Gino Di Meglio al MART di Rovereto, in mostra Ischia e le sue forme
Gianluca Castagna | Arte, passione e uno sguardo che continua a posarsi dove tutto è possibile e nulla è dato per scontato. Immagini che sembrano dipinti, nei quali l’occhio e la chimica trovano un felice equilibrio grazie a tre tecniche antiche di sviluppo e stampa che testimoniano il grande (e inesauribile) amore di Gino Di Meglio per la fotografia analogica.
Dal 30 giugno al 25 luglio la prima importante personale dell’avvocato isolano al Mart di Trento e Rovereto, uno dei più importanti musei europei di arte moderna e contemporanea. “Ischia e le sue forme: elegia in bianco e nero”, è la mostra antologica con cui l’autore sintetizza anni di scatti, tempi laboriosi in camera oscura e riscoperte di processi fotografici storici (la gomma bicromatata su tutti) che celebrano non solo forme e suggestioni dell’isola d’Ischia, ma anche l’attenzione per la componente manuale dell’arte fotografica.
«Questa mostra rappresenta per me un punto di arrivo e al tempo stesso punto di partenza» ci spiega Di Meglio. «Esporre al Mart, uno dei poli museali dedicati alla fotografia più prestigiosi d’Italia, è un motivo di grandissima soddisfazione. Non sei più uno sconosciuto, le tue opere entrano in un circuito più ampio e possono essere esposte in altri spazi. Per me, fotografo non professionista, l’inizio di una nuova, entusiasmante avventura».
Il Mart è oggi un centro espositivo di rilievo europeo, interlocutore per i maggiori musei internazionali, punto di ascolto e dialogo per il territorio circostante, oltre che una macchina complessa – ma superorganizzata – che produce stimoli continui rivolti al pubblico, agli artisti, ai collezionisti, alle imprese e alle comunità locali. Mostre, eventi, laboratori, incontri con artisti, curatori, aziende, meta accogliente e accessibile per il grande pubblico e gli addetti ai lavori.
Come nasce l’idea di esporre al Mart? «Quasi per caso» racconta l’avvocato. «Un amico e consigliere del direttore del Mart aveva visitato i Giardini Ravino di Forio, dove era in corso una mostra di mie stampe in Lith. Gli piacquero molto e ne parlò con Elettra Carletti già manifestando l’idea di poterle esporre al museo. Ci siamo conosciuti, abbiamo lavorato un po’ con i tempi e organizzato questa personale che racchiude un po’ tutto il mio lavoro realizzato in questi anni. Sono 45 stampe, sceglierle è stato difficile».
Una prima sezione, 25 stampe inedite, di formato 30×40, sviluppate con la tecnica della gomma bicromatata ha per tema le forme architettoniche dell’isola d’Ischia. Antichi palazzi, dettagli, elementi arrotondati che richiamano la tradizione mediterranea riprodotti con una tecnica che ne valorizza la forza espressiva. Quasi un’immagine tattile dove la macchina fotografica, ma soprattutto il procedimento di stampa, funziona come il pennello di un pittore. Una tecnica – quella della gomma bicromatata – complessa, di grande impegno in camera oscura, che regala risultati di forte suggestione. Non a caso, sin dai suoi esordi, le fotografie realizzate con la gomma bicromatata hanno gareggiato con le opere degli esponenti del pittorialismo.
Fiori e piante dell’isola d’Ischia sono il soggetto di dieci stampe argentiche 50×60 su carta baritata Bergger Prestige. Anche qui la tecnica al servizio della creatività per immagini che restituiscono tutta l’ampiezza dei torni del grigio con intonazioni di suggestivo dinamismo. Infine altre dieci stampe in Lith 50×60 con tonalità che esaltano la luce e la drammaticità delle immagini.
«Sono particolarmente orgoglioso di questa personale» ci dice Gino Di Meglio, all’indomani del vernissage di inaugurazione. «I riscontri sono stati positivi e l’allestimento curato nel minimo dettaglio con una precisione e una sensibilità che mi hanno emozionato. E ho visto una delle più belle biblioteche d’Italia».
Le fotografie di Gino Di Meglio sono state esposte in questi anni oltre che in Italia (tra Ischia, Napoli, Parma e Torino) anche in Europa e in Nordamerica, per la precisione in Canada a Montreal presso la galleria Yellow Fish art, ricevendo premi e riconoscimenti Internazionali, tra cui, nel 2000, la menzione speciale al Concorso fotografico internazionale di Locarno. Dal 2014 è membro del GRN, Gruppo Rodolfo Namias, collettivo della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, con i cui soci ha esposto al Museo del Cinema di Torino presso la Mole Antonelliana in occasione della manifestazione Photissima. Nel 2016 una natura morta viene candidata dall’autore al Magnum Photography Award sul sito della famosa agenzia.
Le stampe hanno attirato anche l’attenzione della critica. Quella del prof. Luca Sorbo, ad esempio, Docente di Storia della Fotografica alla Cattedra di Archiviazione e conservazione della Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. «Sorbo aveva già visitato alcune mostre che avevo allestito alla Torre Guevara di Cartaromana. Per l’occasione scrisse pubblicamente “Ho visto le foto di Gino Di Meglio, credo sia uno dei migliori stampatori oggi esistenti in Italia, oltre che un bravo fotografo”. Ha sempre apprezzato il mio lavoro, così, quando gli ho raccontato del progetto al Mart, si è offerto di scrivere una presentazione del mio lavoro, che mi appassiona ancora dopo tutti questi anni».
Ecco il testo di Sorbo, intitolato “Fotografia come preghiera laica”. “Le fotografie di Gino di Meglio sono dei mondi da esplorare, c’è una preziosità stilistica che sorprende l’occhio e lo obbliga ad interrogarsi sulla natura profonda del reale. Le scale di grigio delle sue foto sono onde emotive da cui lasciarsi cullare, la ricchezza dei dettagli è un mondo in cui perdersi. Il nostro sguardo resta imprigionato nell’eleganza, nella sensualità delle sue gomme bicromatate, tra le più belle che abbia mai visto. Il suo lavoro non ricorda le melense ricerche dei pittorialisti italiani, come un occhio superficiale potrebbe supporre, ma si ricollega ad una delle tradizioni più fervide che ha attraversato la storia della fotografia. Alla fine degli anni ’30 in America nacque un gruppo di fotografi che volle chiamarsi “f:64”, riferendosi al diaframma che utilizzavano nella ripresa per ottenere la massima nitidezza. I principali esponenti furono Ansel Adams e Edward Weston, il loro principale scopo fu quello di raccontare con la fotografia la bellezza dei paesaggi, degli oggetti e dei soggetti che riprendevano. Furono, a mio parere, come dei sacerdoti che codificarono una metodologia di ripresa, sviluppo a stampa che costituisce anche oggi un rituale a cui attenersi per ottenere la massima scala tonale ed i dettagli più fini. Questa, lungi dall’essere una sterile ricerca tecnica, era una metodologia per dimostrare la propria devozione verso i soggetti che erano all’interno dell’inquadratura. Sono convinto che queste immagini possono essere interpretate come delle preghiere laiche, un modo per esprimere il proprio sentimento di gratitudine verso il Creato. Ansel Adams fotografò il paesaggio americano perché voleva preservarne la bellezza e, per ottenere questo scopo, sviluppò una sapienza tecnica di altissimo livello inventando il metodo zonale: voleva realizzare foto così belle che poi nessuno avrebbe osato distruggere quel paesaggio, sentiva il dovere di registrare ogni sfumatura, ogni dettaglio di quel mondo che tanto amava. Era, a mio parere, una vera e propria esperienza mistica, che cercava attraverso la fotografia un contatto con Dio. Edward Weston cercò la poesia delle forme con le sue immagini delle dune, delle rocce. La sua foto al corpo nudo di Tina Modotti è una vera propria ode alla bellezza della donna ed una dichiarazione d’amore alla sua amata, intensa, vera, necessaria. Credo che Gino sia un seguace di questa religione, vive anche lui l’ossessione per la ricerca del bello che ha dominato la vita di Ansel Adams ed Edward Weston. Nelle sue foto riviviamo il senso profondo di questa ricerca che tanto ha influenzato la storia della fotografia.
Gino è un avvocato di successo e conosce bene la meschinità e la mediocrità che la quotidianità ci regala, ma ad essa non si è arreso. E’ un uomo concreto sicuro di sé, ma ha conservato l’innocenza, l’ingenuità e la capacità di lasciarsi sorprendere. Vive ad Ischia e sono sicuro che da bambino debba aver vissuto lo stupore per la forza dei tramonti, per la potenza del mare in tempesta, debba essersi immerso nel fascino di una delle isole più belle del Mediterraneo. Ritengo che abbia interiorizzato tutta questa bellezza e l’abbia preservata dalle brutture della vita ed oggi ha deciso di viverla in tutta la sua pienezza. Credo che il presente lavoro sia solo una prima tappa, credo che ci sia una potenza emotiva ancora tutta da esprimere. Nei fiori intravedo la potenza erotica di Mapplethorpe, nei paesaggi una ricerca di infinito appena iniziata, nelle rocce un interrogare la terra inquieta in cui vive. E’ difficile sottrarsi dal paragonare la forza espressiva di Gino, ancora non del tutto esplorata, alla potenza dei fenomeni vulcanici di Ischia. Noi siamo figli della terra in cui viviamo, da essa prendiamo il corpo e la forza dello spirito. Le fonti di energie vitale a cui attinge Gino sono potenti e possono ancora raccontare storie dense emozioni. Ascoltiamo queste preghiere con gli occhi dell’anima che sa riconoscere i segni del bello ed abbandoniamoci alla razionale, calcolata follia di Gino ed alla sua ossessione di perfezione, in essa troveremo la nostra follia ed il nostro non arrenderci al brutto che la vita ci consegna ogni giorno”.