IL COMMENTO Festival della filosofia di Ischia, una zattera in nostro soccorso

DI BENEDETTO MANNA

Si è appena conclusa la decima edizione del Festival della Filosofia ad Ischia sul tema Identità Artificiali e non si può non evidenziare il forte messaggio trasmesso soprattutto alle nuove generazioni di studenti ischitane e non solo, durante le diverse fasi di incontri, come le lectio magistralis della Summer School of Humanities, confronti e dibattiti con i relatori qualificati, quali Simona Marino, Maurizio Ferraris, Vittorino Andreoli e gli stessi giovani studenti in veste di protagonisti conferenzieri nelle sale della Torre Guevara, per le giornate programmate nella sezione “young thinkers festival”, ove si è dato luogo anche all’esposizionedella mostra “Geni ribelli”. Se si può sintetizzare, va detto che, paradossalmente e per contrappasso al tema,si è posta la questione centrale di cosa significa essere umani e cosa implica in relazione al mondo che oggi viviamo, riflettendo sui possibili spazi di libertà e come percorrerli, per ri-costruire una dimensione sociale fatta di relazioni e scambi, a misura, appunto, umana.Per fare ciò non si è potuto fare a meno di riferirsi alla corrente di pensiero post moderno rappresentata da filosofi e psicanalisti del secolo scorso. Parliamo di Gilles Deleuze, Pierre-Felix Guattari, e soprattutto del metodo antipsicoanalitico e antilinguistico dell’educatore Fernand Deligny (un don Lorenzo Milani d’oltralpe, se pur con esperienze diverse), attuato sulle catene montuose erciniche delle Cevennes. Pertanto si illustrano alcuni punti fondamentali del dibattito svoltosi al Festival che, posto sotto la lente di ingrandimento i temi come quelli sull’umano (in tempi in cui prevale la tecnica tout court, fino a far identificare umani con avatar), sul desiderio libertario, rende anche possibile domandarsi indirettamente come vivere gli spazi dell’isola in modo autentico, da esseri liberi, svincolati da ogni sorta di condizionamento e impedimento che incombe sul vivere quotidiano.Si premette che non si intende simulare una seduta psicoanalitica, anzi si rifugge da essa, come hanno messo in guardia i pensatori menzionati.

Essi infatti ritengono che la psicanalisi ripiega ogni desiderio ed enunciato su un asse genetico, su un modello familiare, che ha una struttura ad albero. Si ordinano le pulsioni su tale asse, quando esse sono OPZIONI POLITICHE relative a specifici problemi, da VIVERE CON LA FORZA DEL DESIDERIO.Deleuze-Guattari contrappongono quindi la CONCEZIONERIZOMATICA del pensiero a una CONCEZIONE ARBORESCENTE, tipica della filosofia tradizionale, la quale PROCEDE GERARCHICAMENTE E LINEARMENTE, seguendo rigide categorie binarie.Il “PENSIERO RIZOMATICO”, invece, è in grado di stabilire CONNESSIONI PRODUTTIVE IN QUALSIASI DIREZIONE, così come procede in natura il rizoma vero e proprio. La teoria rizomatica non è soggetta alla giurisdizione di nessun modello strutturale e generativo.”Quando un rizoma è otturato, arborificato, è finita, del desiderio non passa più niente, perché è SEMPRE PER RIZOMA CHE IL DESIDERIO SI MUOVE E PRODUCE. Ogni volta che il desiderio segue l’albero, si verificano ricadute interne che lo precipitano e lo conducono alla morte, ma il rizoma opera sul desiderio per spinte esteriori e produttive. (Rhizome, Deleuze & Guattari 2006: p. 48)”. Opporsi al dispositivo della costruzione binaria e ad albero in cui ogni elemento dipende dall’altro senza possibilità di rottura, o via di fuga, significa pensare in termini di TERRITORIALITA’.Così i due pensatori per superare le contraddizionidella loro teoria rizomatica adotteranno il metodo dell’educatore Fernand Deligny. Nel 1968 Fernand Deligny fondò nelle montagne delle Cévennes, nel sud della Francia, una “SPECIE” DI COMUNITÀ, fatta di vaste «AREE DI SOGGIORNO» attorno a Monoblet, dove venivano ASSISTITI BAMBINI A PARTE,O INDIETRO, che nessuno avrebbe preso in carico diversamente. Insieme ai suoi collaboratori, che Deligny denominò «présences proches», presenze vicine, ragazzi giovani ma non educatori specializzati né diplomati, mise in atto un METODO PER «DAR VOCE» A CHI, COME GLI AUTISTICI O I MUTACICI, è fuori-linguaggio (hors langage).

Qui prese forma la PRATICA DELLE CARTE E DEI CALCHI. Si trattava di trascrivere LE CARTE TOPOGRAFICHE O MAPPE DELLE AREE DI SOGGIORNO, e di SOVRAPPORVI CALCHI TRASPARENTI sui quali si registravano di giorno in giorno i nuovi tracciati dei percorsi e degli spostamenti quotidiani dei bambini, degli oggetti con cui essi entravano in relazione, e i «nodi» di incontro con i tragitti degli adulti. Lignes d’erre chiamò Deligny queste cartografie, e sono i calchi a cui fanno riferimento Deleuze e Guattari, TRACCIANDO UN UMANO NON FACILMENTE “MAPPABILE” COME QUELLO DEI BAMBINI AUTISTICI. LA CARTA non riproduce un inconscio chiuso su se stesso, lo COSTRUISCE; il suo modello opposto è invece quello della PSICANALISI, che si sbarazza della “carta” e FA CALCO CON L’INCONSCIO. LO STUDIO DELL’INCONSCIO DOVREBBE PORSI NELLA PROSPETTIVA DI MOSTRARE COME SI TENTI DI COSTITUIRE UN RIZOMA con la casa familiare, ma anche con le linee di fuga del palazzo, della strada, ecc., precluse al bambino ricalcato sotto il letto materno, se non sotto la forma di un divenire animale assimilato alla vergogna e alla colpa. Il “DIVENIRE CAVALLO” è una vera OPZIONE POLITICA. Oltre all’operazione associata al desiderio infantile, troviamo un altro livello di nessi attorno a un importante dibattito aperto nel ’68 sul tema della CONFIGURAZIONE SPAZIALE DI UNA OPZIONE POLITICA, pertinente al modello che Deleuze e Guattari cercano nel rizoma. La modalità con cui il METODO PSICANALITICO riduce e minora i movimenti cartografici e geografici del bambino riproduce esattamente un PERICOLO SOCIALE E POLITICO. Si rischia in seguito di ritrovare organizzazioni che ristratificano l’insieme, RIDANDO IL POTERE A UN SIGNIFICANTE. LA PRATICA DELLE CARTE E DEI CALCHI di Deligny diviene dunque una leva importante per i due filosofi, come si legge nel passaggio di introduzione al metodo. “Sulla carta si devono ricollocare le impasse, e da lì aprire sulle possibili linee di fuga. Lo stesso dovrebbe avvenire per una CARTA DI GRUPPO: mostrare in quale PUNTO DEL RIZOMA si formano fenomeni di massificazione, di burocratizzazione, di leadership, di fascistizzazione, ma anche quali linee continuino, magari sotterraneamente, a fare oscuratamente rizoma (Rhizome, Deleuze & Guattari 2006: p. 48)”. Parimenti si può pensare sull’isola che abitiamo di mettere in pratica un’analoga CARTA DI GRUPPO per attivare un PROPRIO RIZOMA? Lasciando da parte come organizzarla, il senso della domanda è quello di stimolare la necessità di una presa di coscienza fuori dagli schemi mentali precostituiti, per guardare il modo di vivere, il territorio, le relazioni in modo autentico, che ci faccia sentire realmente umani e liberi, così da recuperare sentimenti gioiosi, di entusiasmo, di appartenenza e apertura verso i più vulnerabili o i diversi, di rispetto per le differenze di genere, di rifiuto di ogni tipo di violenza, indignandosi per la sopraffazione dei “sacrificabili”. Possono essere questi sentimenti le linee di fuga che ci preservano da un mondo che sembra inabissarsi, in modo da recuperare e ritrovare l’umano dentro di noi.

I problemi d’affrontare sono sicuramente impegnativi, ma a superarli non potrà bastare un’INTELLIGENZA ARTIFICIALE in assenza di un progresso spirituale, di fantasia, immaginazione, di uno spirito solidale, quindi umano. L’UMANO AVVIENE NON IN UN LUOGO GIUSTO. Caratterizzata da un movimento SENZA FINALITÀ, LA VITA COLLETTIVA dei bambini autistici nelle Cevenne diventa una “ZATTERA DI SALVATAGGIO”, dove la zattera non è più il naufragio dell’umanità, ma il rifugio per i non-parlanti. Si dà quindi una nuova configurazione spaziale, dove i legami tra le persone e con gli oggetti esistono esattamente come I PEZZI DI LEGNO NELLA ZATTERA: CIOÈ ALLENTATI, RIZOMATICI. “Una zattera, voi sapete come è fatta: ci sono dei tronchi di legno legati tra loro in modo molto lasco, sì che quando si abbattono le montagne d’acqua, questa passa attraverso i tronchi aperti. È per questo che una zattera non è un battello. Altrimenti detto: noi non tratteniamo le domande. La nostra libertà relativa viene da questa struttura rudimentale di cui penso che chi l’ha concepita han fatto il suo meglio dal momento che non era in grado di costruire un’imbarcazione. QUANDO I PROBLEMI SI ABBATTONO, NOI NON SERRIAMO I RANGHI – non congiungiamo i tronchi – per costituire una piattaforma concertata. Ma esattamente al contrario. Noi manteniamo del progetto chi del progetto ci lega. Vedete da lì l’importanza primordiale dei legami e del modo di legare, e della distanza stessa che i tronchi possono prendere tra loro. È necessario che il legame sia sufficientemente lasco e che non lasci. (Le Croire et le Craindre, cit. in Deligny 2013: 11)”.

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