Dai “poveri” calosci di legno e canapa di Antonio Monti alle costose e moderne calzature. Quando la cultura dell’“artigianato fai da te” premiava l’ingegno dei tanti ischitani operosi
LE STORICHE FILATRICI ISOLANE CON LA CANAPA IMPORTATA DALLE COLTIVAZIONI DI NAPOLI E CASERTA / Dalle filatrici domestiche isolane del Testaccio, Fontana, Panza e della vecchia Ischia Ponte del dopo guerra alla produzione di oggi su scala commerciale per un mercato sofisticato quale quello diventato tale nella nostra isola. La dimostrazione è dell’Azienda De Vivo con attività a Ischia ed a Lacco Ameno. De Vivo si porge c alla clientela ischitana con i suoi prodotti di canapa e di lino che ricordano il lavoro antico delle storiche donne ischitane. La presenza a Barano negli anni ‘40 e’ 50 di una fabbrica tessile portata avanti da un esperto nel settore, il tessitore Vincenzo Di Meglio, consorte della compianta insegnaste signora Durante sorella di quel signora Durante che alcuni anni fa ha donato la sua villa di Gianturco al Comune d’Ischia che l’ha trasformata in scuola asilo per bambini.
Canapa, filatrici e zoccoli (caluosci), tutto un mondo semplice e povero di una Ischia del lontano passato. Quando si parla di Filatrici ischitane si pensa subito alla canapa, a come la si trattava, all’uso che di essa se ne faceva ed al come si riusciva a farla arrivare sull’isola. Siamo al tempo in cui l’isola d’Ischia viveva dei soli prodotti della sua terra, e fra questi purtroppo non c’era la canapa, perchè nessun agricoltore locale la coltivava. In definitiva la si importava dal casertano e dal napoletano.
Provvedevano i corrieri a portarla sull’isola su precise ordinazioni di negoziante e famiglie locali organizzate per la manifattura di borse, cappelli, corde e stuoie. Tutto questo accadeva già dagli anni ’20 per diventare col prosieguo degli anni, una sorta di commercio a sfondo domestico che bene si avviò per la continua richiesta sul mercato locale. Erano gli anni in cui le nostre nonne filavano di gran lena con la “conocchia” o l’antico fuso e l’arcolaio. In pratica con il termine filatrice si intende proprio colei che tramite degli attrezzi di cui sopra e soprattutto con le proprie abili mani, ricava un filo più’ o meno omogeneo dalla torsione di varie fibre tessili di origine animale o vegetale e da cui poi si ricavano stoffe per tutti gli impieghi. Il filato nella storia ha origine antiche: si hanno resti di stele di filatrici già in epoca greca, raffigurati su vasi arrivati sino ai giorni nostri. La creazione di filato è stato sempre compito femminile, le fibre più usate erano lino, canapa per l’appunto, lana, cotone, seta ed anche ortica, seppur principalmente usata nelle corde per la sua forte resistenza alla trazione. In Campania, e per l’esattezza nel Casertano e nel Napoletano, la coltivazione della canapa è stata una delle attività agricole che ha occupato, per secoli, la maggior parte della superficie coltivata e della popolazione rurale, fino alla sua regressione avvenuta negli ultimi decenni.
Il settore fu del tutto abbandonato dopo il 1975, quando fu inasprito il divieto della coltivazione della canapa indiana (una varietà della canapa) e nello stesso tempo messe in atto severe normative per la canapa tessile (Cannabis sativa L.). Concause di questo abbandono sono da ricercarsi nell’aumento del costo della manodopera e nei problemi derivanti dal pesante impatto ambientale dei maceratoi. La canapa coltivata in Italia era tra le più pregiate per la produzione di fibra per resistenza, colore e resa. Nel 1936 fu tentata una classificazione della qualità della canapa, progetto abbandonato con il sopraggiungere della guerra. In questa classificazione, la canapa campana “paesana” (se coltivata a sud dei Regi Lagni) e “forestiera” (se coltivata a nord dei Regi Lagni) si distingueva in “chiara”, “mezzo-colore” e “scolorata”; era poi divisa in sei diverse qualità, da “SS” (spago superiore).
Ischia ne ha sempre seguito l’evoluzione di questa fibra fino a farsene arrivare nei propri magazzini in notevole quantità anche per la presenza a Barano negli anni ‘40 e’ 50 di una fabbrica tessile portata avanti da un esperto nel settore, il tessitore Vincenzo Di Meglio, consorte della insegnaste signora Durante e padre del compianto dott. Benedetto, e delle sue figlie Edda e Letizia Di Meglio tutt’ora viventi (la prima Edda, abita a Forio ed è la vedova del compianto prof. Ottato e Letizia che vive con la sua famiglia a Battipaglia nel salernitano). La vecchia fabbrica del Di Meglio dotata di capaci telai produceva tessuti di canapa, lino ed anche capi di corredo per signorine in odore di matrimonio. In quegli stessi anni, ad Ischia e Forio andavano forte i calosci o caluosci fatti di legno spesso e canapa resistente. Il negoziante don Antonio Monti e figli ad Ischia Ponte, li importava da Napoli, esaurendoli in breve tempo. Le sorelle Mascolo, in via Giova Battista Vico (puzzolana) invece erano specializzate nella confezione di zoccoli, pantofole, cappelli e sciarpe di canapa bianco-avorio. Erano i tempi in cui a Ischia determinate famiglie, quelle che meno possedevano, vestivano più casual, badando poco all’eleganza, magari con la nonna in casa e qualche figlia maggiore a praticare il fuso per filare canapa o cotone per ricavare dopo calzini e tovaglie per asciugarsi.
Sul continente, ossia nel casertano e napoletano fino all’Emilia Romagna con riflessi anche sull’isola, la filatura domestica consisteva nella formazione di fili continui derivanti dallo stiramento e dalla torcitura delle fibre. La data tradizionale per l’inizio della filatura era il giorno di Santa Caterina, il 25 novembre.. Cosìchè, le donne dei contadini in questo periodo, il più delle volte nelle stalle, filavano il gargiolo e la stoppa per i bisogni della famiglia. Piccole quantità di filato di stoppa potevano essere venduti sui mercati locali per la produzione di tele da sacchi e da imballaggi. Per secoli nelle campagne bolognesi si filava la canapa con la rocca e con il fuso. Il fuso a ruota azionato a mano e il filatoio a pedale modificava solo in parte e molto lentamente i procedimenti di filatura. Nel bolognese il filatoio a pedale si diffuse a partire dal XVIII secolo. Ma fino alla prima guerra mondiale restò dominante nelle campagne la filatura con la rocca e il fuso. Un ruolo importante hanno avuto le filatrici domestiche isolane del Testaccio, Fontana, Panza e della vecchia Ischia Ponte fino alla produzione di oggi su scala commerciale per un mercato sofisticato quale quello diventato tale nella nostra isola. La dimostrazione è data dall’Azienda De Vivo con attività a Ischia ed a Lacco Ameno. De Vivo si porge oggi alla clientela ischitana con i suoi prodotti di canapa e di lino che ricordano il lavoro antico delle storiche donne ischitane.
Foto Giovan Giuseppe Lubrano
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