LE OPINIONI

IL COMMENTO Lettera aperta ai cacciatori

Cari cacciatori, Da quando l’Associazione di cittadinanza attiva CO.RI.VERDE ha lanciato l’idea dell’istituzione di un PARCO REGIONALE PROTETTO DEL MONTE EPOMEO, avete manifestato, anche su questo giornale e a volte con toni eccessivi, il vostro parere contrario, ancor prima di un democratico pubblico confronto che avevamo in animo di organizzare ma dopo aver prima doverosamente illustrato il progetto ai Sindaci isolani che, ricordiamolo, rappresentano tutti i cittadini. Senonché i primi cittadini tardano a darci udienza, timorosi di chissà che cosa. Eccoci, allora, a questo anomalo approccio con voi, con una lettera aperta. Non commettiamo l’errore che, su scala planetaria, alcuni Stati del mondo stanno compiendo con conflitti dalle conseguenze disastrose. La pace e la convivenza civile non si raggiungono con la violenza verbale, con proclami, con la “ deterrenza”. La convivenza civile, la difesa dei territori, la composizione delle diversità, la coniugazione di interessi apparentemente inconciliabili si raggiungono attraverso il dialogo, la mediazione, il rispetto delle altrui motivazioni. Eccoci, perciò, a scrivere, per il microcosmo isolano e su un piano decisamente meno drammatico di quello internazionale, una lettera aperta a voi cacciatori (e ai cercatori di funghi) alcuni dei quali valutano e sostengono con vigore, che l’idea di istituire un Parco Protetto Regionale del Monte Epomeo sia contrario ai vostri interessi, al vostro hobby, alla vostra scelta di vita en plein air, sportiva e salutare. Per raggiungere l’obiettivo di instaurare un sano rapporto, tra i sostenitori del Parco e voi amanti della caccia, renderò omaggio, con anni di ritardo, a Pino Macrì, operatore alberghiero, artista, scrittore ischitano e cacciatore, che attraverso il comune amico Pietro Di Noto (che purtroppo non c’è più) mi fece dono (Natale 2019) del suo libro “Andrea e le fate”, una meravigliosa raccolta di racconti venatori, intrisi di poesia, di amore per la natura e di umana complicità tra cultori della caccia. Partiamo dal titolo del libro: Andrea e le fate, che è poi uno dei racconti del libro.

Andrea è Andrea D’Ambra, oggi affermato imprenditore del vino, che ha capito quanto importante sia collegare tutta l’area flegrea intorno al concetto di vinicoltura. Le Fate sono le beccacce, la malattia, l’ossessione di Andrea, come di tanti cacciatori. Riporto un passaggio del racconto: “Nei periodi del passo era così ogni stagione, anno dopo anno. Mi trasferivo sull’isola di Santo Stefano con il cane, il fucile, gli stivali, le cartucce e poco altro. Giusto il necessario, da solo, solissimo. E mi sentivo un re. Ero l’uomo più fortunato del mondo. Incosciente e felice. Pazzo letteralmente com’ero, pazzo per la caccia!… Vivevo un trasporto maniacale per la regina del bosco che, con il suo aliare fragoroso o anche vellutato, col suo occhio lucido e acceso di uno splendore profondo e persino con il suo afrore, ogni volta mi rallentava il respiro e mi faceva viaggiare lontano. D’incanto quella fata mi portava in un sogno, perduto e ritrovato in una fantasia di bambino nelle marcite nebbiose di taighe più fredde e più lontane” (n.d.r. taigà, in lingua russa, significa foresta di conifere ed è relativa a paesi freddi come il Canada o la Russia). Questo il rapporto del cacciatore con gli uccelli. Ma da rimarcare e rispettare è anche il rapporto speciale uomo-cane da caccia, e il rapporto cacciatore-bosco in cui si caccia. E così il racconto rivolge l’attenzione al cane: “Per la prima volta, calpestando l’etica di zio Mario ( D’Ambra), avevo velocemente deciso di infrangere la legge, avrei cacciato di notte! La cagna ( Tana), appena mi vide abbrancare lo schioppo, si destò dal letargo, alzò le orecchie, si rizzò sulle zampe e, dopo avermi leccato una mano, prese a girarmi intorno eccitata più di me. Appena fuori, a pochi metri dalla cuccia, mentre si era abbassata per fare la pipì vicino alla panca di ferro mangiata dalla salsedine, si bloccò di colpo. Era già in ferma: allungata e fremente, bella come al solito, la testa più bassa delle spalle, il posteriore alto. Lo screziato mozzicone della coda vibrava appena”. Poi Andrea, frastornato da decine di beccacce “brune diavolesse irridenti che continuavano a comparire e scomparire come diafani, umbratili fantasmi” si lasciò ammaliare dalla notte. E qui la riflessione sul rapporto con la Natura: “Ero da solo, io soltanto, con le stelle più belle… ero un primitivo al centro dell’Universo; tutto il nero possibile mi avvolgeva come in un vortice e mi legava alla terra e pure al cielo. Silenzio, vertigine d’infinito. L’erba appena smossa dal levante – che intantro aveva preso il posto del maestrale – stormiva a leggere alitate. L’impercettibile brezza staccava zaffate di profumata rugiada che mi inondavano le narici e mi riempivano i polmoni”.

Nella prefazione al libro (Pre-testo) lo scrittore ischitano Andrej Longo che, personalmente, reputo il migliore tra tutti gli scrittori ischitani in qualche modo affermatisi, ha scritto: “Chiedere ad un amico, che per lungo tempo ha odiato caccia e cacciatori, di scrivere qualche riga per introdurre un libro di racconti venatori, non è forse la migliore delle idee… Io a caccia non sono mai andato. Inoltre i cacciatori mi apparivano come gli orchi affamati e cattivi dei boschi. Ma poi, un racconto dopo l’altro, ho cominciato a prenderci gusto, ho cominciato a entrare in un mondo di cui non mi ero mai interessato. Ho capito che chi va a caccia vive un rapporto privilegiato e viscerale con la natura. Quegli odori della notte che ancora non ha ceduto il passo al giorno. Quei refoli di vento che smuovono le cime degli alberi. Quelle luci che a poco a poco cambiano d’intensità. E poi i versi degli uccelli lontani, che lentamente si avvicinano. L ‘attesa. La pazienza. L’impazienza. L’amicizia e la complicità tra cacciatori. E pure le ripicche tra di loro a volte, gelosie quasi da bambini, che fanno sorridere e anche soffrire”. Bene, io non ho la capacità descrittiva di Andrej Longo, ma la penso esattamente come lui, anche se parto da una posizione meno preconcetta e più conciliante della sua iniziale posizione anticaccia . E l’interpretazione che Longo dà della caccia, dopo aver letto i racconti coinvolgenti di Pino Macrì, dimostra come, a volte, le contrapposizioni siano di natura ideologica e preconcettuale. Ci vuole sempre uno sforzo, in buona fede, delle parti contrapposte. E così, anche nel campo degli attuali cacciatori, ci vuole comprensione degli effettivi motivi che sono alla base di chi oggi propone l’istituzione di un Parco Regionale Protetto del Monte Epomeo. E’ strano che proprio Andrea D’Ambra (così abilmente descritto da Pino Macrì ) sicuramente amante della terra, delle coltivazioni, oltre alla passione per la caccia, sostenga oggi l’inutilità del Parco, in quanto – al rispetto e alla manutenzione del Monte – ci penserebbero direttamente i coltivatori, i proprietari terrieri, i cacciatori, i cercatori di funghi. Gli sfugge, probabilmente che, come scrive Andrej Longo: “Dalle pagine del libro viene fuori anche un mondo semplice e primordiale che ormai non c’è più. Brandelli di un’isola che oggi in pochi conoscono. Emozioni semplici e profonde che sembrano smarrite per sempre”. Ecco perché serve il Parco: per recuperare quei brandelli di umanità che l’isola esprimeva, per ricostruire un rapporto fecondo con la natura, non “contro” i cacciatori ( quelli che oggi sono ancora degni di questo nome) ma “ con” i cacciatori.

Andrej Longo

Difficoltà legislative? I SIC europei, i vincoli? Esasperazioni ambientaliste ideologiche? Si possono superare, se veramente tutti miriamo agli stessi obiettivi, quelli descritti da Pino Macrì e quelli invocato da Andrej Longo. Per tornare al libro e ad un altro dei suoi racconti “Roberto e il falco di palude”, quando c’è da dare qualche scappellotto ai cacciatori, va dato, come fa Don Mario D’Ambra con suo nipote, il mitico Roberto (amico mio carissimo) per aver sparato ad un falco anziché all’arcera (Roberto si difende dicendo che aveva colpito una beccaccia ma, per scherzo di qualcuno, il cane gli aveva riportato il falco). E dalle famiglie D’Ambra e Ielasi, a proposito di caccia, il mio pensiero va al prof. Gianni Iannelli e al prof. Francesco De Martino, amici socialisti e cacciatori. Persone di cultura e sensibilità, non volgari “sparatori”. Cari cacciatori, chiudo così la presente lettera: abbiate come riferimenti “ questi” amanti della caccia e della natura e della storia umana (dei quali non potremo mai essere antagonisti) e non gli amanti delle armi (portate in consessi impropri) o i cultori dei trofei di caccia esibiti in dispregio degli animali soppressi. La natura ci accomuni, non ci divida!

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Beta

Cacciatori fatevene una ragione!
L’isola è troppo piccola ed antropomorfizzata, turistica al limite del sopportabile, necessita quindi dell’istituzione di un parco naturalistico per la tutela di quel poco ancora rimasto indenne dalla distruzione umana…
Non tutti i mali vengono per nuocere però: sarà la vostra occasione per vivere il vostro “sport di caccia” in altri luoghi, unendo la vostra passione a quella del viaggio e della scoperta di cose e persone nuove…

isolano

Caro Beta 1)La caccia non è uno sport, è una passione che è innata nell essere umano in quanto predatore,solo che il nostro istinto predatorio ormai lo abbiamo delegato al supermercato.
2)L’istituzione di un inutile parco cosa dovrebbe tutelare?..”poco ancora rimasto indenne dalla distruzione umana”?C’è già in vigore da anni ormai il divieto di cementificare “ex novo” in qualsiasi parte dell’isola non solo sul monte Epomeo,ed i recenti abbattimenti ne sono la prova tangibile.
3)Vogliamo creare un nuovo poltronificio INUTILE con presidenti, direttori , (normalmente ex politici trombati)consigli di amministrazione PAGATI con le nostre tasse? BASTA!
4)Quale specie dobbiamo tutelare? L’Orso Marsicano? L’Aquila del bonelli? Mi spiegate COSA C@@o dobbiamo Tutelare che giustifichi l’istituzione di un area protetta?Ah forse ci sono dobbiamo tutelare i topi(poveretti… il topo dell’ Epomeo è a rischio estinzione)e i tanti rovi detti rustine che fanno le more?
5)Nell Area marina protetta Regno di Nessuno (scritto volutamente Nessuno) cosa si sta proteggendo? Liquami a volontà? Lo vedete lo schifo l’acqua lercia,la schiuma che galleggia che ogni anno fuori ai Maronti per esempio e l Ente Parco cosa fa? Niente !! Pensa solo ad incassare i soldi che le imbarcazione devono dargli per poter gettare l’ancora a mare (se non paghi la tua ancora distrugge la poseidonia ma se paghi miracolosamente non la distrugge più).Quindi solo un altro ENTE INUTILE PAGATO CON LE NOSTRE TASSE e altri balzelli per i cittadini che possiedono anche una piccola imbarcazione.
6) Concludo… alcuni cacciatori citati nell articolo(benestanti) vanno già a caccia fuori dall isola, chi va all estero con trasferte che per una settimana di caccia ti partono dai tremila ai cinquemila euro (correggetemi se sbaglio) e sono costi NON ALLA PORTATA di tutti i cacciatori, c’è chi a sforzo riesce a rinnovare il porto d’armi ogni anno e non ha la possibilità economica di andare fuori, perchè dobbiamo negargli di poter esercitare la sua passione a casa sua?

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