Cantine Cenatiempo, tutta una questione di stile
Ci sono i vini di lusso e qui è solo una questione di soldi e di moda; ci sono poi i vini con classe ed eleganza dove è questione di vigne e vignaioli: quelli che sono espressione e anima del territorio, carattere e orgoglio di chi li produce e che ad ogni vendemmia sorprendono con nuove emozioni. Prendi la Cantina Cenatiempo, ad esempio. Il 2016 ha regalato grandi soddisfazioni, è tutto venduto ormai da due mesi, il Kalimera uscito ad agosto è richiestissimo e non rimane che pensare a questo “benedetto” 2017 che rimarrà impresso nella mente per lunghi anni a venire. Parole che non sanno di retorica, quelle di Pasquale Cenatiempo, nel descrivere una vendemmia complicata,con la consapevolezza di trovarsi di fronte ad una situazione iniziale non certo facile da gestire, in vigna e in cantina. Ma lo stile di Pasquale è lo stesso di sempre ed è quello che lo contraddistingue: il garbo e l’onestà intellettuale, verso sé stessi e gli altri. Come i suoi vini, d’altronde. E soprattutto le sue idee ben chiare e i piedi per terra. Di certo, il lavoro esperto di un enologo come Angelo Valentino e un team di collaboratori super affiatato ha fatto sì che i “sudori freddi” di quest’estate siano ormai un brutto ricordo. I primi assaggi e le prime sensazioni danno infatti segnali positivi e se è vero quello che si dice, ovvero che il vino assomigli a chi lo fa, anche quest’anno i vini della cantina ischitana parleranno di territorio e tradizioni, con personalità e sfumature antiche ma rinnovate al tempo stesso.
“Inizialmente ero molto perplesso” racconta Pasquale Cenatiempo “ad agosto avevo delle gradazioni che di solito mi ritrovavo a settembre e per il troppo caldo i lieviti indigeni addirittura non riuscivano a partire. Angelo Valentino mi consigliava di rimanere con i piedi per terra visto che le uve non avevano ancora grandi profumi, non erano arrivate alla maturazione reale. Insomma, non ci si aspettava un granché da quest’annata”. Ma i vignaioli esperti non si lasciano trovare impreparati e quelle attenzioni particolari, messe in atto in vignasin da subito, hanno permesso di poter gestire le situazioni più difficili con un po’ più di tranquillità. Il raccolto ha portato alla fine uve sane e di qualità, anche se con una resa minore: lì dove si doveva, soprattutto sui nuovi impianti che non potevano aspettare troppo, la siccità ha spinto a raccogliere le uve con deciso anticipo, mentrela calma e il coraggio hanno avuto la meglio su quei ceppi più resistenti. “Sinora, gli assaggi che facciamo quotidianamente mi confermano che il Mavros e il Lefkos stanno dando delle belle sensazioni che mi fanno sperare bene” racconta Pasquale Cenatiempo“I rossi hanno davvero profumi molto ricchi e intensi, le concentrazioni sembrano molto buone. Finché non arriviamo in bottiglia non possiamo dire altro se non le nostre sensazioni. Sicuramente non riusciremo ad arrivare alla qualità del 2016 ma per altri aspetti ci sono segnali positivi. Se penso a quello che mi aspettavo inizialmente sono veramente contento”.
Una realtà che bada al sodo, quella delle cantine Cenatiempo, dove la qualità dei vini è connessa ai concetti di territorio, autoctonia, tradizione, ma anche oculata rivisitazione. Parole che a molti saprebbero di retorica poiché oggi, parlare di terroir, basse rese e vitigni autoctoni è ormai poco più che una moda, ma non era così nel 1995, quando Pasquale rilevò l’azienda del papà Francesco che la fondò a sua volta negli anni ’40. Cambiati i tempi, infatti, matura la decisione di una produzione di qualità e di scelte coraggiose, in linea con la natura espressa dal territorio. Un coraggio e una determinazione dimostrati anche in tempi in cui il mercato era assuefatto al gusto internazionale, quello dei vini piacioni, grassi e rotondi. Pasquale ha da subito le idee chiare e preferisce perseguire quell’idea genuina, completa ma articolata al tempo stesso, nella quale crede molto: la terra e le sue radici. Un’idea figlia di un’isola ricca di fascino, dove apprezzare un vino in tutte le sue sfumature entrando in contatto con la cultura del territorio è fondamentale, con tutta la sua tradizione antica, senza lasciarsi sedurre dalle mode: niente cultivar internazionali, ma solo biancolella, forastera e piedirosso. L’espansione dell’azienda di famiglia quindi non è stato il suo unico obiettivo: la ricerca continua e l’investimento di notevoli risorse per il recupero di antiche vigne da gestire, la ricerca e la sperimentazione di tecniche biologiche, al limite del biodinamico per favorire la massima espressione del territorio nella bottiglia.
E così grandi vini dell’azienda come il Lefkos, Kalimera e Mavros danno la parola alla terra, senza omologazioni di sorta. Affacciati dal grande balcone della tradizione più vera, inserendosi in pieno titolo tra quelle aziende del vino a metà tra passato e futuro, con una costanza di produzione annata dopo annata, continuando a rispettare le esigenze della natura, del clima e delle uve. Vini puliti, fruttati, di buona struttura e di elegante acidità, il cui stile è focalizzato e ben preciso: non snaturare lanatura dei suoli e la tradizione. Perché dentro una bottiglia di vino c’è molto di più del risultato di una mera maturazione dell’uva e dei suoi processi chimici: c’è la storia del territorio e soprattutto delle persone che quel vino lo hanno realizzato.
LEFKÒS, L’ESALTAZIONE DELLA TERRA. Biancolella e Forastera, vinificate in vasche di cemento e acciaio, sono le uve che compongono il Lefkos, il vino che richiama immediatamente alla memoria Ischia, le sue antiche tradizioni e la sua accogliente ospitalità, l’esaltazione della terra con le sue specificità. Dal carattere vulcanico ma nel contempo gentile e delicato, si presenta nel suo sfavillante paglierino e carico di un bouquet di note agrumate, di cedro e buccia di limone, che anticipano un ventaglio variopinto di frutta ed essenze mediterranee: dalla pesca bianca alla salvia, sfumature di albicocca e mandorla, una punta floreale e una piacevole scia minerale. L’assaggio è coerente, vibrante nell’approccio al palato, centra in pieno la rispondenza al terroir con una lunga persistenza minerale e sapida, a braccetto con un corpo morbido ed elegante e il ritorno di delicati accenti agrumati. Ideale per accompagnare il pescato locale, grigliato o al sale, sauté di frutti di mare, ma anche carni bianche con erbe aromatiche.
Malinda Sassu