Abusi e carcere, la storica decisione della Consulta
- Avvocato, ci troviamo davanti ad un provvedimento di importanza fondamentale, forse addirittura storica.
“Non ci sono assolutamente dubbi a riguardo. Di fatto, la Corte Costituzionale ha, in motivazione, ritenuto irrazionale il diverso trattamento sanzionatorio riservato a chi esegue opere senza autorizzazione su beni paesaggistici assoggettati a vincolo in base a provvedimento ministeriale (dichiarativo dell’interesse pubblico alla speciale tutela, come avvenuto, ad es., per i comuni dell’isola d’Ischia, di Procida, Capri ed Anacapri, qualificati come ‘bellezze panoramiche di insieme’) rispetto a quelli assoggettati a vincolo in base alla legge (come avvenuto per i territori costieri compresi in una fascia di profondità di 300 metri dalla linea di battigia, i fiumi, i torrenti, i ghiacciai, i parchi, le riserve nazionali e regionali, ecc.), puntualmente elencati all’articolo 142 del d.lgs. n. 42/04”.
- Qual è il passaggio sostanziale di maggior rilievo?
“Di fatto la Corte ha ritenuto che non appare giustificato, in base ad una lettura costituzionalmente orientata del Codice Urbani, che qualsiasi tipo di intervento eseguito senza autorizzazione in aree e su immobili vincolati con provvedimento ministeriale integri sempre un delitto punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni, anche quando lo stesso non abbia dato luogo ad ‘opere di notevole impatto volumetrico’ (come, ad es., nella ipotesi di una lieve modifica dei prospetti o della realizzazione di una veranda, di un balcone o di una tettoia), nel mentre, nel diverso caso di intervento eseguito su aree o immobili vincolati per legge (che, per sua natura, dovrebbe determinare maggiore disvalore ed allarme sociale), il reato è solo contravvenzionale, punito con la pena dell’arresto fino a due anni e con l’ammenda da 30.986,00 a 103.290,00 euro, salvo che le opere abbiano comportato ‘un aumento superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi’”.
– E’ chiaro che le implicazioni sono anche di diversa natura…
“La questione, ovviamente, assume particolare rilevanza, non solo e non tanto per l’entità della pena da applicare, nel caso concreto, all’imputato ritenuto colpevole, ma anche e soprattutto per le implicazioni che ne derivano in materia di prescrizione del reato.
È noto, in proposito, che la contravvenzione paesaggistica si prescrive nello stesso termine in cui si prescrive il reato edilizio, ovvero in anni quattro (cinque in caso di interruzione), nel mentre il più grave delitto paesaggistico si prescrive in anni sei (sette anni e mesi sei in caso di interruzione). Per sintetizzare, il dato più significativo che vien fuori dalla pronuncia della Consulta è che nei nostri comuni, vincolati solo in base a decreti ministeriali, il reato paesaggistico da fattispecie delittuosa (ri) diventa reato contravvenzionale, equiparato, quoad poenam, al reato edilizio. Viene così vanificata buona parte della riforma di cui alla legge n. 308 del 2004 che aveva introdotto in materia la figura del delitto, con conseguente inasprimento del trattamento sanzionatorio, sia pure in riferimento a situazioni che la Corte ha ritenuto non omogenee e non coerenti con il principio di ragionevolezza. E non finisce qui!”.
– Che altro c’è di importante e rilevante?
“Si prevedono, senz’ombra di dubbio, effetti dirompenti anche sul versante della esecuzione penale. Tutti quelli che avranno riportato una condanna per il delitto di cui all’articolo 181, comma 1-bis, del d.lgs. n. 42/04 potranno, infatti, rivolgersi al giudice della esecuzione per la rimodulazione del trattamento sanzionatorio ed invocare, laddove ne ricorrano i presupposti, anche l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, in virtù di quanto previsto dall’articolo 2 del codice penale. Va ricordato, sul punto, che la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con una interessante sentenza del 29 maggio 2014, ha preso in considerazione proprio casi del genere, facendo definitivamente chiarezza sui poteri del giudice della esecuzione in presenza di una dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, con buona pace del principio di intangibilità del giudicato”.