fu utilizzata da Antonio Gramsci, nei Quaderni dal Carcere, per indicare spregiativamente quei soggetti che pretendono di tracciare la strada che altri ( al potere) devono imboccare; addirittura Gramsci tacciò Benedetto Croce di voler fungere da mosca cocchiera. Detto questo per un arricchimento di informazione, non vorrei cadere anche io, modesto opinionista di Il Golfo, nell’errore di voler fare la “mosca cocchiera”. Sono consapevole che i veri cocchieri sono coloro che detengono le leve del potere. A noi spetta il compito di aiutare a “leggere” la realtà, ad interpretarla. Quanto al “trasformarla” è compito esclusivo della politica. Tuttavia, qualche consiglio ce lo concediamo. Come si può sconfiggere l’estremismo (da quello parolaio fino a quello fisico e da qualunque parte provenga, destra, sinistra e a volte da un centro che istiga la violenza per il fatto stesso che resta immobile e inattivo)?
Ne ho parlato nel numero del Golfo di domenica scorsa: con l’arte di argomentare, con la “pazienza cognitiva” senza avere la fretta di esprimere a caldo giudizi avventati. Quando uno sbaglia per l’eccessiva fretta di giudizio, certo si può poi ravvedere, ma se si sbaglia nel mettere in atto violenze fisiche, il ravvedimento può risultare tardivo. Anche un giudizio violento, scritto su un giornale o su un post dei social, può risultare difficile da emendare o cancellare. Certo c’è chi, come il Governatore Toti della Liguria prima considera gli anziani “improduttivi” e poi addossa (vilmente) la colpa ad una sua collaboratrice, ma non tutti si possono permettersi le piroette verbali alla Toti. Discorso analogo possiamo fare per il frasario, per l’armamentario retorico roboante del Governatore De Luca. I politici hanno la responsabilità di ascoltare il popolo, interpretarne le aspettative, ma anche di guidarlo, indirizzarlo, sollecitandone gli aneliti migliori e placarne gli istinti peggiori. Non si può “aizzare”, dare l’impressione di voler fustigare i cittadini per irresponsabilità, minacciare l’uso di lanciafiamme e deprecare i bambini che preferiscono andare a scuola piuttosto che restare a casa. E mi si consenta solo un accenno a quanto successo in America, con l’elezione del Presidente. Fanatismi nelle piazze, festeggiamenti contemporanei per la rivendicazione della vittoria da entrambe le parti. Autoesaltazione di Trump che ha sollecitato gli istinti più egoistici e gretti degli americani. Al confronto, quanto è successo a Lacco Ameno, tra De Siano e Pascale, è ben poca cosa.
Da ultimo, vorrei motivare l’impossibilità che la “violenza” e gli opposti estremismi trionfino. Per fortuna! Gli estremismi non possono trionfare per il semplice motivo che la “società” è – per definizione – un modo di tenere unite e coese le persone e il collante non può che essere il contemperamento di esigenze diverse, sensibilità ineguali, idee diverse e quindi necessita la mediazione, la moderazione, l’equilibrio. Tutto l’opposto dell’invidia di classe, del suprematismo di razza, della difesa di interessi egoistici. La libertà individuale, in questo contesto, non viene affatto minacciata o eliminata, ma esaltata, in quanto l’uomo – da solo – non è nulla, egli si realizza solo in quanto si relaziona agli altri uomini. Detto questo, da mosca cocchiera involontaria, spero di contribuire a sollevare il paraocchi al mulo (in questo caso “i cittadini-lettori”) onde evitare che il mulo sbagli strada e venga percosso dalla frusta del cocchiere (in questo caso il “potere”).