Affida il cane a terzi col rischio che lo abbandoni, la sentenza che parte da Ischia
La sezione distaccata del Tribunale di Ischia aveva condannato due ex coniugi per avere abbandonato, legandolo a un palo sito all'esterno di un centro veterinario, un cane di razza bulldog con microchip di riconoscimento
Un caso che fa giurisprudenza successo sull’isola di Ischia. A raccontarlo è Altalex, il portale dedicato all’informazione giuridica on-line e punto di riferimento a 360° per i professionisti del diritto. Il Tribunale di Napoli – sezione distaccata di Ischia – aveva condannato due ex coniugi per avere abbandonato, legandolo a un palo sito all’esterno di un centro veterinario, un cane di razza bulldog con microchip di riconoscimento. In particolare, la sezione isolana del Tribunale aveva accertato che il cane, al momento dell’abbandono, era stato affidato, in ragione dell’assenza del ricorrente dall’isola per motivi di lavoro, alla ex moglie la quale, tuttavia, sebbene convocata dall’addetto del centro che aveva trovato il cane, non era passata a prelevarlo facendolo trasferire al canile da dove poi era stato ritirato da un delegato del ricorrente. Il Tribunale aveva ritenuto la responsabilità concorsuale del ricorrente in virtù del fatto che a questi era nota l’avversione al cane da parte della ex moglie e che mancavano negli accordi di separazione legale aspetti definitori in ordine all’affidamento del cane. Con il ricorso veniva lamentata la ritenuta ricorrenza degli elementi costitutivi del reato, sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo.
IL REATO CONTESTATO
Al coniuge è stato contestato l’articolo 727 del codice penale che punisce con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro: chiunque abbandoni animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività (comma 1) nonché chiunque detenga animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze (comma 2).
La Suprema Corte ha costantemente affermato che configurano il reato in questione, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali destando ripugnanza per la loro aperta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità dell’animale, producendo un dolore: vi rientrano anche situazioni colpose di abbandono e incuria che offendono la sensibilità psicofisica degli animali quali autonomi esseri viventi, capaci di reagire agli stimoli del dolore come alle cure amorevoli dell’uomo.
Quanto alla condotta contemplata dal comma 1, la stessa è integrata dalla interruzione della relazione di custodia e di cura instaurata con l’animale precedentemente detenuto, lasciandolo in un luogo ove non riceverà alcuna cura, a prescindere dalla verificazione di eventi ulteriori conseguenti all’abbandono, quali le sofferenze o la morte dell’animale, eventi che fuoriescono dal perimetro della tipicità disegnato dalla norma incriminatrice.
Rispetto alla condotta contemplata dal secondo comma mette conto di ricordare come la Cassazione abbia di recente specificato che ai fini dell’art. 727 c.p. sono condizioni incompatibili con la natura degli animali e produttive di gravi sofferenze, non necessariamente quelle condizioni che possono determinare un vero e proprio processo patologico, bensì anche quelle che possono determinare i meri patimenti (Cass. pen. Sez. III, sentenza 4 aprile 2019, n. 14734).
Trattandosi di fattispecie contravvenzionale, la stessa può configurarsi anche per mera negligenza e cioè anche laddove la condotta sia meramente colposa e non sorretta dal dolo.
LA SENTENZA
La Corte di Cassazione, sez. III penale, con sentenza 20 febbraio 2020, n. 6609 ha dichiarato il ricorso inammissibile respingendo le censure del ricorrente sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo.
Quanto al profilo oggettivo, ha ritenuto integrata la fattispecie astratta di reato avuto riguardo alle circostanze concrete accertate nel giudizio di prime cure, nel quale era emerso che il cane fosse stato lasciato in balia di sè stesso per un apprezzabile lasso di tempo, legato a un palo, e senza essere affidato alla custodia e alla cura di altro soggetto. Era stata altresì accertata l’inesistenza di accordi tra gli ex coniugi riguardo a chi dei due dovesse prendere in custodia ed accudire il cane in modo esclusivo dopo la separazione legale.
Quanto all’elemento soggettivo, la Corte, ferma la penale responsabilità della ex moglie, non ricorrente, quale autrice materiale dell’abbandono, ha ravvisato in capo all’imputato il dolo eventuale, sull’assunto che questi avesse accettato il rischio che la ex moglie, cui aveva affidato la custodia del cane, lo abbandonasse: rischio desumibile da solidi elementi di fatto, ben noti all’imputato, quali la circostanza che era stato proprio il ricorrente a portare in casa il cane, nonostante il dissenso della moglie sia, e soprattutto, del fatto che la donna non amasse gli animali, e che fosse esasperata dalla sua detenzione (poiché il cane in casa rompeva le sedie, sbavava continuamente).
Alla luce di queste circostanze, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 2mila euro a favore della Cassa delle Ammende.