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“Arte e mitologia”, il suggestivo spettacolo andato in scena al Vecchio Carcere della Mandra

di Isabella Puca

foto Luigi Trani

ISCHIA – Si racconta che Tifeo, un gigante dalle sette teste e dagli occhi di fuoco, punito da Zeus, fu costretto a sorreggere l’intera isola d’Ischia. Da allora, a ogni tentativo di ribellarsi, l’isola viveva una terribile scossa di terremoto. E’ questo il mito che accompagna la storia più antica dell’isola e che ha ispirato Nicola Gioba, Ambrogio Castaldi, Renata Keller, Maurizio Ronsini, Il ceppo Matto, Rosario Scotto di Minico e Martina Mazzella a dare vita ad “Arte e mitologia”. Sono stati loro, con la loro arte e l’antica mitologia a proporre, in tre serate al vecchio carcere della Torre Molino, un viaggio nel tempo, un percorso tra realtà e fantasia alla scoperta di un mondo ormai lontano. Punto di partenza è l’isola e la sua storia antica e recente; è stato infatti il terremoto dello scorso 21 agosto a dare l’idea per la suggestiva rappresentazione che ha avuto un buon riscontro tra il pubblico ischitano. Poste al centro della zona esterne le opere dei nostri artisti, tra pittura, scultura in marmo, in legno e in ceramica. «Subito dopo il terremoto – ci racconta Nicola Gioba – ho pensato al mito di Tifeo. Da qui ho avuto quest’idea di rappresentare con l’arte quello che era accaduto. In cantiere avevo una pietra che continuavo a guardare, ho iniziato a lavorarla una settimana dopo lo scorso 21 agosto per poi finirla poco tempo fa». Nella scultura in pietra realizzata da Nicola Gioba, Tifeo è rappresentato non più disteso a sorreggere l’isola, ma nell’atto di alzarsi con l’isola sulle mani protese al cielo. Da qui la scossa di terremoto. Poco più in là c’è l’opera del Ceppo Matto, una scultura in legno rappresentante l’ego, un innesto tra un cavallo, un uomo e un’aquila. «É un lavoro che vuole rappresentare il maschilismo, un centauro metà uomo – metà cavallo sormontato da due aquile reali che rappresentano il potere e il sesso che si esprime non con una forza brutale, ma attraverso il cervello». A scolpire il legno ha iniziato da autodidatta all’età di 40 anni e il pezzo presentato al vecchio carcere era un tronco di arancio, «quando ero ragazzino c’era, all’altezza di Nitrodi, quest’albero dove rubavamo le arance, è un albero quasi secolare e in qualche modo è incredibile che me ne sia appropriato». Fanciulle che danzano nei boschi, ninfe o sirene immerse ai piedi del grande albero del cratere di Fiaiano è questo, invece, il disegno rappresentato sulla tela di Maurizio Ronsini, «è quadro ispirato alle ninfe, mi sono voluto cimentare cercando d’ispirarmi a un quadro dell’500, andando a inserire elementi ischitani come l’albero che c’è nel cratere del Cretaio dalla forma particolare, con radici molto forti. Sullo sfondo non poteva mancare un castello immagine emblema dell’isola». A cimentarsi con la pittura anche Renata Keller, giovane madonnara che, con la sua arte, ha rappresentato Adone e venere sulla spiaggia di Citara. Il mito bagna il mare del litorale più ampio del comune di Forio, si racconta infatti che l’attività termale presente nella baia sia un prodigio della dea Aphrodite che pianse per amore del suo Adone, fino a inondare la baia di lacrime. Vestita anch’essa in abiti 500eschi la promettente pittrice Martina Mazzella con un dipinto incentrato su uno dei panorami più rappresentativi dell’isola dove ha ambientato la leggenda di Ulisse. In gesso vi è la Sibilla Pithecusa di Ambrogio Castaldi, uno studio di quello che intende realizzare in marmo, «è un personaggio che mi ha sempre affascinato e che avrei voluto realizzare molti anni fa. L’occasione me l’ha offerta il misfatto del terremoto. Ho immaginato che a predirlo fosse stata la Sibilla con un oracolo, quello di Pithecusae, che “non dice e non nasconde, significa”». Al centro un mascherone di Bacco di argilla realizzato dalle sapienti mani di Rosario Scotto di Minico. Le luci naturali della sera sopraggiungono nello spazio esterno del vecchio carcere, una musica cinquecentesca crea l’atmosfera tra gli spettatori che siedono tutt’intorno alla scena. La musica si abbassa e la voce narrante di Silvia Mattera guida i presenti alla scoperta dell’isola attraverso il mito e le opere dei suoi artisti. E’ un vero e proprio salto nel tempo, siamo nel ‘500 e a dircelo sono le musiche e gli abiti dei nostri artisti che, a uno a uno, fanno la loro comparsa sulla scena. SI pongono accanto alla propria opera e, chi con martello e scalpello e chi con il pennello, i gessetti o le proprie mani, continuano a dar vita all’arte. D’un tratto, tutti gli spettatori, si trovano catapultati in una vera e propria bottega d’arte, un’idea, quella del laboratorio aperto, proposta dagli artisti più adulti per insegnare ai più giovani, proprio come avveniva nel ‘500 dove ogni allievo aveva il suo maestro. Uno spettacolo che coinvolge ed emoziona, che sorprende e trasmette la storia e il mito di un’isola affascinante e misteriosa. Alla fine il rumore del fabbro che forgiava gli strumenti prende il sopravvento, la fantasia supera la realtà e il pubblico applaude alla messa in scena degli artisti che con semplicità e maestria hanno dato vita a tre serate di magia.

 

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