Che c’è da essere ottimisti?
di Graziano Petrucci
Vorrei pensarla come qualche troglodita – una specie non poco rara di «homo dementis» che, com’è chiaro, non è in estinzione e opera a qualsiasi grado e livello: politico o imprenditoriale come nella fascia dei lavoratori dipendenti – ma, scusatemi, non ci riesco. Il problema, pure di chi ne sa più di me sicuro, è che per affrontare certi argomenti, per esempio quelli che riguardano due asset i quali il più delle volte si presentano nella forma di difficoltà da risolvere, cioè il turismo e il trasporto pubblico, bisogna avere un certo tipo di competenze ma spesso basterebbe pure qualche idea. E di solito, chi è immerso in queste facce spigolose del mercato e dell’economia isolana, non ha la preparazione adatta per parlarne e neppure la facoltà di pensiero. Sia chiaro, neppure io conosco tutto ma nulla ci vieta di poter gettare qualche seme, un’ idea, e augurarci di trovare un terreno capace di accoglierlo per costruire un ponte nel futuro che è adesso. Premessa 1. Certe volte non riesco proprio a vedere segnali di speranza per questo tipo di società isolana seduta su se stessa, per cui posso tranquillamente iscrivermi nella schiera dei pessimisti, pur essendo ottimista per natura. Passato capodanno comincia un nuovo anno. Che dire se non “benvenuto 2017”. I dubbi e le perplessità, però, restano quelle degli anni passati. Per esempio, prendiamo il turismo e le attività a esso connesse o dipendenti, in cui s’inserisce la fragorosa «destagionalizzazione». Questa si porta dietro tanto la possibilità di favorire il turismo stesso, quello invernale oltre che estivo, quanto la preoccupazione – eccone una – che ha al proprio centro il lavoro e l’indennità di disoccupazione. Questa, sostituita dalla NASPI, rischia quasi certamente di essere cancellata completamente e la criticità sembra non interessare a nessuno. Tranne che a certi imprenditori (cui fa gioco lasciare le cose come sono) e comitati di lavoratori che si ostinano a chiedere la tutela dell’indennità invece che organizzarsi per pretendere l’apertura delle strutture ricettive dodici mesi l’anno. Il mio pessimismo, insomma, non mi consente di guardare le cose che desidera un lavoratore stagionale che forse per miopia è spesso legato alla solita idea di lavoro divisa per fasi: 1) questua al datore per tirare per i capelli e strizzare una concessione per un lavoro di almeno sei mesi allo scopo di riuscire a fare la fila allo sportello INPS nei mesi invernali e recuperare ben novanta giorni d’indennità; 2) Tirare a campare in inverno, magari andando via dall’isola o aspettare l’apertura a singhiozzo nei mesi invernali di poche strutture ricettive, per poi rientrare nel vortice assorbente di un lavoro estivo. Per conseguenza 3) Felicità dell’(im)prenditore che tra alti e bassi affronterà, di nuovo, la stessa stagione. Per intenderci, non tutti i lavoratori sono o si comportano così e non tutti gli imprenditori sfruttano questa ristrettezza e stitichezza di vedute o fanno lo stesso. Tuttavia è un dato, il fatto che non si riesca a prolungare la stagione turistica – dividendola perciò in invernale ed estiva -, tutelare il lavoro garantendolo per più tempo e oltre i sei mesi e allontanare il timore di restare senza il supporto dell’INPS o con il portafogli vuoto. La soluzione, è evidente, è allungare la stagione, proporre incentivi o sconti agli alberghi che vorranno restare aperti d’inverno e non i cortei a Roma, legittimi per carità ma poco funzionali, per “proteggere” l’indennità di disoccupazione. Premessa 2. Se non ci sarà una sostanziale frattura da comportamenti radicati nel paleolitico isolano, che finora non ci ha portato grosse rivoluzioni se non la malinconia dei ricordi, in questo «stato di cose» non andremo lontani. Fermo restando che davvero vogliamo andarci lontano perchè se si preferisce restare seduti, allora, la cosa è diversa. Ci piace in certi casi lamentarci ed essere pastori inconsapevoli. Lagnarci per sperare che il prossimo sarà l’anno della svolta è uno sfogo cui ci sforziamo di credere. Il trasporto pubblico è un’altra nota dolente. Pare stia attraversando una fase positiva e va segnalata l’iniziativa dell’imprenditore Salvatore Lauro che con la cooperativa Tasso ha messo in piedi «Ischia Mobilità Turistica». Tuttavia ci sono stati alcuni operatori del servizio pubblico da piazza (taxi) che si sono lamentati di una sorta di concorrenza sleale. Non è della concorrenza che voglio parlare ma della scarsa lungimiranza di alcuni tassisti. Mentre tra loro c’è chi ha capito che bisogna adottare un regolamento unico, e cancellare in un colpo solo sia i confini amministrativi e il limite che deriva dalla legge per la quale un taxi che ha la licenza rilasciata in un comune può caricare solo in quello che gli ha rilasciato l’autorizzazione e chi carica in un comune diverso è fuorilegge, c’è la maggior parte che parla a vanvera. Per esempio, se ci fosse stata la pretesa di un regolamento unico con lo scopo di organizzare il servizio di trasporto pubblico, magari l’iniziativa dell’imprenditore Lauro con i mezzi a un prezzo standard avrebbero potuto adottarla loro e pure in maniera diversa. In tal modo avrebbero stimolato la gente a prendere il taxi, invece che l’autobus o la propria auto. Inoltre avrebbero sviluppato una sinergia tra gli operatori che si sarebbero trasformati, immediatamente, in soluzione per il traffico e il trasporto sull’isola in genere. Tutto sta cambiando ma per guardare il mondo ci ostiniamo a usare occhiali vecchi e chi dovrebbe “dirigerlo” – in primis la politica – applica ancora modelli superati. Cosa c’è da essere ottimisti?
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