Non voglio parlare del fatto che il 9 giugno c’è stata la determina nr 21 la quale assegna il porto di Lacco Ameno alla società Marina di Capitello S.c.a.r.l. attuale concessionario della struttura, al cui vertice ci sarebbe l’operativo esecutore – forse su più fronti – Peppe Perrella. La formula usata sarebbe quella della “aggiudicazione definitiva ma non efficace”. Cioè si vincolerebbe l’efficacia dell’atto al possesso di particolari requisiti che saranno valutati, si presume, dall’amministrazione. Non voglio neppure parlare delle pieghe di una procedura che non solo ha prodotto un tale risultato ma sembrerebbe indossare una maschera legale che più volte, però, avrebbe mostrato secondo molti i suoi lati oscuri in quest’ultimo anno; e forse anche prima. Non voglio neanche accodarmi alle domande di una parte dell’amministrazione, giustamente per i più ingenui, sul perché quella di Perrella sia stata l’unica azienda ad aver presentato una proposta di project financing. Magari l’idiota di turno potrebbe pensare che il motivo andrebbe ricercato tra le increspature del “nessuno sapeva o ha mai saputo” in via ufficiale -mancando proposte di avviso pubblico- se non per un tempo ristretto dell’ iter in atto. Per logica se è stata l’unica società a inoltrare quel progetto di investimento, il comune di Lacco Ameno a chi avrebbe potuto mai affidare la gestione del porto? A Morgan dopo che è stato sfanculato da X Factor? Su ragazzi, siamo seri. Non voglio, manco per niente, no e poi no, accennare al fatto che mentre oggi Lacco Ameno annaspa, avanza dalla società che s’è aggiudicata di nuovo gli ormeggi un piccolo tesoretto maturato da almeno due anni, ancora forse mai saldato, e che potrebbe tornare utile alle casse della collettività. A chi importa? Forse non agli abitanti di Lacco Ameno di cui gran parte sembra indaffarata a organizzare sagre e feste. No. Non voglio parlare di tutto questo. Non farei altro che alimentare l’orticaria di Perrella, o di qualche suo amico, ogni volta che la mia aura energetica sfiorasse nelle vicinanze la sua o a distanze superiori ai cinquanta metri e mi precluderei la possibilità di diventare suo amico. In realtà mi sono rotto le scatole di scoperchiare, certe volte e quando capita, retroscena di una storia, parlare o scrivere di fatti e portarli all’attenzione dei (pochi) lettori, o addirittura fare previsioni che puntualmente trovano riscontro nei fatti stessi. Mi sono rotto il cazzo di stare sulla bocca di gente che non ha altro fine se non quello di grattarsi le palle di fronte alla storiella del bene comune con cui ci stanno fottendo mentre, al contrario, tanti -mentre si consumano lo scroto – vogliono solo conoscere la ragione per la quale scrivo di cose spesso scomode e perché lo faccio in quel modo. O vogliono che io risponda a domande neppure tanto dirette, alimentando al contrario gli inciuci, che hanno il solo scopo di soddisfare la curiosità diffusa di sapere di cosa mi occupo o se mi nascondo dietro tizio o caio o dietro a mille cose fittizie. O sapere se zappo la terra e coltivo pomodori (per carità, oggi farei i soldi!) dedicandomi al mio orto a chilometro zero. O, ancora, se faccio un lavoro d’ufficio seduto alla mia scrivania; o se, infine, campo di rendita grazie all’aiuto divino di un lontano parente morto in Tanzania che mi ha lasciato nella sua eredità una miniera di diamanti. Domande inutili e pettegolezzi su altri rappresentano il tipico atteggiamento di chi non vuol guardare la realtà in faccia. Ci sono momenti per cui a volte è meglio usare frasi di circostanza per uscire in modo dignitoso da una situazione apparentemente difficile. Chi dice sempre quello che pensa può vantare di esser parte di un’evoluzione parallela della specie umana ma alla fine potrebbe trovarsi in difficoltà e perciò fare una brutta fine. Per esempio scoprirsi iscritto in uno di quei gruppi su facebook, tipo “vogliamo il rispetto della legalità ma intanto facciamo una sagra” o “ridateci l’indennità di disoccupazione”. O magari entrare nella loggia del loop schizofrenico in cui si corre il rischio di ripetere all’infinito di essere una persona perbene, intelligente e istruita per il sol fatto di aver frequentato a giri di vari cicli lunari l’università dopo le superiori, e di convincersene. Fatta salva l’incapacità di capire un discorso elementare le cui basi dovrebbero iniziare a radicarsi sin dall’asilo. Siccome non appartengo a questa squadriglia di intelligenza indotta – e per rispetto dei tonti cavernicoli vi dico che vorrei farne parte: mi piacerebbe conoscere e capire di attività neuronali ancora in costruzione, come i vecchietti che restano immobili davanti ai cantieri a controllare che tutto proceda secondo la legge- potrei usare la sincerità come arma di distruzione di massa. Non sapendo come maneggiarla credo sia meglio essere ipocriti o, in casi come questo e specie nei momenti di tristezza, rimanere in silenzio. Insomma, Perrella, grazie per aver raccolto questa sfida che è anche la nostra. Prendici e portaci per mano a largo, dove ti porta il cuore. Risolleva e colora lo spazio del porto e facci uscire da questo pazzo fotoromanzo fatto di ormeggi in bianco e nero.