CRONACAPRIMO PIANO

Affaire rifiuti, arriva l’attesa prescrizione

Già iniziato su un binario morto, ieri è stata decretata la scontata conclusione del processo per le presunte tangenti negli appalti per la gestione della nettezza urbana sull’asse Forio-Lacco Ameno

Mancava solo la formale dichiarazione, arrivata nel pomeriggio di ieri. La Quarta Sezione collegio “a” del Tribunale di Napoli ha dichiarato la prescrizione per tutti gli imputati nel processo sulle presunte tangenti negli appalti per la gestione dei rifiuti sull’asse Forio-Lacco Ameno. Già durante lo scorso inverno era divenuto evidente il destino di un processo che cinque anni fa era iniziato già in qualche modo “svuotato” dell’accusa principale: in sede di Riesame, alcuni ricorsi in Cassazione provocarono la caduta dell’accusa di associazione a delinquere, circostanza che ridimensionò il resto dell’inchiesta, su fatti oramai davvero risalenti nel tempo, cioè a circa un decennio fa, fra il 2011 e il 2012.

I giudici, resisi conto che sarebbe stato irrealistico cercare di arrivare a una pronuncia di merito con i tempi ormai strettissimi, ieri hanno ufficializzato ciò che era noto ormai da tempo: un mese fa lo stesso collegio giudicante aveva chiesto al pubblico ministero di perimetrare cronologicamente il capo b delle imputazioni, cioè quello relativo alle accuse di corruzione nell’appalto della nettezza urbana nel Comune di Lacco Ameno, per capire se si trattasse di reati risalenti a prima o dopo il dicembre 2012. Il pm, avendo verificato che il capo di imputazione doveva essere perimetrato al settembre 2012, chiese la dichiarazione di prescrizione dei reati, richiesta a cui si associarono quasi tutti gli avvocati della difesa.

I fatti contestati risalivano al biennio 2011-2012. Cinque anni fa le misure cautelari per alcuni dei tredici imputati, tra cui anche il senatore De Siano, per il quale tuttavia Palazzo Madama negò l’autorizzazione a procedere

In sostanza, il processo è finito senza mai essere davvero iniziato: un binario morto durato circa un lustro, nonostante l’iniziale grande eco a livello nazionale, quando a inizio 2016 venne eseguita l’applicazione delle misure cautelari nei confronti di alcuni degli imputati, tra i quali vi erano anche nomi eccellenti, come quello del senatore Domenico De Siano, per il quale la Camera del Senato negò l’autorizzazione a procedere.

La caduta dell’accusa di associazione a delinquere svuotò in gran parte la ricostruzione della Procura. L’iniziale stralcio della posizione di Rumolo e gli errori di notifica nel tentativo di riunificazione dei procedimenti diedero il colpo finale a un processo finito rapidamente sul binario morto della prescrizione

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Che il processo sarebbe finito in questo modo, molti addetti ai lavori lo avevano immaginato sin da quando nelle prime battute la posizione del dottor Rumolo venne stralciata dalle altre. Da allora, a causa di un errore di notifica, si innescò una estenuante “spola” tra Procura e Gip durata oltre un anno con ben cinque tentativi di richiesta di rinvio a giudizio, vista la reiterazione dell’errore da parte degli uffici della Procura. Da allora, il ramo “principale” del processo, pur formalmente avviatosi, rallentò nell’intento di attendere il rinvio a giudizio dello storico dirigente del comune di Lacco Ameno, cosa che poi è effettivamente avvenuta nell’ottobre 2017. Inoltre, la successiva sostituzione di uno dei magistrati ritardò ulteriormente l’effettiva partenza del dibattimento finalmente riunito.

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D’altronde, il Tribunale aveva anche rinunciato a “inseguire” uno dei testimoni-chiave, esponente delle forze dell’ordine che all’epoca seguì le indagini, chiudendo di fatto la lunga agonia di questo processo senza mai essere davvero entrati nel merito dei fatti. Erano in tredici ad essere finiti sul banco degli imputati nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti della gestione rifiuti, che oltre a Lacco Ameno e Forio coinvolse anche il Comune di Monte di Procida per episodi accaduti, come detto, tra il 2011 e il 2012. Le indagini si dipanarono su tre fronti, riconducibili al settore degli appalti per l’affidamento del servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti solidi urbani nei tre comuni citati. Quanto al Comune di Lacco Ameno, i sostituti procuratori Arlomede e Sepe prospettarono diversi episodi di favoritismo  a vantaggio della ditta Ego Eco di Vittorio Ciummo da parte della struttura municipale, mediante illegittime proroghe del servizio a beneficio della citata società; in cambio, e per effetto di accordi corruttivi, Ciummo avrebbe elargito diverse utilità a favore degli amministratori pubblici. Per quanto riguarda il Comune di Monte di Procida, secondo la Procura l’indebito affidamento dell’appalto alla Ego Eco sarebbe avvenuta mediante alterazione dei meccanismi  della gara, affidata  alla società di Ciummo nonostante essa difettasse di alcuni requisiti previsti dal bando di gara. Infine, il Comune di Forio, dove sarebbero emerse plurime collusioni dei pubblici ufficiali con imprese tra loro concorrenti, cioè la Cite, e la Ego Eco. Per un verso vi sarebbero state elargizioni di  denaro  in  cambio  di una serie di controprestazioni, per altro verso sarebbero intervenute varie elargizioni per  ottenere  informazioni  sui punteggi  di gara. Oltre Oscar Rumolo, furono imputati anche Salvatore Antifono, Vittorio Ciummo, Domenico De Siano, Vincenzo Di Maio, Carmine Gallo, Franco Iannuzzi, Restituta Irace, Antonio Mattera, Enzo Rando, Paolo Scotto Di Frega, Carlo Savoia, Vittoria Ciummo. La dottoressa Giulia Di Matteo, che rivestì il ruolo di segretaria comunale in tutti e tre i comuni, fu l’unica dei quattordici indagati originari ad essere stata prosciolta “per non aver commesso il fatto”. Domenico De Siano, Vittorio Ciummo e Salvatore Antifono, accusati dalla Procura di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbata libertà degli incanti, erano stati liberati da tale addebito all’esito dell’udienza preliminare. I tre avrebbero quindi dovuto rispondere, insieme agli altri imputati, esclusivamente di vari episodi corruttivi e di turbativa d’asta: cosiddetti “reati-fine”, quindi senza alcun vincolo associativo come invece la Procura di Napoli auspicava. Proprio tale mancanza, in sostanza, ha indebolito il processo dalle fondamenta, fino all’esito di ieri.

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