Col nuovo ripiego dell’ASL Napoli 2, di cui è mega Direttore galattico l’inafferrabile dott. D’amore con l’ufficio arredato da 100 piante di ficus e l’acquario in cui nuotano dipendenti sorteggiati, si potrebbe registrare un aumento collettivo di dopamina nel nostro cervello. Anzi no, forse è più probabile che aumenti in quello dei medici i quali in prima linea assolvono i bisogni di una Sanità che sull’isola, se non ve ne foste accorti, non se la passa tanto bene. Eppure insieme agli infermieri, ogni giorno, fanno in modo di tenerla a galla. Il neurotrasmettitore, la dopamina appunto, modula il meccanismo del piacere e della ricompensa. In pratica: ti do una caramella e tu sei felice – fesso, in alcuni casi – e contento.
La deliberazione di revisione delle funzioni adottata la scorsa settimana dall’Azienda Sanitaria, potrebbe perciò porsi come causa apparentemente regolatrice di questo meccanismo primitivo che aumenta la sensazione di godimento, sì, ma con effetti di breve durata. Concordata con le organizzazioni sindacali, chi lavorerà di più sarà pagato di più. Proprio come un’azienda. L’aumento interesserebbe i medici dirigenti e gli infermieri OSS del 118, i reparti ad elevata criticità e complessivamente le aree caratterizzate da elevata emergenza quali ad esempio il Pronto Soccorso. Per questi ci sarà la differenziazione della retribuzione accessoria in ragione dell’orientamento strategico dell’azienda che però, sembra, aver perso la sua visione d’insieme. Al posto di assumere altri medici, si chiede a quelli esistenti di lavorare senza interruzioni e, per propria volontà, ricevere una caramella. Lo ricordo a chi lo avesse dimenticato: ad “azienda” va aggiunto “sanitaria”. Secondo l’enciclopedia Treccani, l’aggettivo “riguarda la sanità, lo stato di salute, le condizioni igieniche di una collettività” e con riferimento al Servizio Sanitario Nazionale dice che è “costituito (secondo la definizione ufficiale) dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizî e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, la cui attuazione compete allo Stato, alle Regioni e agli enti locali territoriali, con la partecipazione dei cittadini”.
Se volessimo fare una rapida manovra di humor nero, che i cittadini vi partecipino non vi è dubbio. Tanto il 118, quanto il Pronto Soccorso, specie nell’Ospedale Rizzoli, per fermarci a casa nostra, restano snodi principali di partecipazione. Poi se è il caso di trasportare possibili urgenze a Napoli, perché a Ischia non vi sono i reparti o gli strumenti idonei per consentire ai medici di occuparsene, allora la partecipazione dei cittadini è doppia. Diventa tripla con la completa assenza delle sei amministrazioni, caratterizzate dall’incapacità di fare la voce grossa e pretendere in forma unita ed univoca un ospedale moderno e all’avanguardia. Lasciando da parte qualche facile sogghigno, a giudicare dal comunicato il direttore D’Amore non solo è contento di aver raggiunto la quadra con i sindacati ma è convinto che “grazie a questo nuovo modello, lavorare al 118 o al Pronto Soccorso diventerà un criterio economicamente premiante”. Tradotto: “vuoi guadagnare più di quello che oggi porti a casa? Bene. Più 118 e Pronto Soccorso, per tutti!”. Come se fare il medico o l’infermiere fosse da intendersi semplice lavoro di routine, non invece un ruolo in cui esistono particolari responsabilità professionali ed umane all’interno, appunto, di una visione d’insieme. Tutto ciò costringe a una riflessione. Forse più di una. Oltre all’aumento della retribuzione lavorando di più, immancabilmente aumenterà lo stress per chi aderirà al ripiego “aziendale” marchiato ASL, e per tale misura ne sarà il principale destinatario. Insomma se lavori in un posto che non può definirsi moderno e solo per raggiungerlo ti ci vuole almeno mezza giornata senza alcun tipo di indennità, condizioni meteo marine permettendo, non si può dire di essere usciti dal terzo mondo. Non è tutto. Secondo una ricerca di Assosalute (Associazione Nazionale Farmaci di automedicazione) che fa parte di Federchimica, l’85% degli italiani – 9 su 10 – soffre di disturbi legati allo stress.
Stanchezza, irritabilità, ansia, mal di testa, digestione lenta, bruciori di stomaco, insonnia, tensioni muscolari. A volte herpes e cuore «impazzito» completano il quadro con il calo delle difese ci si ammala con facilità. Secondo un altro studio, questa volta dell’Anxiety and Depression Association of America una popolazione di oltre 40 milioni, cioè il 18% degli americani, presenta sintomi riconducibili all’ansia. La situazione diviene più grave a causa della sindrome da burnout, che colpisce chi soffre già di ansia e stress, per non parlare di chi è malato di depressione. Nel 2019 l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha riconosciuto l’esistenza del burnout come “sindrome” e le ha attribuito un livello di pericolosità altissima tale che in alcuni casi diviene una condizione cronica e raramente curabile. Chi può soffrire della sindrome? Ecco la sorpresa. Tra i destinatari possibili c’è chi svolge una professione di tipo assistenziale, medici in testa. A seguire insegnanti, poliziotti e vigili del fuoco. Chi è affetto da burnout si mostra scostante, cinico, inefficiente, depresso o rabbioso nelle proprie mansioni e svuotato emotivamente. Altri sintomi sono le dimenticanze o il commettere errori stupidi, oppure soffrire di piccoli disturbi cronici che indicano dei livelli troppo alti di stress. A differenza dei paesi anglosassoni, in Italia, la sindrome non prevede copertura normativa. Per questo motivo non è inserita nelle tabelle INAIL che regolano gli indennizzi tra aziende e dipendenti, come in Francia dal 2008, perciò tra il 2010 e il 2014 nel nostro paese sono stati riconosciuti “solo” 132 casi di stress dovuti al troppo lavoro. Per il sistema sanitario la sindrome è la causa di un progressivo peggioramento del servizio oltre che di un abbassamento degli standard qualitativi. L’insoddisfazione degli utenti poi ha un impatto economico non indifferente, sia perché può crescere il numero di cause mosse per malasanità, sia perché il sistema deve curare gli operatori affetti dalla sindrome di burnout. Tutto ciò consente di fare una seconda riflessione. Non solo di tipo economico, a fronte di un vantaggio “retributivo” per medici e infermieri, ma può presentarsi anche scollegata dagli effetti derivanti da un aumento dello stress sul posto di lavoro. Spreco di risorse, inefficienza dei reparti per loro inadeguatezza, possono portarci su una strada ben diversa da quella tracciata dal “Servizio Pubblico Nazionale” che non ce la fa più e ricercare “rimedi alternativi”. Sta accadendo in Piemonte con la privatizzazione dei reparti di Pronto Soccorso. Lo scenario di una crisi annunciata potrebbe indurre l’attivazione di gruppi privati convenzionati pure in altre specialità, quali Cardiologia, Ortopedia e Traumatologia, cosa che già si prevede per la gestione della Sanità in quella Regione in affanno come la nostra. Insomma D’Amore e d’accordo, nell’indifferenza popolare, nel più completo silenzio istituzionale e senza troppo stress l’eventuale privatizzazione della Sanità potrebbe trovare la sua esecuzione anche in Campania. Si comincia da piccoli passi e sempre col sorriso stampato sulle labbra si continuerà a pubblicizzare la delibera ASL, prima esperienza in Campania, come vantaggio economico a favore – certo, come no – degli operatori in “prima linea”.
Pagina Fb Caffè Scorretto di Graziano Petrucci