LE OPINIONI

IL COMMENTO L’importanza di leggere (e scrivere)

DI LUIGI DELLA MONICA

Questa riflessione mi è stata sollecitata dal saggio intellettuale a firma di Franco Borgogna, apparso domenica scorsa, sulla necessità di alimentare la mente con la lettura. Siamo sempre schiavi di un video, di uno schermo, di un desktop…Tutti automi con la testa reclinata verso un cellulare, un tablet. I popoli occidentali soffrono di cifosi da postura in posizione da scrivania, da infiammazione del tunnel carpale del polso, dei tendini delle falangi. Abbiamo perso irreversibilmente l’amore per la scrittura, per il dialogo fra noi ed il foglio. Un tempo, anni 90’ che furono, poco prima che nascessero i cosiddetti “millenials”, si aveva l’abitudine di scrivere un diario, nell’adolescenza, oppure nella sofferenza. Se non fosse stato per il diario di Anna Frank, non avremmo saputo nulla della delazione, del tradimento e della barbarie che la condusse all’Olocausto, se non vi fosse stato il diario di “Giamburrasca” non avremmo saputo della condizione di turbolenza e di violenza nei collegi italiani di fine ottocento. Negli anni 80’ era una corsa a reperire il diario scolastico o l’agenda più graziosa, per incorniciarli nella libreria e consegnarli alla memoria dei posteri, oppure di noi stessi un giorno diventati adulti. Non so se qualcuno di voi lettori ha avuto la gioia di leggere qualche lettera dei nonni o dei bisnonni. Prima di tutto erano caratterizzati questi scritti da una grafia armoniosa e curvilinea, in secondo luogo piena di adeguate punteggiature, pause o periodi moderatamente complessi, ma su tutto spiccavano la nobiltà di sentimenti e di pensiero, segnando un’epoca forse non più riproducibile.

Oggi i ragazzi accusano i cosiddetti “boomers”, anglofonia degli adulti, di non capire le crasi oppure i linguaggi contratti dei giovani: “heypa’, cos fa’, dammi qua’, io sto qua, tu stai là”. Sembra di quasi di udire lo slang di una canzone rap, che come musica di protesta generazionale, si oppone all’italiano della Crusca cui tendono i grandi. Negli anni ’80 l’ottimo Piero Angela, conduttore di “Quark”, trasmissione caposaldo della cultura televisiva italiana del 20esimo secolo che non ha bisogno di citazioni, colpiva la mia fantasia di bambino con una indagine sulle parole e sulle fonetiche dell’uomo nato un milione di anni fa, non tipicamente paragonabile al c.d. uomo di Neanderthal, che venne definito dagli scienziati “Homo Sapiens”. Ebbene questo ominide, secondo le ricostruzioni computerizzate, pur dotato del cavo orale, delle corde vocali e dell’apparato fonetico, pronunciava delle parole del tipo: “Bab, Dheb”… Mi sovviene se forse non stiamo regredendo in quel senso, grazie alla tecnologia che tende a coprire, coartare la fantasia e l’intelletto dell’individuo in ogni campo dello scibile contemporaneo. Non esiste più la gioia di fare una ricerca, perché “wikipedia” ti offre qualsiasi cosa sul piatto d’argento. Appena la mano si appoggia su di un foglio cartaceo, si stanca dopo mezza pagina. Io credo che il fascino di una poesia, scritta di pugno dall’autore, sia stato anche il modo come l’originale testo sia stato impresso sul foglio, come un’opera d’arte figurativa. Nella attualità assistiamo ad una mancanza di ispirazione, ad una apatia culturale, che come diceva Franco Borgogna induce a non leggere, ma allo stesso tempo a non scrivere. Non intendo sostenere che vi sia crisi di scrittori e di autori di pregio, tuttavia nella collettività manca quell’impulso irrefrenabile di manifestare la propria esistenza, attraverso lo scritto.

Personalmente mi emoziono se trovo qua e là per la libreria di casa mia o di famiglia qualche rara perla di scrittura appartenente ai miei antenati, nonni, zii o prozii, perché è come se il foglio avesse catturato una porzione piccola, piccola del loro spirito, rendendolo immortale. Non voglio creare ambiguità con il messaggio sotteso ai “Sepolcri” di Ugo Foscolo, per argomentare che il culto dei morti sia indispensabile ai superstiti per ricordare il messaggio indelebile che i defunti lasciarono in vita, ma nessuno può contestarmi che la scrittura per chi la pratichi abitualmente ha un valore catartico e taumaturgico. Una persona che scrive, esprime la sua intelligenza, i suoi sentimenti, il suo temperamento, il suo pensiero, in una parola manifesta se stessa al suo inconscio, oppure agli altri. Uno scritto è uno specchio riflesso dell’autore per rinforzare la sua autostima, oppure per lasciare una traccia di sé agli altri. Scrivere serve a questo. Una società iper prestazionale, crudele, brutale, che ammette solo supereroi e non semplici uomini umani, ha dimenticato che gli emarginati ed i falliti hanno rivoluzionato il Mondo. Albert Einstain, scadente studente di matematica, elaborava la teoria della relatività e per questo dava spunto all’artista Salvator Dalì di riprodurre il quadro degli orologi liquefatti. – “La persistenza della Memoria” e successivamente al genio Luigi Pirandello di scrivere “Così è, se vi pare”. Un Mondo che osanna i carcerati, gli incriminati per reati contro le persone o il patrimonio, che esclude i deboli o gli oppressi dal consesso dei decisionisti del destino della comunità, non crea spazi per inclusioni o tolleranze, perché è distante anni luce dalla lettura e dalla scrittura. Se un violento, un bruto, un mostro si fermasse a scrivere, potrebbe cauterizzare la sua forza distruttiva e rendere la sua vita e quella degli altri migliore. Invece oggi si tende a sillabare, a farfugliare, a mugugnare, deridendo gli intellettuali che leggono e che scrivono, perché la geniale metafora di Luigi Pirandello, scritta per codificare in letteratura il relativismo culturale, che stava imperando nella rivoluzione epistemiologica provocata dallo tzunami della teoria scientifica di Einstain, oggi viene equivocata come l’individualismo esasperato di consentire a ciascuno il proprio pensiero, anche se negativo o distruttivo, anche al costo di affermarlo con la crudeltà.

Oltre 90 anni fa, il genio siciliano ci spiegava che la ricostruzione di un fatto storico è possibile in diversi modi che si vogliano intendere, ma alla fine se sussiste la volontà di approfondire la verità, quest’ultima salta sempre fuori. In conclusione, non voglio sostenere che tutti noi dobbiamo avere l’ardire o la presunzione di diventare Pirandello, o Foscolo, ma esercitarsi alla scrittura, come alla lettura, aiuta a restare umani, non “canne al vento” della tecnologia studiata per schiavizzare le menti, non per evolverle. L’astensionismo elettorale del mese che volge al termine, ci spiega correttamente questo fenomeno: gli esercenti del diritto al voto, nel bene o nel male che il loro gesto democratico abbia cagionato, si sono sforzati di fare la differenza, essendo avvezzi alla lettura e\o alla scrittura; gli astensionisti hanno progressivamente abdicato a qualsiasi forma di partecipazione alla vita pubblica, rimanendo dominati dal microcosmo fallace ed ingannevole della tecnologia, che illude di bastare a qualsiasi bisogno dell’uomo. Leggere e scrivere abituano gli uomini a fare la differenza, non bisogna mai dimenticarlo.

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