CRONACA

Aiuti all’Italia condizionati e con interessi

Dopo quattro giorni di risse al Consiglio europeo con sullo sfondo la lotta per la leadership

DE “IL BOLSCEVICO”

Il presidente Charles Michel si presentava in sala stampa il 21 luglio, subito dopo la chiusura del Consiglio europeo straordinario di Bruxelles che per la verità era stato convocato solo per il 17 e 18 luglio, e esordiva: “Ce l’abbiamo fatta. L’Europa è forte, solida e unita. Abbiamo raggiunto un accordo sul pacchetto di risanamento e sul bilancio europeo”. I due principali punti all’ordine del giorno che prevedono lo stanziamento fino a 750 miliardi di euro per sostenere le possibilità di una ripresa economica, il fondo per la ripresa o Recovery Fund (Fondo di recupero) o meglio ancora il Next generation Eu (Prossima generazione Ue) come lo ha ribattezzato la Commissione europea, e il bilancio pluriennale 2021-2027 attestato su un importo di 1.074 miliardi di euro.

Un risultato atteso ma non scontanto, partorito dopo quattro giorni di furibonde risse sui contenuti del testo presentato da Michel anche a nome della Commissione, dopo uno scontro mai visto finora fra i galletti imperialisti europei con sullo sfondo la lotta per la leadership della superpotenza imperialista europea. Michel esultava e spacciava il risultato come “un successo per tutti e 27 gli stati membri ma soprattutto per il popolo. Questo è un buon affare”. Potrà essere un buon affare per i governanti borghesi con i bilanci in difficoltà di fronte alla crisi sanitaria e economica, come l’italiano Giuseppe Conte che è riuscito a puntellare il suo governo con una prestazione che se la dovessimo misurare dalle cronache di gran parte della stampa nazionale sarebbe stata eccellente, dopo essere stato dipinto come uno dei protagonisti vittoriosi della rissa europea, un’immagine che non teneva conto dei favori dei potenti sponsor Merkel e Macron e che comunque come risultato ha prodotto un aiuto finanziario che si tradurrà in un conto molto salato da pagare, tutto a carico del popolo italiano. Sarà stato un buon affare per il socialista spagnolo Pedro Sanchez, il cui esecutivo assieme a Podemos si regge su una risicatissima maggioranza, che a Bruxelles si è coperto dietro a Conte e non dovendo fornire nessuna garanzia aggiuntiva, perché ha già presentato il suo Programma nazionale di riforme sul quale nessuno ha detto nulla, può passare direttamente alla cassa; ma anche in questo caso il conto lo paga il popolo spagnolo.

Potrà essere un affare per gli esecutivi di Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, il fronte guidato dal premier liberale olandese Mark Rutte dei sedicenti “virtuosi” perché non hanno i bilanci disastrati come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia e che tenevano inchiodati i lavori del vertice sulla riduzione del totale del fondo, sulla riduzione della parte di aiuti senza interessi, sull’adozione di ferrei sistemi di controllo finanche sugli spiccioli dati in prestito e che per cedere solo in parte hanno strappato sostanziosi aumenti dei rimborsi sul contributo nazionale lordo annuale al bilancio europeo. Rimborsi mantenuti anche per la Germania.

L’ammontare complessivo delle risorse del piano Next generation Eu prevede che la Commissione possa recuperare sui mercati finanziari fino a 750 miliardi di euro con titoli che saranno rimborsati entro il 2058; resta l’importo complessivo previsto dalla bozza presentata dalla Commissione ma con una diversa spartizione tra i contributi a fondo perduto, scesi a 390 miliardi, e i prestiti saliti a 360 miliardi; il 70% della cifra sarà impegnato nel 2021 e 2022, il restante 30% nel 2023. Dalla rissa del vertice è uscita anche una significativa modifica della lista dei progetti a cui possono essere destinati, con un taglio drastico di quelli destinati a Eu4Health, il nuovo programma europeo per la sanità e un altrettanto drastico ridimensionamento del Fondo agricolo per lo sviluppo rurale.

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Gli Stati membri che avranno bisogno del fondo dovranno presentare dei piani nazionali di ripresa per il periodo 2021-2023, con un momento di verifica nel 2022. Al Consiglio europeo è affidato il compito di approvarli a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, e non all’unanimità come avrebbe voluto il gruppo dell’Olanda. I piani “dovranno essere coerenti con le raccomandazioni specifiche per paese e contribuire alle transizioni verdi e digitali” e solo il raggiungimento degli obiettivi concordati consentirà l’erogazione rateale delle sovvenzioni. La verifica del rispetto degli impegni è affidata al Comitato economico e finanziario (Cef) composto dagli specialisti indicati dai ministri delle Finanze dei paesi membri. Se uno o più Stati evidenziassero gravi deviazioni di un paese dal percorso verso gli obiettivi previsti potranno sottoporre la questione al successivo Consiglio europeo attivando il meccanismo chiamato il super freno di emergenza; un meccanismo di compromesso accettato dal rigorista neoliberita olandese Rutte per dare il via libera all’intesa e che mantiene una specie di controllo permanente dei partner imperialisti sulla spesa pubblica dei paesi che ricorreranno al fondo.

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Da tenere presente che le raccomandazioni specifiche per paese, emesse come allegato al bilancio comunitario dal gruppo dei commissari economici di cui fa parte il commissario per l’Economia Paolo Gentiloni, “per stimolare la crescita e l’occupazione, mantenendo in ordine i conti pubblici”, come recita la scheda dell’Italia, suggeriscono di “adottare tutte le misure necessarie per affrontare efficacemente la pandemia, sostenere l’economia e sostenere la conseguente ripresa”, ma “quando le condizioni economiche lo consentono, perseguire politiche fiscali volte a raggiungere posizioni fiscali prudenti a medio termine e garantire la sostenibilità del debito”. Ossia dopo il 2021 a situazione stabilizzata, l’Italia dovrà tagliare la spesa e ridurre il debito, in una condizione di dipendenza dagli aiuti europei tale che quello che finora era “un consiglio” potrebbe diventare un obbligo.

Questi i meccanismi che vincolano l’uso degli aiuti finanziari, che quindi sono condizionati e con interessi. Una cessione di sovranità e non un semplice controllo sulla spesa pubblica è quella che ha pagato Conte a Bruxelles per tornare con un pacchetto di finanziamenti di poco superiore ai 200 miliardi di euro, di cui quasi 130 da restituire. E che arriveranno a partire dal 2021, lasciando i buchi sempre più larghi nel bilancio statale della seconda parte del 2020 e la strada aperta verso altri strumenti finanziari comunitari come il Mes finora considerati un tabù dalla componente M5S del governo. La maratona di Bruxelles ha portato lustro al presidente Conte, elogiato da Mattarella, dalla coalizione di governo e dalla candidata a stampella esterna dell’esecutivo Forza Italia; nel momento in cui brandiva il tricolore imperialista davanti al “nemico” Rutte dichiarando che “il mio Paese ha una sua dignità, c’è un limite che non va superato” riceveva financo il sostegno, condizionato dal raggiungimento di un risultato positivo, di Giorgia Meloni. Che alla chiusura del veritice poteva prendere le distanze dal governo solo affermando che “Conte ha battuto gli egoismi dei nordici ma ha ottenuto un risultato inferiore alle speranze. Il super freno di emergenza rischia di essere un commissariamento”. Nella sostanza le stesse ragioni con le quali il capo dei fascisti del XXI secolo Matteo Salvini bocciava l’intesa, perché il meccanismo di controllo rischia di “ipotecare le politiche economiche e sociali dei prossimi governi”, ossia in quello da lui guidato, che spera di conquistare sbandierando demagogicamente il pericolo di “una nuova ondata di austerità”, che colpirà le masse popolari italiane a prescindere da chi sia alla guida dell’esecutivo, fintanto che rimarremo nella Ue.

L’Unione europea imperialista sembrava arrivata a pochi passi dall’implosione con la rissa scatenata nei corridoi di Bruxelles dai membri imperialisti impegnati ognuno a difendere i propri interessi e posizioni; se è ancora forte, solida e unita, come dice Michel, ossia può ancora dire la sua nella competizione imperialista mondiale dietro i colossi Usa e Cina lo deve anzitutto all’asse fra i due paesi più forti e interessati a mantenere in vita il giocattolo, Germania e Francia. Queste e non certo quelle legate al “nobile sogno” dell’integrazione dei popoli europei sono le ragioni che già nel 2017 hanno spinto il francese Macron a chiedere un salto di qualità politico e pratico ai colleghi imperialisti europei impantanati nel dibattito sulla Brexit, occupati a aprire alle pelose offerte economiche del socialimperialismo cinese e a non reagire ai primi ceffoni dell’americano Trump impegnato a ripristinare la leadership mondiale degli Usa; a ricostruire i rapporti col governo italiano, possibile col secondo esecutivo di Conte, per costruire un asse che funziona in particolare nell’intesa militare e lo ha rafforzato nella ricostruzione del principale tandem imperialista della Ue, con la guida della locomotiva economica europea, la Germania di una Merkel che sembrava in declino e destinata in casa a cedere il passo. Nel momento del bisogno, forse per mancanza di alternative, la cancelliera ha ripreso il bastone del comando a Berlino e a Bruxelles. Il progetto Merkel-Macron del 18 maggio sul fondo per la ripresa ha fornito le basi affinché il dibattito su strumenti finanziari solidali come Eurobond e titoli vari iniziato subito dopo lo scoppio della pandemia prendesse una strada meno indigesta per il gruppo dei paesi rappresentato dall’Olanda, e che fino a ieri comprendeva la Germania, che non hanno intenzione di mettere in comune oltre un certo limite la politica finanziaria e per nulla quella fiscale per difendere i loro privilegi. Una posizione sull’integrazione europea ai minimi termini guidata dalla Gran Bretagna; la Brexit ha costretto Rutte a uscire allo scoperto, a tenere la posizione appoggiandosi alla componente di destra della Democrazia cristiana tedesca e organizzando i paesi nordici in una nuova Lega anseatica, e condizionare la guida europea del tandem franco-tedesco.

Dicono le cronache del vertice che sia toccato a Macron, il cui partito siede all’europarlamento di Strasburgo nello stesso settore di quello di Rutte nel gruppo Renew Europe di cui fa parte anche Italia Viva di Matteo Renzi, battere i pugni sul tavolo nella terza notte di negoziati contro le rigidità dell’Olanda e dell’Austria; la regia della Merkel, appena subentrata come presidente di turno della Ue, teneva il compito di vigilare che la rissa tra i partner imperialisti non provocasse danni irreparabili. Il tandem Merkel-Macron ha portato a casa il risultato dell’intesa e rafforzato il suo ruolo guida dell’imperialismo europeo. Un ruolo affidato nella vita pratica quotidiana delle istituzioni europee alla presidente della Commissione europea, la democristiana tedesca Ursula von der Leyen, e al presidente del Consiglio europeo, l’ex premier liberale belga Charles Michel ma esercitato direttamente in casi particolari, quando la loro leadership è quantomeno messa a dura prova come nel caso della gestione dell’emergenza coronavirus dalle spinte delle “seconde linee” imperialiste formate dai gruppi di paesi guidati da Italia e Olanda. In questa occasione i tradizionali “picconatori” della Ue, i fascio-sovranisti di Ungheria e Polonia, che si erano allineati al gruppo dell’Olanda hanno opportunisticamente cambiato schieramento, tanto per confermare la strumentalità delle polemiche sollevate dai fascisti alla Salvini, e hanno appoggiato la proposta mediata da Michel, cavandosela con la consueta e inefficace tirata d’orecchi sul rispetto dello stato di diritto, non appena l’olandese Rutte insisteva a mettere in discussione il versamento della quota del bilancio comunitario ai paesi “illiberali”. E si giocava l’appoggio di due alleati, forse nella speranza che soffiando sul fuoco di un altro tema scottante il negoziato saltasse e la chiusura fosse rimandata a chissà quando mentre la maggioranza premeva per una intesa immediata.

Certo è che i quattro giorni di risse al Consiglio europeo hanno mostrato il vero volto dell’unione europea imperialista, quello di una associazione di impresa temporanea tra governi borghesi, pur sempre concorrenti e pronti a sbranarsi per avere la posizione migliore per spolpare l’osso disponibile mentre nei rispettivi paesi applicano una comune politica neoliberista, con varie gradazioni dagli esecutivi di destra a quelli della “sinistra borghese” ma pur sempre capitalista, che pesa come un giogo sul collo dei popoli europei; il giogo dell’imperialismo europeo da cui è indispensabile liberarsi, non certo da destra seguendo la strada indicata dai sovranisti, leggi fascisti, che lo criticano demagogicamente ma solo per strappare maggiori concessioni ai rispettivi Paesi.

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