«Ascoltare, giudicare, cambiare»: il verbo di don Cristian Solmonese

Il nuovo parroco di San Vito racconta le sensazioni provate nell’aver ottenuto il nuovo incarico e valuta l’attuale momento della Chiesa isolana

Sarebbe troppo facile dire che Lei raccoglie un’eredità pesante, visto che sappiamo tutti cosa ha rappresentato Monsignor Regine per l’intera comunità isolana. Posso chiederle quali sono le sue emozioni, le sensazioni?

«Sono davvero tante. Sono completamente frastornato in questo momento, ma soprattutto non me l’aspettavo di ricoprire questo incarico subito dopo Monsignor Regine. È un onore, ma è anche un passaggio importante. Mi conforta l’aver trascorso tanti momenti con lui, in particolare negli ultimi anni, da quando sono decano: ho avuto la possibilità di fargli spesso visita, di avere con lui dei colloqui, anche riguardo la comunità. È sempre stato una figura paterna nella mia vita da sacerdote, a volte direttamente altre indirettamente. Capisco quindi l’eredità che adesso passa nelle mani di un giovane sacerdote, ma la Chiesa è bella proprio per questo: sono esperienze inclusive, il cuore include, non esclude, come amo ripetere».

«Per me è stato un onore succedere a Monsignor Regine. Mi rincuora pensare di aver avuto vari colloqui con lui, che è stato per me una figura paterna»

Lei ha parlato di “giovane sacerdote”, anticipando la mia domanda: si tratta infatti anche di un passaggio generazionale, significativo, dal punto di vista anagrafico. In un momento di veloci cambiamenti, in che cosa Lei vorrebbe lasciare la sua impronta?

«A questo non ho ancora pensato. Per ora ho pensato solo che devo ascoltare, cogliere la storia di questa comunità, poi è normale che ogni parroco dia il suo volto, i suoi gesti, alla parrocchia durante il cammino. Pian piano il Signore mi darà anche la grazia di imprimere il volto e i gesti di questa nuova esperienza, così come farà dopo di me il prossimo parroco. Dal precedente parroco ho accolto tre parole: la prima è ascoltare, poi giudicare e pesare alla luce del Vangelo il cammino del sinodo della Chiesa. Un cammino delle comunità che il Vescovo ci ha affidato come sacerdoti di Forio. Infine, se necessario, anche cambiare qualcosa, o meglio ridare loro il giusto splendore».

«San Vito ha questa vocazione di “Chiesa madre”, visto il titolo storico, è la prima parrocchia sul territorio di Forio, che ha poi generato tutte le altre comunità. Questo è molto bello: si assume lo stile della maternità, e una madre tende ad unire i suoi figli, facendoli camminare insieme»

Posso chiederle se, e nel caso che cosa, le ha detto il Vescovo Pascarella?

«Innanzitutto, quando mi chiamò per comunicarmi che mi avrebbe affidato la comunità, me lo disse con una semplicità disarmante: “avevo pensato a te per la comunità di San Vito”. Io rimasi per un attimo impietrito, poi dissi che avrei accettato perché voglio bene al mio territorio: so che è un momento difficile di passaggio, quindi se egli me lo aveva chiesto, era sicuramente lo Spirito Santo a suggerirglielo. Ci ha inoltre invitato a volerci bene tra noi sacerdoti del territorio, e di lavorare insieme per quanto riguarda la comunione delle persone, proprio perché San Vito ha questa vocazione di “Chiesa madre”, visto il titolo storico, ma sappiamo che è la prima parrocchia sul territorio di Forio, che ha poi generato tutte le altre comunità. Questo è molto bello: si assume lo stile della maternità, e sappiamo benissimo che una madre tende ad unire i suoi figli, facendoli camminare insieme. E in effetti noi sacerdoti eravamo felici quando abbiamo avuto l’investitura dal Vescovo. Poi i problemi arriveranno subito, ma il Vescovo ci ha tenuto a sottolineare le cose belle e la grande opportunità che abbiamo».

«Alcuni tendono a sottolineare le cose negative: io vorrei che a volte si sottolineasse il bello di questa Chiesa ischitana, che c’è ed è tanto»

Perché negli ultimi anni si parla spesso – e secondo Lei quanto a proposito o a sproposito – di una Chiesa isolana che non sarebbe così coesa, o in alcuni casi addirittura lacerata al proprio interno?

«Di parole se ne dicono tante, ma forse quando dicono questo le persone non hanno mai letto negli atti degli apostoli e nel Vangelo. La Chiesa grazie a Dio ha tante espressioni diverse: anche nel volto di ciascun sacerdote ha la sua vita, la sua umanità, la sua crescita, la sua maturazione. Chiaramente ciò genera differenze in alcuni casi, mentre in altri momenti possono generarsi dei dissapori e questo tante volte è stato letto sempre come una spaccatura, come una difficoltà, ma in fondo la Chiesa è uguale a quella degli apostoli: c’è una enorme diversificazione, anche nei caratteri e nei modi di fare. Questa difficoltà l’ho sempre vista, sin da ragazzo: il volersi bene e stare insieme non è mai facile, anche perché non ci siamo scelti, ma ci hanno messo insieme. Così per noi preti: ci hanno messo insieme, ma ci ha scelto Gesù, coi nostri limiti e difetti. Poi ci sono periodi in cui essi sembrano acuirsi, altri in cui sembrano superate, come in una normale vita di famiglia, e lo stesso è in quella della Chiesa, del Presbiterio. Per cui io non mi meraviglio di queste cose. Mi dispiace che forse qualcuno magari appoggi più l’uno che l’altro, o che qualcuno tenda a sottolineare qualcosa di negativo: io vorrei che a volte si sottolineasse il bello di questa Chiesa ischitana, che c’è ed è tanto».

«La gente dell’isola continua ad avere sete di Dio, di spiritualità oltre l’imperante materialità. A volte siamo noi a non essere dei buoni annunciatori»

La gente dell’isola è ancora un popolo devoto, è ancora un popolo generoso, o forse negli ultimi tempi, diciamolo senza nasconderlo, stiamo diventando un po’ avidi e aridi?

«Io sono convinto che la gente dell’isola sta cambiando, non nel senso che non cerca più Dio, ma forse è aumentata questa domanda di spiritualità e la Chiesa dovrebbe probabilmente capire la forma adatta per poter rispondere a questa domanda di senso. Tante volte le nostre forme, le nostre strutture non rispondono più alle domande delle persone, ecco perché sembra che ci sia uno scollamento, anche dopo una pandemia che tutti abbiamo visto come un disastro ma che, come spesso sottolineo, ha tirato fuori la verità delle cose, e ha anche “scremato” i cristiani. Gesù ha promesso che la Chiesa non finisce mai, ma penso che le forme della Chiesa possono finire, dunque credo che la Chiesa si debba interrogare sulla forma giusta per dare risposte alla gente che, lo ripeto, continua ad avere sete di Dio, di spiritualità oltre l’imperante materialità. A volte siamo noi a non essere dei buoni annunciatori».

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