«Caffè Scorretto» «Auguri di Buone Teste»
Nell’antica Roma, forse di derivazione etrusca, esisteva l’ordine sacerdotale degli Àuguri. Secondo la leggenda, creato da Romolo, aveva il compito di interpretare le cose divine. Quel “volere degli Dei” che si manifestava per mezzo di vari segni tangibili. L’arte degli àuguri era chiamata augurio o auspicio. La loro funzione era di trarre gli auspicia (che deriva da ‘aves specere’, cioè “osservare gli uccelli”) dall’osservazione, dal volo, dal comportamento e dal verso degli uccelli dall’interno dei ‘templa’, gli spazi in cui si potevano osservare questi segni, per capire se gli Dei approvavano oppure no l’agire umano sia in pace sia in guerra.
Nell’antica Roma, forse di derivazione etrusca, esisteva l’ordine sacerdotale degli Àuguri. Secondo la leggenda, creato da Romolo, aveva il compito di interpretare le cose divine. Quel “volere degli Dei” che si manifestava per mezzo di vari segni tangibili. L’arte degli àuguri era chiamata augurio o auspicio. La loro funzione era di trarre gli auspicia (che deriva da ‘aves specere’, cioè “osservare gli uccelli”) dall’osservazione, dal volo, dal comportamento e dal verso degli uccelli dall’interno dei ‘templa’, gli spazi in cui si potevano osservare questi segni, per capire se gli Dei approvavano oppure no l’agire umano sia in pace sia in guerra
Per farlo dovevano necessariamente guardare in alto, osservare con attenzione il volo degli uccelli e, solo dopo, interpretare quei segni in grado di “suggerire” se qualcosa su cui si era già deciso incontrasse o no l’approvazione divina. I segni (detti ‘signa’) inviati dagli Dei potevano essere di varia natura. La scienza augurale dapprima era relativa solo all’osservazione dei volatili, dopo si dedicò pure all’interpretazione di altri ‘signa’.
Per esempio a quelli mandati dal cielo, come saette, lampi e tuoni, oppure agli auspici ricavati dal movimento di quadrupedi e dei rettili. In guerra, poiché era necessario usare segni di rapida consultazione, si servivano dei polli sacri osservandone il modo in cui beccavano il cibo. C’era, infine, un altro tipo di presagi che era tratto da avvenimenti crudeli o funesti. Se volessimo spostare l’attenzione all’oggi, nello spazio delimitato all’isola, e osservarne i segni si potrebbe trovare l’ambito specifico anche in terra, per cui non sarebbe necessario guardare in alto, e suggerire una ‘via’ diversa da quella che, consapevolmente oppure no, sta prendendo la comunità isolana. Posto, ovviamente, che davvero ne esista ‘una’. Per citarne qualcuno, si potrebbe scrutare la stasi decretata dal post terremoto o quella determinata dalla crisi di Casamicciola che poi è quella dell’intera isola d’Ischia o, ancora, osservare l’indifferenza celata nel ‘gioco’ della domanda che ha percorso le feste natalizie, il quesito “luminarie si o luminarie no?” divenuto quasi un segno esistenziale anche per scacciare il recente dramma di novembre che ne sta determinando altri.
Se volessimo spostare l’attenzione all’oggi, nello spazio delimitato all’isola, e osservarne i segni si potrebbe trovare l’ambito specifico anche in terra, per cui non sarebbe necessario guardare in alto, e suggerire una ‘via’ diversa da quella che, consapevolmente oppure no, sta prendendo la comunità isolana. Posto, ovviamente, che davvero ne esista ‘una’.
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Dalla lista neppure si potrebbe escludere l’orda di ubriachi che a Forio ha determinato la ‘guerra’ per mezzo di una rissa che ha caratterizzato la vigilia di Natale, segno che avrebbe chiesto – per gli Àuguri – l’ausilio di polli sacri che possiamo sostituire degnamente con quelli che si sono ingozzati di drink e aperitivi trascendendo il senso della realtà per piombare nel caos animalesco e tribale. Infine, tra i segni manifesti della (mancanza di) divinità e della lontananza di un ‘verso’ della società isolana, c’è l’assenza non di lettori ma della (loro) capacità di lettura, altrettanto grave quanto il resto. Si dice, o meglio si ritiene, che la responsabilità sia di chi ‘scrive’.
Si potrebbe affermare pure il contrario, cioè che un tale fardello non è solo di chi elabora un articolo o in alcuni casi scrive un libro ma anche di chi legge. Uno dei tratti distintivi oltre al tema trattato in un testo, è la relazione che si crea tra chi scrive e chi si adopera nella lettura, rapporto che produce un dialogo continuo e costante tra un ‘piano reale’ e quello ‘metaforico’ costringendo il lettore a una continua revisione cognitiva. Obbligandolo perciò a non essere superficiale, lo sottopone a una responsabilità enorme che si traduce nel riempire il senso con domande, con le inquietudini, con il vissuto e con l’io di ognuno in un rapporto intimo e personale nel quale da una parte s’interpreta ciò che si legge, dall’altra il testo s’impegna a leggere e interpretare il lettore. Quando tale relazione viene meno, e sull’isola è spesso questo il caso, il rischio di non capire ciò che si sta leggendo assume contorni grotteschi e capire una cosa per l’altra diviene un’operazione semplice. Ciò allora fa nascere per il lettore il dovere di leggere bene, di sforzarsi di capire un testo perché è importante farlo (bene).
Si dice, o meglio si ritiene, che la responsabilità sia di chi ‘scrive’. Si potrebbe affermare pure il contrario, cioè che un tale fardello non è solo di chi elabora un articolo o in alcuni casi scrive un libro ma anche di chi legge. Uno dei tratti distintivi oltre al tema trattato in un testo, è la relazione che si crea tra chi scrive e chi si adopera nella lettura, rapporto che produce un dialogo continuo e costante tra un ‘piano reale’ e quello ‘metaforico’ costringendo il lettore a una continua revisione cognitiva. Obbligandolo perciò a non essere superficiale, lo sottopone a una responsabilità enorme che si traduce nel riempire il senso con domande, con le inquietudini, con il vissuto e con l’io di ognuno in un rapporto intimo e personale nel quale da una parte s’interpreta ciò che si legge, dall’altra il testo s’impegna a leggere e interpretare il lettore
Cosa che fa aumentare la sua responsabilità perché un lettore che non è capace di leggere o capire non è in grado di attivare quel meccanismo di esame che gli consentirebbe di abbandonare il proprio ‘non senso’ per riempirlo con domande (e ricerca di risposte), trasmutando pertanto la lettura in ‘azione’. Leggere – bene – è reazione, è capacità di interpretare, non un semplice gioco passivo che limita chi ha trattato un certo argomento solo per depotenziarne lo sforzo frenando, di fatto, la reazione. Anche se leggere male, è un diritto, non può trasformarsi in una scusa solo per dichiarare qualsiasi castroneria, specie se slegata da ciò che si presume di aver letto. L’augurio, perciò, per questo Natale appena trascorso e per il nuovo anno, è che i lettori (di giornali, di libri, di riviste o quello che vi pare) di Ischia non siano più e soltanto una mandria di fruitori pigri, incapaci di comprendere un testo, e che ognuno possa trasformare la propria testa in qualcosa di pensante, in grado di interpretare e tradurre segni tangibili osservando il volo, il comportamento e il verso della società isolana. Perché proprio questa, oggi più di ieri, dipende dalla responsabilità di chi legge.
Pagina Fb Caffè Scorretto di Graziano Petrucci