CULTURA & SOCIETA'

Giobatta Cricco, storia di una deportazione

La mostra svoltasi a Forio al Chiostro dei Frati Francescani curata da Giovanni Cricco e un viaggio nell’orrore: il racconto di una prigionia, poi la morte e una serie di ricerche. Una testimonianza che più di tante altre racconta la necessità di “non dimenticare”

DI ROSSELLA BARBIERI

La mostra “Giobatta Cricco – Storia di una Deportazione” è stata curata dal nipote (bisnipote) dei protagonisti dell’evento, Giovanni Cricco e si è svolta nei giorni scorsi a Forio presso la sala consiliare del Chiostro dei Frati Francescani in Piazza Municipio. I protagonisti della mostra sono Giovanni Cricco, suo nonno, figlio del deportato Giobatta Cricco, suo bisnonno. Giovanni racconta la storia iniziando da una foto del matrimonio dei suoi bisnonni, stampata in Francia perché proprio da questo paese scapparono dai fascisti e solo quando arrivarono i nazisti a Parigi fecero ritorno. All’evento è esposto anche il libro di Bruno Fabretti, un deportato tornato vivo, compaesano dei protagonisti della mostra, dove racconta i momenti della prigionia vissuti insieme al suo bisnonno, scrivendo “ Cricco con una gerla e con dentro due oche ancora vive”. Quei giorni di agosto e settembre furono dei giorni di guerriglia tra partigiani e tedeschi, all’inizio la vittoria fu dei partigiani ma successivamente i tedeschi contrattaccarono e vinsero bruciando il paesino dove sono nati, rastrellando uomini e cacciando donne e bambini, solo per punizione. Fra le prime quaranta persone prese c’era anche il suo bisnonno, che fu rastrellato. La sua storia continuò al campo di concentramento di Dachau, dove stette lì per venti giorni e successivamente fu trasferito in un sottocampo di Buchenwald, denominato Gandersheim. Quando arrivó nel sottocampo di Buchenwald venne compilato un documento da un tedesco in cui è riportata la firma del suo bisnonno, questo fu l’unico documento della deportazione con la sua firma. Vi è anche il documento di trasporto da Dachau a Gandersheim (trasferimento da un campo all’altro), nel quale ad ogni nome era associato un codice.

A Gandersheim vivevano tutti in un’abbazia e lavoravano per la fabbrica Heinkel Werke, che produceva aerei per la Luftwaffe, nella quale c’era il problema della scarsità di cibo e dove si conviveva con il rumore delle perforazioni poiché lavoravano il metallo; all’interno di questa fabbrica: il bisnonno di Cricco, per la cronaca, era un meccanico. Vi sono documenti che indicano tutti i dati del prigioniero ed addirittura quali indumenti indossava. Viene evidenziata la marcia della morte, nella quale tutti evacuarono il campo nel mese di aprile poiché erano in arrivo gli alleati e le persone che non erano in grado di camminare furono fucilate all’istante; la restante parte partecipò alla marcia della morte. Il suo bisnonno partì ad inizio aprile verso destinazione sconosciuta ma dopo venti giorni si ritrovò di nuovo a Dachau, dopo circa 500 km. Da Dachau andò a Gandersheim e poi arrivò nuovamente a Dachau il 27 aprile del ‘45, Giobatta morì il 28 aprile del ‘45 (il giorno dopo l’arrivo ) e il campo di Dachau fu liberato il 29 aprile. Fu sepolto su una collina dove vi è un’enorme fossa comune, e gli americani seppellirono lì tutti i corpi. Dopo la deportazione si passò alle ricerche in cui la sua bisnonna (moglie del deportato) in una lettera chiedeva all’ufficio postbellico notizie riguardo la scomparsa del marito e sulla sua deportazione. Lei non era convinta che il marito fosse morto in una marcia di trasferimento perché dalla radio e dai giornali non comparve il suo nome tra i morti; infatti lei scrive “C’è una contraddizione che non mi fa più vivere”. Le ricerche furono continuate da suo nonno Giovanni, alla morte del padre aveva solo 13 anni, e fu così che ottennero i primi documenti (nel 1956, dopo undici anni dalla scomparsa) che ufficializzavano la morte del suo bisnonno. Risale un documento della Croce Rossa Internazionale del 1963, ma quando la famiglia chiese ulteriori informazioni la Croce Rossa rispose di non sapere nient’altro in merito.

Il periodo di ricerca del nonno finì e nel ‘93 il nonno scrisse nel suo diario che la morte del bisnonno, secondo i documenti ufficiali, fu il primo maggio del ‘45, ma con successive ricerche si scoprì che morì prima della liberazione, non dopo. Nel 2002 il nonno inviò una lettera alla cugina dove scrivevano di altri deportati del suo paese e continuò le sue ricerche sia su suo padre sia sui concittadini. Nel 2002 il nonno inviò una lettera al deportato Italo Tibaldi scrivendo “La mia paura è che scomparsa la nostra generazione tutto cada nel dimenticatoio”. Giovanni, l’ideatore e curatore di questa interessante mostra, è stato al campo di concentramento di Dachau il 26 luglio 2016 ed esattamente un anno dopo discusse la sua tesi di laurea in scienze politiche incentrata su questa storia (26 luglio 2017). Nel campo dì concentramento di Dachau le baracche sono copie ma le porte e i forni sono originali. La baracca del suo bisnonno era la numero 1. Dopo la tesi di laurea basata sulla storia del suo bisnonno iniziò a raccontare tutto ciò nelle scuole, scrivendo anche un articolo su La Repubblica nel 2019. Il 2 giugno 2019 (Festa della Repubblica ) ottenne la medaglia d’onore per il suo bisnonno dal Presidente della Repubblica in Piazza del Plebiscito. Nel 2022 è stata ricevuta una mail dall’ archivio di Buchenwald nella quale vi è scritto che il suo bisnonno era stato nel sottocampo di Gandersheim e lavorava nella fabbrica di Heinkel Werke. Inoltre sono esposte le pagelle fasciste degli anni ‘40 di suo nonno, Giovanni Cricco, per evidenziare i cambiamenti degli ultimi ottanta anni, poiché vi erano materie tra cui ortografia, lavori donneschi e manuali, igiene e cura della persona, che oggi non ci sono più. La mostra termina con una lettera inviata da Nerina Furio a suo nonno; negli anni 2000 suo nonno cercava il libro di Valeria Moretti, in cui sono riportati i nomi di 8620 italiani deceduti nei campi di sterminio, così mise un annuncio su Famiglia Cristiana e una signora di nome Nerina Furio lo rispose. Nerina era vedova del deportato Giacomo Banfi, deceduto a Mauthausen, ed inviò il libro a suo nonno. La mostra si conclude con la medaglia d’onore concessa al suo bisnonno il 2 giugno 2018.

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