Corruzione, il giudice Capuano condannato a otto anni e dieci mesi

Il verdetto per l'ex magistrato della Sezione distaccata di Tribunale di Ischia è arrivato al termine del giudizio immediato celebrato presso il Palazzo di giustizia di Roma. Il pubblico ministero aveva chiesto 6 anni e 4 mesi, ma il collegio giudicante ha adottato il pugno di ferro. Scontato il ricorso in appello

Non ha fatto sconti il Tribunale di Roma nel processo originato dall’inchiesta anti-corruzione denominata “San Gennaro”, coordinata dalla Procura della Capitale. Il verdetto nei confronti degli imputati, tra cui anche il giudice Alberto Capuano, fino al 2019 in forza al Tribunale di Ischia, è arrivato nella serata di ieri, al termine della seconda giornata dedicata alle discussioni finali delle difese. A dispetto della richiesta del pubblico ministero, che la scorsa settimana aveva invocato una condanna a sei anni e quattro mesi per il magistrato, il Tribunale di Roma è andato oltre, comminando una condanna a otto anni e dieci mesi di reclusione. Si tratta della condanna più pesante: tra gli altri imputati Antonio Di Dio, consigliere circoscrizionale della municipalità di Bagnoli, e Valentino Cassini, libero professionista nel commercio al dettaglio on line, sono stati infatti condannati a 6 anni e 6 mesi, mentre per Giuseppe Liccardo, pregiudicato, il verdetto è stato di 4 anni. Le accuse per gli imputati erano, a vario titolo, quelle di corruzione nell’esercizio della funzione, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e in atti giudiziari, traffico di influenze illecite, millantato credito, tentata estorsione e favoreggiamento personale.

Gli altri imputati Antonio Di Dio, consigliere circoscrizionale della municipalità di Bagnoli, e Valentino Cassini, libero professionista nel commercio al dettaglio on line, sono stati condannati a 6 anni e 6 mesi, mentre per Giuseppe Liccardo, pregiudicato, il verdetto è stato di 4 anni

Per il giudice Capuano, difeso dagli avvocati di fiducia Alfonso Furgiuele e Alfredo Sorge, il verdetto è piuttosto pesante, nonostante la mole di prove prodotte dalla difesa. Il magistrato, che fino al luglio di due anni fa ricopriva il ruolo di giudice penale alla Sezione distaccata di Ischia, era accusato di corruzione in atti giudiziari. Un’accusa che durante la travagliata fase pre-processuale sembrava aver perso parte della sua consistenza, considerando che l’impianto accusatorio era essenzialmente basato su certi discorsi e conversazioni intercettate che riguardavano un’altra vicenda processuale in atto, in relazione ai quali lo schieramento difensivo durante il processo ha cercato di dimostrare che non vi fu alcun intervento illecito del giudice Capuano presso i suoi colleghi, dunque un’accusa basata solo su parole e conversazioni prive di fondamento, in quanto la presunta opera di intercessione presso un magistrato per influenzare l’esito di un processo non avrebbe potuto aver luogo, in quanto il magistrato in questione era già andato in pensione.

Le accuse per gli imputati erano, a vario titolo, quelle di corruzione nell’esercizio della funzione, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e in atti giudiziari, traffico di influenze illecite, millantato credito, tentata estorsione e favoreggiamento personale

Dunque, il dottor Capuano avrebbe lasciato intendere di interessarsi alla cosa soltanto per prendere tempo e sottrarsi alla pressione dell’interlocutore. Tra le accuse minori, una riguardava i rapporti con il titolare di un’impresa di costruzioni che avrebbe compiuto lavori gratis per il magistrato: sul punto la difesa aveva prodotto elementi per spiegare la completa liceità di tali attività, che comunque sarebbero poi state pagate. Un’altra vicenda riguardava un soggetto che avrebbe confidato in un intervento di Capuano presso i giudici per favorire la sospensione di un abbattimento. Intervento che non ci sarebbe stato, in quanto il giorno dopo la conversazione incriminata l’abbattimento era poi effettivamente avvenuto: dunque, secondo la difesa, non ci sarebbe stato da registrare nessuna illecita ingerenza del magistrato nella vicenda.

Le motivazioni della sentenza dovrebbero essere depositate entro trenta giorni

La difesa aveva cercato di dimostrare l’innocenza del proprio assistito anche relativamente ai lavori eseguiti presso il centro estetico gestito dalla moglie: tutti i materiali, ricevute alla mano, sarebbero stati acquistati e regolarmente pagati con bancomat o carta di credito direttamente dal dottor Capuano e che allo stato dell’arte una sola impresa risultava non pagata unicamente perché non aveva ancora ultimato i lavori. Anche un viaggio in Colombia non sarebbe affatto da considerarsi come un “favore” fatto da terzi al magistrato, ma sempre pagato con i fondi nella disponibilità dell’indagato e dunque non rappresenterebbero affatto – come sosteneva l’accusa – il corrispettivo per qualche “favore” nei confronti di altri soggetti. Nonostante le deposizioni dei testi indicati dalla difesa, il Tribunale ha ritenuto il dottor Capuano colpevole dei reati contestati, anche se bisognerà leggere le motivazioni, il cui deposito è atteso entro trenta giorni, mentre è scontato il ricorso in appello contro la decisione di ieri.

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