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Braccio di ferro con le Terme per i beni, vince il Comune

Il Tribunale di Ischia ha accolto le ragioni dell’ente di via Iasolino nella controversia con la Curatela fallimentare della società che gestiva le Nuove Terme Comunali

Ci sono voluti diversi anni, ma il Tribunale ha infine accolto le ragioni del Comune di Ischia. L’ente di via Iasolino è stato infatti riconosciuto legittimo titolare delle attrezzature termali installate nei locali di via delle Terme, nell’ambito dell’annosa controversia che lo contrapponeva alla società “Gestione Nuove Terme Comunali” (ora divenuta Curatela del Fallimento). Controversia che iniziò nel 2009 quando il Comune citò in giudizio la società sulla base di un contratto di locazione a uso diverso stipulato nel 2005, con oggetto il complesso immobiliare situato appunto in via delle Terme. L’accordo all’articolo 6 prevedeva che alla scadenza del contratto gli impianti e le attrezzature installate dalla società sarebbero state trasferite all’ente senza alcun corrispettivo, visto che se ne era già tenuto conto nel momento in cui venne fissato il canone attuale e quello del 1990.

La sezione distaccata di Ischia del Tribunale dichiarò la risoluzione del contratto d’affitto, per grave inadempimento della società conduttrice, ormai in liquidazione, condannandola al rilascio immediato dell’immobile. Forte di tale pronuncia, il Comune chiese e ottenne anche il sequestro giudiziario delle attrezzature, vista la fortissima esposizione debitoria della società e il concreto pericolo che essi divenissero “preda” dei creditori. Intanto la società fallì (con dichiarazione del Tribunale fallimentare), e il Comune riassunse il giudizio di merito davanti al Tribunale ordinario.

Le attrezzature installate nei locali termali sono definitivamente riconosciute nella titolarità del Comune, ai sensi del contratto del 1990 e del 2005, quest’ultimo poi risolto per inadempimento della società, successivamente fallita

La Curatela del Fallimento tuttavia eccepì la sopravvenuta carenza di competenza di tale Tribunale a favore di quella Fallimentare, ma soprattutto contestò che la proprietà dei beni mobili non discendeva dall’avvenuta risoluzione anticipata del contratto di locazione ma tuttalpiù sarebbe sopravvenuta alla naturale scadenza del contratto nel 2023. Non solo: la curatela fece anche domanda riconvenzionale per ottenere la condanna del Comune d’Ischia al pagamento di ben € 2.686.882,80 per l’intervento di ristrutturazione del compendio immobiliare, di € 41.316,55 per la sopraelevazione dell’immobile locato e destinato a sala riunioni e € 160.209,47 in pagamento delle spese tecniche per l’esecuzione dell’intervento e del collaudo. Inoltre, chiedeva l’accoglimento della domanda riconvenzionale subordinata, diretta a ottenere nei confronti Comune d’Ischia il pagamento di € 850.000,00 per il periodo di locazione non goduto dal 2009 al 2023 e di € 41.316,55 per la sopraelevazione dell’immobile locato e destinato a sala riunioni oltre ad € 160.209,47 in pagamento delle spese tecniche. Insomma, secondo la curatela il Comune avrebbe dovuto sborsare una cifra di quasi quattro milioni di euro, senza contare il rinvio del passaggio di mano delle attrezzature al 2023.

Il giudice del Tribunale di Ischia, dottoressa Criscuolo, ha innanzitutto deciso sull’eccezione relativa alla carenza di competenza del tribunale ordinario, citando un’ordinanza chiarificatrice della Corte di Cassazione. Secondo la Suprema corte, infatti, non sono attratte nella sfera di competenza del tribunale fallimentare tutte le azioni preesistenti che siano in relazione di mera occasionalità con il fallimento e che, mediante la sostituzione del curatore al precedente legittimato, rimangano soggette alle regole processuali applicabili qualora fossero state promosse dal fallito. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara la competenza del Tribunale, anche in base al principio della perpetuatio iurisdictionis, secondo cui i fatti determinanti la competenza devono essere valutati con riguardo al momento della proposizione della domanda e non possono avere rilevanza gli eventi successivi a tale momento, per cui il giudizio promosso dinanzi ad un giudice diverso da quello fallimentare nei confronti di un’impresa poi fallita prosegue dinanzi allo stesso giudice.

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Successivamente, per quanto riguarda il merito della questione, il tribunale ha ritenuto infondata la pretesa della Curatela secondo cui la proprietà delle attrezzature in capo al Comune di Ischia non potrebbe discendere dall’avvenuta risoluzione anticipata del contratto di locazione ma solo in caso di scadenza naturale del contratto. Il giudice infatti ha rimarcato che l’articolo 6 del contratto di locazione non limita in alcun modo il trasferimento della proprietà dei beni mobili alla sola ipotesi della scadenza naturale del contratto di locazione. Scadenza che fra l’altro era fissata per il 2014 e non il.2023, (come erroneamente indicato dalla difesa della Curatela Fallimentare), essendo la proroga solo una mera possibilità e non un obbligo legislativo.

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La curatela pretendeva anche il pagamento di alcuni milioni di euro per interventi di ristrutturazione dei locali e del periodo di locazione non goduto, ma il giudice Criscuolo ha rigettato ogni istanza

Ulteriore argomento a favore del comune è quello, già riconosciuto dalla stessa Curatela e, comunque, come espressamente indicato nel contratto di locazione, secondo cui lo stesso obbligo di trasferimento delle attrezzature era già stato contrattualmente previsto all’art. 10 del precedente contratto di locazione stipulato tra le medesime parti. Anche in tale articolo si era dato atto che di ciò si era tenuto conto nella determinazione del canone di locazione. Inoltre, va sottolineato che tale contratto, stipulato nell’anno 1990 era giunto alla sua naturale scadenza, con la conseguenza che, già in quella data (2005) la proprietà dei beni mobili sarebbe dovuta passare al Comune di Ischia.

Quanto alle domande riconvenzionali proposte dalla curatela, esse sono state ritenute infondate in fatto ed in diritto e quindi integralmente rigettate, perché la domanda di pagamento degli interventi di ristrutturazione è stata già decisa dal collegio arbitrale con lodo nel 2001. La domanda della società fu rigettata e l’appello proposto avverso il lodo arbitrale fu rigettato con sentenza della Corte di Appello di Napoli nel lontano 2003. È evidente, quindi, la inammissibilità della domanda per violazione del giudicato. Il Comune ha quindi visto accolte tutte le sue domande, mentre la Curatela è stata condannata anche al pagamento di circa 15mila euro di spese.

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