Con il ritorno alle vecchie abitudini domestiche il carbone e il braciere diventano per la parte alta dell’isola l’atteso e migliore regalo di natale
Il pungente freddo serale in attesa di essere “riscaldati” da un clima natalizio rassicurante che ci faccia dimenticare i danni della pandemia
Siamo in pieno clima prenatalizio con un freddo tipico di questo periodo quando la natura senza riguardi per nessuno ci mette del suo. Il grande Roberto Murolo quando cantava la vecchia canzone napoletano “Mo vene Natale, nun tengo renar, me metto u cappot e me vac a verè, mo vene natale, nun tengo renare me fumme na pippa e me vac a cuccà…”. L’artistita partenopeo con questi suoi versi cantati interpretava ad arte e con genuini sentimenti la condizione e l’animo semplice del popolo povero napoletano. Cosi era anche per la nostra isola nell’anteguerra e nel dopo guerra, dove lo scenario locale non variava molto e dove con pochissime risorse ci si scaldava tutti intorno ad un braciere col sogno di un Natale caldo e ricco.
Tempi magri di una vola che non hanno nulla a che vedere con i giorni d’oggi sia pure portatori di uguale freddo , nonostante la pandemia , ma con i mezzi sicuri per affrontarlo. Torna alle vecchie abitudini e tradizioni chi invece non possiede le comodità moderne che gli rendono l’esistenza più facile da vivere. Dalle parti di Serrara Fontana, Buonopane, Testaccio, Succhivo, il Ciglio ed altre località dell’entroterra c’ è chi fa ancora uso del carbone, delle carbonelle e del vecchio e tradizionale braciere. Per certi “paesani” il braciere ed un asciuttapanni valgono più di un impianto di riscaldamento e di una stufa moderna. Valli a convincere…Ma in fondo tanti torti non avrebbero, specie se vengono fatti i conti in tasca. La nostalgia delle cose belle del passato a volte torna, E quando lo fa ti strugge e ti fa vedere tutto diversamente. Quando nell’immediato dopo guerra ed anche prima del secondo confitto mondiale, giungevano quasi in contemporanea intorno alle nove del mattino nel porto d’Ischia ed al pontile di legno ad Ischia Ponte le due vecchie motobarche, la “ Scarola” e il “Salvatore Padre” provenienti, la prima dal porto di Torre Annunziata e la seconda da Pozzuoli, cariche di carbone, nei due centri, già animati dal vociare e dal via vai di donne e uomini, chi diretti al mercato per la spesa quotidiana e chi al posto di lavoro, si inscenava una piccola e simpatica festa. Una festa di paese sicuramente, ma tanto improvvisata quanto ricca di buoni sentimenti. Due personaggi del popolo, per l’attesa circostanza, abilitati a farlo, scendevano in piazza, per le strade principali e per i vicoli a dare il benvenuto alla “varca re caraun” giunta ad Ischia, annunciandone l’apertura della vendita al peso di un kilogrammo ed oltre, sia al Ponte che al Porto per chiunque ne avesse di bisogno. In realtà si trattava di due “banditori” con licenza di ricoprire quel ruolo. Tore ‘e Carretta a Ischia Ponte e Saturino a Porto d’Ischia, con voce tuonante e prolungata annunciavano al popolo, l’atteso “evento” che in pratica, permetteva di rifornire case, aziende, comunità di pescatori, cantieri navali, contadini che producevano il vino cotto e quanti altri ancora dipendevano per la vita, dall’uso di quel prezioso prodotto nero che fra l’altro sporcava anche.
La festa, ignari di quanto accadeva, la facevano i bambini che seguivano divertiti i due banditori, come se ciascuno di essi fosse il flauto magico. Il carbone a quei tempi ed anche molto prima, era un prodotto necessario per il focolare domestico degli ischitani. Col carbone si accendeva il fuoco resistente per cucinare, per riscaldare la casa, attraverso la funzione di un apposito braciere, divenuto subito oggetto utilissimo e di arredo per ogni abitazione. Col carbone inoltre si accendevano grossi fuochi sotto altrettanti grossi pentoloni per la tintura delle reti dei pescatori, per la tradizionale “culata” che consisteva nel mettere a mollo caldo la biancheria di casa (lenzuola, federe, asciugamani, camice da notte) rigorosamente di lino pesante ricoperti in superficie da uno strato di cenere chiamata col linguaggio popolare “cernitura” . Col carbone del tipo carbon fossile, in fine lavoravano sull’isola le botteghe dei fabbriferrai per piegare il ferro sulla fiamma rovente. I carbonai a Ischia non sono stati in molti. Due o tre per Comune per servire una popolazione nel suo fabbisogno domestico. A Ischia Ponte con proprie botteghe lungo il Corso hanno fatto la storia di questo mestiere negli anni ’50 Gilda (Gildarella) Di Meglio-Cortese e un simpatico personaggio conosciuto col nome di Palluottolo al secolo Vincenzo Lauro, con un mezzo sigaro spento abitualmente fra le labbra. A Porto d’Ischia, proprio lungo via Porto, si ricordano le bottghe-depositi di Mancinelli, il quale insieme ai colleghi degli altri comuni dell’isola, si riforniva direttamente dai barconi quando questi, oltre alle motobarca “Scarola” e “Colomba”, giungevano nel porto di Ischia da Torre Annunziata e da Torregaveta.
Foto Giovan Giuseppe Lubrano Fotoreporter
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