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«Caffè Scorretto» «Bravi al volante e Don Rodrigo per vocazione»

L’amico e collega Gianluca Castagna la settimana scorsa ha posto alcune domande al Professor Giuseppe Luongo. A distanza di sei mesi dal sisma che ha colpito una zona limitata, secondo alcuni, dell’isola d’Ischia, l’autore di numerose pubblicazioni sul tema e in particolare della monografia sul terremoto del 1883 a Casamicciola, e docente emerito di Vulcanologia dell’Università Federico II° e già direttore dell’Osservatorio Vesuviano, ha ripetuto un concetto semplice, chiaro e per niente banale che tendiamo a dimenticare con facilità. Per il professor Luongo le zone interessate dal sisma dovrebbero avere una diversa destinazione d’uso. Proponeva di realizzare, specie nella zona del Maio, un Centro di Ricerca Internazionale di eccellenza per studiare l’azione dei terremoti che avvengono a pochi chilometri di profondità, come a Ischia. Anche per evitare, magari, sviste clamorose sui dati da parte di Enti e Istituzioni preposti al controllo. Il docente ha affermato che come nel 1883, anno dal quale in poi cominciò lo studio moderno della nuova sismologia, proprio a Ischia, un Centro di questo tipo potrebbe diventare capofila di progetti di ricerca europei. Tradotto: accesso a fondi per la ricerca con l’isola al centro, sia a livello europeo sia internazionale. Il punto che ha evidenziato subito dopo il professor Luongo, però, dovrebbe farci sprofondare in una filiera seria di domande e per ognuna andrebbe cercata una risposta. «La classe dirigente non sta dando le risposte che la comunità aspetta. A differenza di quanto avvenne dopo terremoto del 1883, quando, a distanza di un anno da un sisma ancora più devastante, c’era già un progetto di ricostruzione, delle linee da seguire. Oggi mi pare che tutti abbiano paura di esporsi, paura del fallimento. E’ tutto fermo. Eppure bisogna avere il coraggio di proporre una visione per il futuro di questo territorio Anche qualcosa d’importante. Il post terremoto può essere peggio del terremoto quando non si prendono decisioni o non si hanno le idee chiare. I disastri sono occasioni perché azzerano modelli pregressi, rappresentano momenti per rivoluzionare la concezione stessa di città e comunità». Inutile porre l’accento su “classe dirigente”, che in questo caso” è anche “classe politica”. Secondo il Professore, tuttavia, siamo immobili. Ed ha ragione. Domanda. Posto che le idee chiare non le abbiamo adesso come non le avevamo prima, e forse non le abbiamo mai avute, che tipo di “comunità” siamo? Qualcuno l’ha capito o è capace di spiegarcelo o almeno è pronto ad iniziare un processo di autocritica? Se il Comune di Serrara Fontana, nei giorni immediatamente successivi al sisma, ha fatto dipendere le proprie azioni da chi era convinto che inviare aiuti avrebbe significato ammettere che un terremoto, in effetti, c’era stato pure a Serrara mentre al contrario bisogna far capire che “restava localizzato” in una minima parte dell’isola, forse come “comunità” oltre ai problemi di narcisismo estremo – in genere incarnati dagli entourage delle amministrazioni- dovremmo fare i conti pure con dubbi di tipo psichiatrico. Altra domanda. Abbiamo una visione per il futuro? Qui potrebbe cominciare una bella discussione. Prima di rispondere alla domanda ce n’è un’altra prima. Siamo davvero disponibili, la classe politica prima di tutto, a tradire e mettere da parte le vecchie visioni personali, in senso ampio raggruppa quelle di ogni sindaco al governo del suo singolo comune, che corrispondono a interessi che condizionano la vita di 65 mila abitanti, per approdare a una visione d’insieme? Volendo tornare sulla Terra, per farla breve e per dare a chi vuole la possibilità di capire il ragionamento, bisogna dire che nella biografia di chi oggi “occupa democraticamente” la poltrona – e non mi riferisco soltanto ai consigli comunali – non troverete nulla che possa somigliare a una specie di carica per l’affermazione di un distinguo allo scopo di confermare una collaborazione sana e duratura. Forse il già assessore del Comune di Ischia Carmen Criscuolo potrebbe rappresentarne un tentativo. Circa un anno fa, propose agli altri Comuni di costituire un tavolo di concertazione capace di occuparsi attraverso un ufficio ad hoc pure del settore – lo abbiamo visto, delicato – della comunicazione. Da alcuni ricevette un “no” secco, da altri non ha ricevuto ancora nulla. E ciò molto prima del terremoto. Questo è l’emblema di Ischia, dove la separatezza resta incapace di affrontare le vere questioni, salvo affermare di volerle risolvere e poi non sapere come metterci mano. Il guaio è che ognuno vuole sentirsi dire “bravo” dagli altri pure se non sa come fare le cose o solo perché ha detto di volere realizzare. E per un “bravo” che non serve a niente, ci saranno tanti “Don Rodrigo” pronti a sbarcare dalla terraferma a divorarci, socialmente, economicamente e politicamente, come hanno sempre fatto.
Facebook Graziano Petrucci

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