IL COMMENTO Dagli anni ‘60 alla generazione Z

DI GIORGIO DI DIO

Quelli che hanno superato la settantina come me ricordano bene gli anni 60. L’uscita della dolce vita di Fellini, la presidenza Kennedy, il primo disco dei Beatles, il fascino di Sean Connery in “Licenza di uccidere”. E l’inizio di quella splendida rivoluzione culturale portata avanti negli anni Settanta e ottanta. Quegli anni hanno piantato semi che oggi ancora danno frutti, hanno riempito ogni spazio possibile , sono rimasti indelebili. A vederli dal di fuori sembrano anni facili, di superficie, anni in cui bastava canticchiare e ballare per essere felici. Ma non è così. Sono stati anni di lotte operaie e studentesche che animarono il ‘68 e che videro affermarsi grandi conquiste civili e sociali. Dicono che gli anni Sessanta non finiranno mai, ma oggi invece, sembrano proprio finiti. Oggi c’è la generazione Z o, meglio, i giovani che oggi cercano lavoro sono quelli nati nella generazione Z, sono giovani che si trovano a cercare lavoro in un’epoca del cosiddetto inverno demografico con la tremenda crisi nelle nascite.

Gli anni Sessanta cercavano la vita, magari la volevano o cambiare, ma la cercavano. La generazione Z è in fuga da mondo, con un’ondata di disagi psichici che aumentano sempre. Soprattutto quella che è cambiata è la percezione del lavoro. Per noi anziani degli anni 60 il lavoro è stato sempre prioritario rispetto ad altre esigenze. Il lavoro dava da mangiare alla famiglia, ti consentiva le vacanze, ti permetteva un televisore, la macchina, gli elettrodomestici, ti consentiva di crescere bene i figli. Per molte famiglie il lavoro era sinonimo di sopravvivenza. Per la nostra generazione, oggi, il futuro è oramai già segnato, è solo il risultato finale di quello che abbiamo fatto. Per la generazione Z il futuro è una cosa lontana di cui è prematuro preoccuparsi. La vita che conta è quella presente, una vita da assaporare un morso alla volta. Oggi i giovani sono la risorsa cui il mondo del lavoro deve attingere, ma sono sempre più pochi. L’epoca in cui vivono è diversa da tutte quelle precedenti , hanno vissuto l’esperienza della pandemia di cui ancora portano i segni, sono vittime di una intensa rivoluzione digitale. Rifiutano l’ansia del lavoro a tutti i costi, non credono alla previdenza che non riuscirà ad assicurare loro neanche la pensione ma serve più agli altri che a sé stessi. Il valore del loro tempo è diverso da quello di prima, vogliono tempo libero , tempo per sé stessi, per le relazioni i sociali, per pensare alla propria salute. Il lavoro non è il loro unico valore, e addirittura, prima del lavoro vengono la dimensione familiare e il tempo libero. Soprattutto il lavoro non può essere una passione, anzi, è una trappola per le passioni vere. C’è oggi il cambio di una mentalità che è epocale. È l’impresa che deve offrire il lavoro e il lavoratore lo deve accettare. Oggi poi occorrono operai super specializzati e esperti dell’intelligenza artificiale che le imprese faticano a trovare.

Certo bisogna lavorare, ma con calma, senza ansia e senza rinunciare al tempo libero. Anche perché i giovani possono contare su un patrimonioaccumulatodalle generazioni precedenti. Generazioni che hanno lavorato risparmiato e accumulato. E questa ricchezza ovviamente viene trasferita con l’eredità a va ad aumentare il benessere della attuale generazione. Io penso che anche il concetto di risparmio stia cambiando. La nostreè stata una generazione di formiche dove la cena fuori era evento straordinario. Oggi è la normalità di tutte le settimane o anche più volte a settimana. Questo succede perché è cambiata la percezione del futuro che non è più una meta per raggiungere la quale bisogna fare dei sacrifici oggi, per avere un domani migliore. Per la generazione Z il futuro è una meta che bisogna raggiungere un pezzo alla volta, giorno dopo giorno. Non bisogna porsi il problema di cosa accadrà se faccio questo o faccio quello, ma bisogna agire per migliorare la vita di oggi, senza pensare troppo al domani. Il tempo non è composto da una gittata unica ma da una serie di segmenti da percorrere uno alla volta.

E con uno sguardo intenso alle tecnologie che creano nuovi lavori, nuove figure professionali, cui bisogna adattarsi continuamene. I giovani sanno che oggi è questa la rivoluzione , è la loro rivoluzione. Portando il discorso all’estremo, l’itellignza artificiale , le tecnologie avanzate , inun futuroneanche troppo lontano, potrebbero portare a un mondo dove l’uomonon deve più lavorareperché lo fanno per lui le macchine. Noi, vecchi degli anni Sessanta, la chiamiamo disoccupazione, loro i giovani della generazione Z la chiamano opportunità.

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