DIRITTO E ROVESCIO Il dilemma della ricostruzione

Mi preoccupa molto il servizio che, domenica scorsa, Gaetano Ferrandino ha pubblicato su questo giornale, dal titolo “Legnini non ne può più, si cambia rotta”. C’è chi si rallegra di questa inversione di marcia, ritenuta tardiva, rivendicando a sé una posizione critica, nei riguardi del Commissario Straordinario, improntata a una pianificazione autoritaria, che avrebbe dovuto decretare l’abbattimento e allontanamento forzoso dalle case in zona rossa. C’è chi critica Legnini per aver dato ascolto ai troppi e improvvisati Comitati popolari (peraltro nati in un periodo preelettorale fin troppo sospetto) e di ascoltare troppo i Sindaci dei sei Comuni, finendo con il finanziare opere anche in Comuni non danneggiati da sisma e alluvione, che andrebbero a sottrarre risorse a quelli danneggiati davvero. Infine c’è chi oppone all’idea di Legnini di acquisire e riconvertire strutture in disuso per adibirle ad abitazione dei delocalizzati e propone invece espropri per costruire case di edilizia convenzionata da attribuire a cooperative di delocalizzati. Tutto ciò dimenticando che il territorio isolano intero, anche se non direttamente danneggiato dai due eventi calamitosi, è a rischio e dimenticando che la strategia di Legnini di acquisire e riconvertire strutture in disuso risponde all’esigenza di non consumare ulteriore suolo.

Altra contestazione degli oppositori di Legnini è quella di non essersi battuto per un’immediata pianificazione (Comuni e Regione sono in colpevole ritardo) a iniziare dalle vie di comunicazione, dalle piazze, dai luoghi di incontro, dall’intelaiatura di paese per ritracciare una vita sociale ed economica. Senza un Piano di assetto territoriale, sostengono questi, è impossibile anche prefigurare un Piano di Protezione Civile; non ci sono le vie di fuga. Non basta,dunque, unificare – come ha predisposto Legnini – i Piani dei singoli Comuni, occorrerebbe preliminarmente una pianificazione territoriale, che non c’è. Viene aggiunto che se nel Piano intercomunale di Protezione Civile ci si è preoccupati di affrontare solo i rischi sismici e idrogeologici e non anche quello vulcanico (e questa mi sembra l’obiezione più seria, non a caso mossa dall’eminente vulcanologo Giuseppe Luongo) facciamo una Protezione Civile zoppa. Un po’ meno realistica e un po’ più fantascientifica mi sembra l’obiezione attinente la mancata indicazione delle vie del mare come via di fuga in caso estremo di necessità di fuga dall’isola (o da Comuni dell’isola ad altri Comuni dell’isola?), Non che le vie del mare non siano possibile rimedio in caso di intransitabilità o sovraccarico delle vie terrestri, ma perché appare arduo, se non impossibile, programmare un utilizzo di mezzi navali a disposizione. Certo, possiamo prevedere luoghi di raccolta e di partenza, luoghi di approdo, ma non certo i mezzi di trasporto a disposizione, visto che con quelli che esistono nel Golfo non riusciamo a soddisfare nemmeno le normali esigenze di comunicazione con la terraferma.

Detto questo, veniamo a ciò che mi preoccupa. Mi preoccupa l’illusione che oggi, di fronte alla crescente imprevedibilità dei fenomeni naturali o imprevedibili (in gran parte per colpa dell’uomo): cambiamenti climatici, epidemie, guerre, fenomeni emigratori di massa) ci si illuda di poter programmare a lungo termine. Mi preoccupa che si provi insofferenza per qualunque tentativo di coinvolgere popolazione e rappresentanti dei Comuni nei processi decisionali straordinari del Commissariato. Mi preoccupa che qualsiasi tentativo del Commissario Legnini di tenere costantemente informata la collettività sui passi compiuti e da compiere venga scambiato per volontà di “apparire” e ingannare l’opinione pubblica col fumo delle chiacchiere. Mi colpisce questa situazione che, alla fine, decreta un doppio fallimento: quello di una programmazione creativa e a breve termine, col ripescaggio dell’idea di stampo sovietico della grande pianificazione, e il fallimento di una Ricostruzione partecipata e non calata dall’alto. Mi colpisce, proprio nel momento in cui a Napoli avviene il contrario: Il Comune di Napoli redige un Piano urbanistico, meglio definito “ Documento strategico per una città giusta, sostenibile e attrattiva”. Il Piano consta di 6 idee guida. Tecnici e scienziati di settore hanno contribuito alla redazione del Documento, ma l’architetto Alessandro Dal Piaz, su Repubblica del 2 marzo, ha eccepito che tale Piano non tiene conto delle relazioni esistenti tra città e contesto metropolitano ( caso strano, essendo il Sindaco di Napoli anche Sindaco della città metropolitana) e soprattutto ignora le istanze di base di numerosi soggetti collettivi, portatori di interessi sociali e popolari, talché chiede – a voce alta – di stabilire un “ tavolo permanente di concertazione multi-attoriale”. Esattamente il contrario di quello che molti, troppi, stanno augurandosi e invocando a Ischia: la fine della concertazione e il ritorno al decisionismo d’imperio. Auguri!

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