Dopo una giornata di ipotesi, in serata è arrivata la ‘sentenza’ ovvero il nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte che ha attribuito alla Campania ‘zona gialla’. Poche, quindi, le ulteriori restrizioni. I bar, pub, ristoranti, gelaterie e pasticcerie, ad restano aperti fino alle 18. Resta consentita, inoltre, la ristorazione con consegna a domicilio e fino alle ore 22 la ristorazione con asporto, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze. Restano quindi in bilico le attività di ristorazione ed i bar che già erano stati messi in ginocchio dai precedenti provvedimenti.
«Il nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri – ha detto il sindaco di Casamicciola Giovan Battista Castagna – nasce dagli ultimissimi numeri relativi al Covid che fanno preoccupare non poco il presidente Conte e non solo. Dividere il Paese in zone rappresenta un elemento che ha creato confusione, ma credo che questo prevedimento fosse inevitabile». Secondo il primo cittadino della località termale «bisognava chiudere prima e nel contempo intensificare i trasporti ed i controlli». Castagna è accanto ai ristoratori. «Hanno speso soldi per mettere a norma i propri locali e per lavorare al tempo di Covid ed ora, di fatto, sono stati chiusi. Al danno, insomma, si aggiunge la beffa».
È arrabbiato e deluso Enrico Muratori patron del ristorante ‘O sole mio. «Dal 4 ottobre ha chiuso facendo una sorta di autolockdown», ci spiega. «È completamente inutile restare aperti in queste condizioni ed il nuovo decreto del presidente Conte è una presa per i fondelli». «Il governo non ci chiude totalmente evidentemente perché non ha i fondi per provare a sostenere queste attività. E demanda le Regioni che, a loro volta, non si prendono le responsabilità. Insomma il mondo della ristorazione, i bar e le pasticcerie sono palleggiati tra Governo centrale e Regionale. intanto stiamo andando avanti con una lenta agonia che ci porterà alla chiusura totale». Muratori, poi, fa una riflessione: «Arrivati a questo punto che ci consentono solo di lavorare con l’asporto e con il delivery, mi chiedo perché non hanno chiuso tutto un mesetto fa per consentirci di lavorare serenamente almeno nel periodo di Natale». Per ora, però, le festività sono lontane ed è difficile immaginare che cosa possa succedere tra 40 giorni. «Intanto, però, -continua Enrico Muratori – a Ischia non si lavora con l’asporto e nemmeno con il delivery. Nessun ristorante si può mantenere in questo modo e non poteva farlo nemmeno restando aperti solo a pranzo». Il ristoratore, poi, chiosa con amarezza. «La questione del bonus monopattino che ieri ha portato al blocco dei siti internet è indicativa delle azioni e delle priorità dei nostri amministratori. In pratica chi ci amministra ha preferito monopattini e biciclette ai lavoratori. Per questo ho scelto di mettermi a riposo forzato».
L’Aicom ai sindaci: «Chiudete i market la domenica»
Intanto dall’Aicom- Aicast è arrivata una proposta ai sindaci dei sei Comuni dell’isola di Ischia. «Cari Sindaci, – si legge nella nota a firma del presidetente Marco Laraspata – scrivo a tutti contemporaneamente in merito agli sviluppi della pandemia sull’isola e dalla lettura dell’ultimo Dpcm a cui sicuramente seguirà ordinanza regionale. Alla nostra Associazione Aicom – Aicast dell’isola ci sono giunte parecchie richieste di poter fare ordinanze per tutti i sei comuni per chiusure obbligate domenicali per le attività alimentari (per intenderci minimarket, supermercati e similari) a partire dalla settimana prossima fino alla fine del periodo del Dpcm. La motivazione deriva dal fatto che la domenica è un giorno (in questi periodi) completamente da evitare, sia perché superfluo (la spesa la si può fare nell’arco della settimana), sia per evitare assembramenti e contatti con il personale degli stessi esercizi sottoposti ancor di più, nuovamente, alle sollecitazioni psicologiche del caso. Sono sicuro che tra voi troverete la giusta sintesi per far uscire un’unica ordinanza che sappia dimostrare alla popolazione unità d’intenti nel momento difficile che stiamo tutti attraversando».
Coldiretti denuncia «Stop a 180mila locali. Perdita fatturato di 3,8 miliardi di euro»
Una perdita di fatturato di 3,8 miliardi è l’effetto della chiusura per un intero mese degli oltre 180mila ristoranti, bar e pizzerie situati nelle aree classificate di gravità massima o elevata in base al rischio contagio da coronavirus. È quanto emerge dallo studio della Coldiretti sulle conseguenze dell’entrata in vigore del nuovo DPCM pubblicato in Gazzetta Ufficiale che individua tre livelli di rischio lungo la Penisola.
«Sulle aree del territorio nazionale caratterizzate da uno scenario di elevata gravità e in quelle di massima gravità – sottolinea la Coldiretti – sono sospese tutte le attività di ristorazione e, quindi, anche la somministrazione di pasti e bevande da parte degli agriturismi. Si tratta – precisa la Coldiretti – di oltre la metà delle strutture di ristorazione presenti sull’intero territorio nazionale. Nelle zone critiche – continua la Coldiretti – è consentita la sola consegna a domicilio, nonché fino alle ore 22 la ristorazione con asporto, con divieto di consumazione sul posto o nelle vicinanze dei locali. A preoccupare – denuncia la Coldiretti – è anche lo stop all’attività degli oltre 10mila agriturismi presenti in queste aree». «Gli effetti della chiusura delle attività di ristorazione – continua la Coldiretti – si fanno sentire a cascata sull’intera filiera agroalimentare con disdette di ordini per le forniture di molti prodotti agroalimentari, dal vino all’olio, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura ma anche su salumi e formaggi di alta qualità che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo la ristorazione – precisa la Coldiretti – rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato. Le limitazioni alle attività di impresa – conclude la Coldiretti – devono dunque prevedere un adeguato e immediato sostegno economico lungo tutta la filiera per salvare l’economia e l’occupazione in un settore chiave del Made in Italy.