Immaginate di trovarvi in una situazione simile a questa: C’è un vagone ferroviario con i freni rotti che viaggia a gran velocità. Davanti al vagone ci sono cinque persone legate ai binari, proseguendo nella sua corsa, il vagone ucciderà quelle persone. Voi però avete la possibilità di tirare una leva e di far deviare il vagone su un binario laterale, dove c’è una sola persona legata. Se non fate nulla, muoiono cinque persone. Se invece tirate la leva, ne muore solo una. Tirereste la leva? Se la vostra risposta è sì, allora probabilmente pensate che, in certi casi estremi, sia giusto sacrificare una persona per salvarne cinque. Adesso però consideriamo un secondo caso. Siete un chirurgo a capo di una clinica. Avete in cura cinque pazienti che hanno bisogno di un trapianto urgente di organi per rimanere in vita. Ogni paziente necessita di un organo diverso. A un certo punto si presenta un individuo sano per una visita di controllo. Vi viene un’idea: potreste anestetizzare il paziente con un inganno e usare i suoi organi per salvare gli altri cinque che avete in cura. Anche in questo caso, se non fate nulla, muoiono cinque persone. Se uccidete il paziente sano, salvate cinque vite. Siete sempre dell’idea che sia giusto uccidere una persona per salvarne cinque? Suppongo di no. Ma perché? Che cosa è cambiato? Dopotutto, in entrambi i casi dobbiamo scegliere se non fare nulla, e lasciare che cinque persone muoiano, oppure compiere un’azione che causi la morte di un solo individuo.
Forse adesso, pensandoci meglio, vorrete cambiare la vostra risposta iniziale. Meglio non tirare la leva e lasciare che il vagone investa le cinque persone. Almeno in questo modo non avrete partecipato attivamente alla morte di nessuno e vi sarete attenuti alla massima che dice: “Non uccidere!” Eppure anche questa soluzione è difficile da accettare. Il fatto che voi non facciate nulla per salvare la vita di cinque esseri umani non vuol dire che non avete alcuna responsabilità per quello che succede. Dopotutto, avreste potuto fare qualcosa, avreste potuto tirare la leva e salvare quelle persone, ma non l’avete fatto. Anche l’omissione di soccorso è un’azione.
Come vedete, non è affatto facile capire cosa è giusto fare in situazioni del genere. I due casi che ho presentato sono molto astratti, certamente. Ma la vita reale presenta spesso delle situazioni che sono altrettanto complesse e difficili da risolvere. Le decisioni sono così complesse perché in ognuno di noi è insita una morale, una morale che può dirsi la “somma” di tutti quegli insegnamenti che sin da piccoli ci sono stati impartiti, e di tutti quei condizionamenti che ci hanno portato ad etichettare tutto come “bene” o “male”. La morale è una sorta di“voce interiore” che guida costantemente il comportamento di ognuno e che indica ciò che è giusto o sbagliato. Tendenzialmente ci consideriamo in possesso di un senso morale quando il nostro comportamento sostiene l’ordine sociale volontariamente, senza alcun ordine e senza alcun timore di eventuali punizioni. Lo sviluppo morale letto alla luce della teoria cognitiva mette in risalto la strettissima interazione vigente tra il soggetto e l’ambiente. Come detto la moralità si sviluppa sin dalla tenera infanzia, e affinché essa si formi al meglio è necessario che il bambino costruisca delle solide esperienze sociali, ovviamente esperienze che siano in accordo con il suo livello di comprensione cognitiva. I primi studi sullo sviluppo morale vennero compiuti da Piagetche si interessò prevalentemente all’acquisizione del giudizio morale nei bambini, attraverso l’osservazione e lo studio dei momenti di gioco. Per Piaget la moralità può essere considerata un processo evolutivo e l’acquisizione delle norme avviene attraverso tre fasiin cui il bambino passa dall’anomia morale(scarsa coscienza di cosa sia una regola e a che cosa serve)all’autonomia morale:
Piaget ipotizza che per poter passare da una fase all’altra è fondamentale l’interazione con i pari. Il bambino costruisce la propria moralità a partire dall’esperienza sociale in accordo con il suo livello comprensione cognitiva. Successivamente gli studi di Piaget furono approfonditi da Kohlberg il quale studiò lo sviluppo de giudizio morale presentando a bambini e adolescenti una serie di “dilemmi morali” sotto forma di racconti. Kohlberg in accordo con Piaget sostiene che lo sviluppo morale sia strettamente legato allo sviluppo cognitivo del bambino. In quanto è richiesta una quantità minima di capacità cognitiva affinché il bambino possa far fronte al ragionamento di carattere morale. Infine possiamo citare Bandura che formulò la teoriadell’apprendimento sociale, secondo tale teoria, proprio come le altre capacità, anche lo sviluppo morale avviene grazie all’osservazione e all’imitazione di altri visti come modello. Èfondamentale capire come si rapporta lo sviluppo morale a quello cognitivo, affettivo e sociale . in alcuni disturbi dell’età evolutiva, come i disturbi della condotta sembrano non essere presenti criteri di comportamento che presuppongono un senso morale. Lo stesso accade nella psicopatologia dell’età adulta nel disturbo antisociale di personalità. Inoltre anche in fenomeni come il bullismo, si evince un’assenza del rispetto degli altri e del senso morale.
Tornando al “dilemma morale” posto all’inizio c’è da osservare che una risposta giusta non esiste. Uccidere è sbagliato e impedire il peggio è altrettanto sbagliato. Per prendere una decisione moralmente più adeguata è necessario tener conto dell’ambiente e del contesto in cui l’azione prende forma. Si tratta sempre di salvare cinque persone ed ucciderne una, ma in un caso, quello del treno, questa è una scelta obbligata, nell’altro, quello del medico, è una scelta volontaria. Deliberatamente uccido un uomo sano, seppur , nonostante l’urgenza, potrei aspettare che arrivi un donatore. Le scelte non sono giuste o sbagliate, sono scelte. È necessario in quanto tali prenderle in maniera consapevole considerando tutte le variabili del caso e prevedere se le conseguenze che da essa scaturiscono siano morali o amorali.
“Liberamente” è curata da Ilaria Castagna, psicologa, laureata presso l’Università degli Studi de L’Aquila, specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia Cognitiva Comportamentale di Caserta A.T. Beck
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