De Magistris: “Autonomia e partecipazione, ecco la ricetta per il riscatto di Napoli”

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Gianluca Castagna | Casamicciola T. – De Magistris unchained. L’occasione è poco più di un pretesto: il volume “Voci sulla città”, presentato all’Hotel Marina 10 di Casamicciola nel tardo pomeriggio di sabato. Quindici voci della società civile napoletana raccontano, da punti di vista più o meno lontani, gli ultimi 5 anni della più grande città del Sud.
Anni segnati dall’amministrazione di Luigi De Magistris. Una città-mondo con le sue perenni contraddizioni, i suoi arcipelaghi sociali, i suoi umori invisibili. Una metropoli che va recuperando fierezza per la propria identità come testimonia, in permanente stato d’eccezione rispetto al Paese, la crescente presenza di cittadini nella vita attiva delle comunità. Un progetto editoriale voluto fortemente da Claudio De Magistris (fratello del sindaco), quasi a colmare una mancata (dolosa?) narrazione sulla città.
«E’ un contributo – spiega subito il sindaco di Napoli – che è stato dato alla fine della mia prima sindacatura da parte di uomini e donne della società civile che stimo molto e amano Napoli». «Oggi siamo ricchezza, non più peso – si legge nella postfazione del volume – siamo energia e non tossine, siamo terra del fuoco non terra dei fuochi. Il popolo si sta assumendo le sue responsabilità e deve avere sempre più potere. Io ci sto, ci metto faccia, corpo, mani e cuore, noi ci stiamo e non molleremo mai».

Archiviato in tutta fretta il coro dei supporter, la scena è dominata dal mattatore.
Giovane, appassionato, piacione, popolarissimo. Prima Pubblico Ministero poi sindaco di Napoli. Un grillino ante litteram, che spezza – caso raro, non unico – il monopolio a 5 stelle del frame “popolo vs. casta”. Scegliendo, nei fatti, ma soprattutto nella loro narrazione, la ricostruzione di un profilo di legalità che manda in soffitta la cultura delle deroghe e privilegia il diritto sociale alla città e ai beni comuni. Arrivando addirittura a prefigurare l’avamposto di un nuovo soggetto politico.
De Magistris, sollecitato dalla giornalista Annamaria Chiariello, tiene il palco come pochi. La sua retorica è efficace e comunicativa. L’arsenale dialettico tutto ben schierato: da un lato, il coraggio, il cuore, il sentimento, la ribellione, l’acqua pubblica, l’energia sprigionata, Napoli antidepressiva; dall’altra le tecnocrazie, la camorra dei colletti bianchi, la spending review, l’ostilità dei media, l’ingerenza indebita, arrogante, inaccettabile del governo centrale. Un conflitto che non prevede prigionieri, su cui De Magistris torna più volte tra ironia e rispetto delle autonomie, gioco delle parti e sarcasmo spinto, frenesia tribunizia e l’ego di due primedonne (l’altro, ça va sans dire, è quello di Renzi) in fatale rotta di collisione.

L’aneddotica viene snocciolata senza freno, a macchinetta, pronta a deliziare la foltissima platea presente all’incontro. «Quando sono diventato sindaco – racconta – mi dissero subito: devi dichiarare il dissesto. Una ferita profonda nell’orgoglio di ogni comunità, anche se non è colpa tua. Non puoi assumere, non puoi contrarre mutui, non puoi fare investimenti. Mi sono opposto, preferendo puntare su una cosa semplice e al tempo stesso complessa: il capitale umano. Nessuno aveva pensato alle motivazioni delle persone che rappresentano la comunità. Eppure da lì è partita la mia rivoluzione: la partecipazione dei cittadini al riscatto della città. Per prima cosa – continua – bisognava superare l’emergenza rifiuti. Qualsiasi altro progetto era impensabile senza prima scrollarci di dosso questa macchia d’infamia di cui parlavano tutti. Ho tolto la camorra e gli affari dalla gestione dei rifiuti. Via. Dopo un mese e mezzo, Napoli non aveva più rifiuti in mezzo alla strada. Chi mi aveva preceduto non era incompetente: non c’era la volontà politica di farlo».
«Oggi il comune di Napoli è risanato. Lo dice la Corte dei Conti. E’ la città d’Italia che ha più turisti, il nostro aeroporto è quello che va più forte in assoluto, da un punto di vista culturale c’è un’energia creativa di portata internazionale a cui guardano anche i sindaci di Barcellona e Atene. Cinque anni fa nessuno proponeva eventi sportivi o mondani a Napoli, oggi c’è la fila. Abbiamo riconsegnato al mondo ciò che Napoli doveva essere».

De Magistris si definisce un “sindaco di strada”faccio ogni giorno dagli 8 ai 20 km, in campagna elettorale il record: 40 km, il mattino dopo non riuscivo a camminare») e si presenta come il difensore dei più poveri. Che non sono tali solo per colpa loro. «Il sindaco di New York mi disse che amministrare Napoli è più difficile che amministrare New York. E’ vero: senza soldi, contro la camorra dei colletti bianchi, contro i governi che hanno fatto e fanno di tutto per strangolare i comuni del Mezzogiorno e in particolare il Comune di Napoli. Dobbiamo tornare alla politica in cui tutti sono protagonisti, conta la volontà collettiva, non dei singoli, di cambiare le cose. Di costruire una società più giusta dove nessuno rimane indietro. Qualcuno mi sa dire perché siamo l’unica città d’Italia che ha rispettato il referendum sull’acqua pubblica? Se fanno delle leggi che ci costringono a chiudere le scuole, io che devo fare? Posso mai dire ai miei concittadini che si chiude una scuola perché una circolare del governo Monti dice di farlo? Mi sono ribellato e non l’ho fatto. Di fronte a tali ingiustizie non ci si deve piegare come pecorelle. Sono fatti ineluttabili? Malattie mortali? No. E allora si possono sconfiggere e superare».

Capitolo Bagnoli. «Chi ha firmato l’ordinanza “Chi inquina paga”? Il sottoscritto», continua più travolgente di un fiume in piena. «Chi credete abbia inquinato Bagnoli in questi anni? La camorra di strada? No. Si chiamano Fintecna e Cementir, in altri termini lo Stato e un gruppo di costruttori proprietari di giornali. Ecco perché ho sempre avuto i media contro. Ma ho vinto le elezioni a dispetto di tutti: di Lettieri e dei suoi milioni, del Partito democratico, dei Cinque Stelle che mi avranno pure messo contro uno di nome Brambilla, ma è sempre una forza molto agguerrita. Napoli è l’unica città d’Italia in cui è stato confermato un sindaco che aveva già governato per cinque anni».
Amnesie a parte (Zedda a Cagliari), Bagnoli sembra il punto nevralgico sul quale l’animosità di questo duello all’italiana raggiunge temperature incandescenti.
La mitologia esige forti polarizzazioni. De Magistris contro il commissario Nastasi, contro Renzi, contro Roma, contro tutti. Quasi un motivo di vanto che rischia di tradursi in errore politico, una volta deposta l’ascia all’indomani del risultato elettorale. «Ho sempre cercato un rapporto con tutte le istituzioni – replica il sindaco – anche col Governo. Disponibilissimo a incontrare Renzi, sono due anni e mezzo che provo a parlargli. Non vuole. Dopo la vittoria elettorale, gli ho scritto una lettera, lui mi ha chiamato, in verità, ma ha posto la condizione di riconoscere la legittimità del commissario. Secondo me, gli incontri si fanno senza porre condizioni. Napoli non è solo Bagnoli. Scelga lui data e luogo. E’ passato un mese, senza che accadesse nulla. Napoli vivrà anche senza questo incontro».
Insomma da vero combattente (e sportivo: «amo la corsa a ostacoli; più alzano l’ostacolo, più mi sento motivato»), Luigi De Magistris non molla il punto. «Come si permette di venire qui e imporre: si fa come dico io? Ma chi sei? Non funziona così. Il riscatto passa attraverso la responsabilizzazione e il protagonismo dei popoli. A Ischia devono vedersela gli ischitani, non è che viene il sindaco di Napoli a insegnarvi cosa si deve fare. Mi chiamate, ragioniamo insieme dell’esperienza napoletana, ma non mi permetto di dare lezioni su territori che non conosco».

Rigetta l’accusa di fiera solitudine e rilancia con un progetto alternativo. «Mentre il Paese continua a essere travolto dalla questione morale – sostiene – per cinque anni la mia amministrazione ha governato con le mani pulite non piegandosi al sistema, mettendosi contro i poteri criminali che mi hanno ostacolato quando facevo il magistrato e continuano a farlo adesso che sono sindaco. Abbiamo governato in modo autonomo, libero, indipendente, coraggioso. Creato forme democratiche dal basso, qualcosa che può far bene a Roma, Milano e altre città, compresi i piccoli comuni. A Napoli esistono reti, comitati, associazioni che in vari territori della città fanno le stesse battaglie che facciamo noi. La difesa della terra, del mare, dell’acqua pubblica, contro le trivelle, gli inceneritori, le opere pubbliche inutili. Il liberismo degli ultimi 30 anni – continua De Magistris– ha generato concentrazione di potere, oligopoli, tecnocrazie, riduzione delle autonomie. Fa chiudere scuole e ospedali. Noi invece vogliamo costruire l’Europa dei popoli, città in cui si possa vivere meglio, in cui si riducano le disuguaglianze, in cui ci siano comunità più orizzontali e meno verticali. Vogliamo dimostrare, carte alla mano, che finora siamo stati noi a finanziare il debito pubblico del Paese, noi ad aver subito discriminazioni inaccettabili. Autonomia, autogestione, liberazione di energie. Questo ci interessa, non aderire a partiti che non ci piacciono».
Il paladino degli “umiliati e offesi” ha anche una soluzione in merito alle politiche del Mezzogiorno che non ci sono. Con quali soldi? «Date ai sindaci i fondi europei. Per spenderli e non sprecarli. Togliamoli alle Regioni e diamoli alle città, dove il sindaco ha una responsabilità diretta. Lo Stato e il Governo centrale garantiscono i servizi previsti dalla Costituzione. Il resto deve essere materia di autogoverno e autogestione. Bruxelles è d’accordo, la politica no. Intanto, presenteremo un progetto di legge perché Napoli possa diventare la prima città del terzo millennio ad avere una forma di statuto speciale».
Scenari possibili per la Città Metropolitana? Peggio dell’Apocalisse. «Così com’è, è un disastro. Senza soldi, risorse, ossigeno. Una riforma che poteva essere anche giusta, ma le promesse non sono state mantenute. Ti impediscono di investire sulle strade, sui trasporti, sull’edilizia scolastica. Quello che sta succedendo con gli ospedali della città metropolitana è una vergogna. Uno Stato che non investe in salute, in istruzione o in sicurezza per i diktat di un’Europa che si sta sbriciolando, non fa il suo dovere. Hanno fatto la moneta unica e si sono dimenticati delle persone. Se continuano così, prendiamo le chiavi della città e le riconsegniamo al governo». La battaglia della giustizia sulla legalità politica prevede la chiamata alle armi anche per i sindaci isolani (tre dei quali, Castagna, Pascale e Ferrandino, presenti all’incontro): «Uniamoci indipendentemente dal colore politico – invita De Magistris – I problemi sono gli stessi, cogliamo le stesse opportunità rimarcando i nostri spazi di autonomia. Molti colleghi non portano avanti le battaglie fino in fondo perché subentra un problema di appartenenza partitica. Ora bisogna decidere: se fai il sindaco, devi difendere il tuo territorio».

In attesa che il virus partenopeo attecchisca altrove, l’ex pm prova a calmare gli animi dei tifosi dopo il repentino salto della quaglia di Gonzalo Higuaìn, l’attaccante del Napoli passato, nell’arco di 24 ore, da eroe sotto il Vesuvio a bieco traditore tra le braccia sabaude della Juve.
«Non mi piace quello che è accaduto – ammette De Magistris – purtroppo prevalgono gli affari anche nel mondo del pallone; un mondo che, come sostiene Maradona, non vive sempre di soldi puliti. Ho visto il legame che i napoletani e i tifosi del Napoli hanno avuto con Higuaìn, i suoi 36 gol, sembrava un amore ricambiato ed è per questo che, da tifoso, resto amareggiato. Andare alla Juve, poi; come affondare il coltello nella ferita. Adesso credo sia complicato ricominciare da capo, anche con tanti soldi a disposizione. Come sindaco, manterrò i miei impegni: abbiamo impiegato 25 milioni di euro per ristrutturare lo Stadio San Paolo. Non c’è comune d’Italia che mette i soldi per gli stadi. L’abbiamo fatto perché era necessario, si trovava in condizioni indecenti. Ci guida l’obiettivo di sempre: riconsegnare al mondo la vera immagine di Napoli».

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