Ci serve un golpetto
di Graziano Petrucci
Premessa 1. Voglio ricordarvi uno dei motivi per cui alla rubrica ho preferito attribuire questo “titolo”. Non tutti, almeno uno. Una rubrica è fatta di parole, alcune delle quali spesso inutili perché destinate a cadere nel vuoto, accompagnate in alcuni casi da altre “parole sporche” il cui uso non è compreso da tutti. E questa cosa, se ci pensate, è bellissima. Perché non tutti possono comprendere, neppure quando affermano di leggere centinaia di libri. Diciamo che è più una questione di sensibilità (che manca, a volte, anche nel mio caso). Premessa 2. Sono finite le feste e le passerelle come i selfie con attori, produttori, imprenditori, sindaci e comuni mortali, alieni hollywoodiani o isolani, squadra alla quale anche io- lo confesso – ho apportato il mio contributo. L’isola torna alla sua eroica efficienza. Ah, quasi dimenticavo. A proposito della mia partecipazione a qualche serata del Global. Sia chiaro, c’è stata. Non senza generare l’orticaria a qualcuno che per evitare il prurito – e me – o ha cercato riparo dietro qualche siepe o nel piatto trincerato dalle portate o si è mescolato tra la popolazione vip per evitare d’essere riconosciuto. L’estate, dopo tutto questo trambusto di «prêt-à–porter», continua nel suo flusso ininterrotto ritmato dal traffico e dal caos, da tassisti che inculano i propri colleghi di altri comuni perché non accenderanno mai il tassametro, e non gli interessa farlo, e appuntamenti “istituzionali” tra sindaci. L’isola tende a ritornare la serena rete di rapporti che s’intrecciano nel sotto bosco delle relazioni, incastrata in questa sperduta radura che è il golfo di Napoli. Se per la maggior parte del tempo è ben nascosta all’ombra della più conosciuta Capri, tranne qualche rara occasione rappresentata proprio dall’Ischia Film Festival e l’Ischia Global come il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo in cui riesce a mettere la testa fuori dall’acqua per riprendere il fiato della notorietà, significa a differenza di quanto si creda che non abbiamo difficoltà con il marketing. Questa sconosciuta materia in cui ogni tanto a causa dell’eccessiva preparazione si gettano sindaci e normali consiglieri, va a braccetto con l’incapacità e ne dovremmo andar fieri. Ciò significa che abbiamo raggiunto un livello altissimo dell’ arroganza e che per noi non esistono limiti. Diciamo la verità, non è da tutti. Riflessione. Se i capresi ci sanno fare con quel poco che hanno a disposizione, sia in termini di notorietà e sia in quelli di una più ampia visibilità del proprio territorio che lanciano in altri mercati in maniera coordinata e continuata, e ci superano, la colpa non è la loro. In altre parole, il demerito nel non riuscire a gestire e comunicare ciò che abbiamo a differenza di chi lo fa e – ripeto – con poco, è più attribuibile a noi inetti che non ad altri i quali occupano con semplicità uno spazio che non abbiamo difficoltà a lasciare libero. Per giunta senza bisogno d’inutili corsi di formazione o di una linea unica e unitaria. Riconoscerci, con umiltà, questa incapacità senza ipocrisie è il primo passo per sbattere contro il muro dei “nostri” limiti che scavalchiamo troppo spesso. Anche perché non sapendo dell’utilità che può avere la preparazione e la competenza, magari c’è chi spende i propri soldi in corsi di marketing per raggiungere un risultato che a noi riesce benissimo e senza fare niente. Quest’atteggiamento potrebbe farci salire in cattedra in scuole dedicate e organizzare moduli specifici su come perdere appeal. Per esempio la settimana scorsa Lacco Ameno e il suo centro ad alta densità turistica, a causa della pioggia estiva, si è trasformato per un breve momento in location per scene, filmati, fotografie e selfie da parte dei turisti che camminavano meravigliati su un letto di melma e carta igienica soffiata verso il cielo da tombini segnalati da una transenna e una candida busta bianca colma di rifiuti. Molti di loro non si erano mai trovati sul set dell’incapacità – che non è o almeno non è solo riconducibile a questo giovane governo ma viene da anni d’incuria – che, beninteso, possiede ogni singola fetta dell’isolotto governata da ognuna delle sei amministrazioni. I cui gestori hanno sempre fatto del potere locale, che diventa nel suo naturale processo personale e individuale, una comoda sedia su cui poggiare le chiappe. Oltre qualche tentativo di rianimare il territorio – non si possono dimenticare quelli dell’assessore alla cultura Cecilia Prota e a Ischia dell’assessore Carmen Criscuolo – in fondo abbiamo l’oblio che meritiamo, porto compreso. Lacco Ameno però non è l’unico posto di cui si può parlare. Chiaro. Tuttavia mi meraviglia una cosa che si estende ad ampio spettro sugli intrecci isolani. Ossia non c’è nessuno che, magari pure dietro lo slogan #iloveischia, sia in grado di chiedere a gran voce, unitaria e pubblica, almeno l’unione dei servizi o di quelli del trasporto pubblico. E proprio ciò rappresenta una parte di quella contraddizione che evidenzia l’esistenza, per certi aspetti, di due isole scollate, separate e incomunicanti. E in questo palcoscenico fatto di interessi personali e incomunicabilità tra popolazione e amministrazione, pure un golpetto tipo quello in cui s’è ritrovata la Turchia, avrebbe difficoltà a essere riconosciuto.
[La foto del corso di Lacco Ameno è stata recuperata dalla pagina Fb dell’architetto Vincenzo Gamboni]
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