LE OPINIONI

IL COMMENTO Disunità d’Italia

DI GIUSEPPE LUONGO

Dopo l’approvazione della legge sull’Autonomia Differenziata dal Parlamento nel corso della seduta del 19 giugno 2024, avverto la necessità di una riflessione sulle vicende politiche e sul clima culturale relative al tempo del processo che portò all’unificazione dell’Italia. Nella seconda metà dell’Ottocento in Europa si registra il trionfo delle Scienze e della Tecnologia. Nasce una nuova dottrina, il positivismo – la conoscenza è fornita dalle scienze sperimentali- il cui fondatore è il sociologo francese Auguste Comte (1798-1857) al quale si può associare lo scienziato inglese Charles Darwin (1809-1882). Quest’ultimo formula la teoria dell’evoluzione naturale delle specie, per cui nella lotta per l’esistenza, sopravvive l’individuo più adatto. La sua teoria trova terreno fertile nell’Uniformitarismo in geologia, introdotto da James Hutton (1726-1797) e ancor più nella nuova corrente uniformista capeggiata da Charles Lyell (1797-1875). Il naturalismo darwiniano troverà consenso nelle forze laiche e socialiste – Marx dedicherà allo scienziato inglese il secondo libro del “Capitale” – ma negli anni Ottanta verrà utilizzato ideologicamente in senso borghese e colonialista. La selezione naturale degli individui giustificherebbe scientificamente il dominio delle nazioni più forti nell’interesse di tutta la collettività umana.

Nell’intervallo tra gli anni Trenta e Ottanta dell’Ottocento mentre i paesi europei più avanzati (Inghilterra e Francia) sono interessati da profonde trasformazioni nelle Scienze e nella Tecnologia, il nostro paese è attraversato da moti rivoluzionari e dalle guerre di indipendenza dall’Impero Austro-Ungarico. Negli anni Settanta, ad avvenuta unificazione, l’Italia era un Paese arretrato e con profonde differenziazioni regionali. Con l’unità non si avvierà una vera politica di rinnovamento culturale e specie nella parte meridionale del paese i quadri dirigenti non saranno formati con elementi progressisti capaci di determinare una svolta nelle istituzioni. I cambiamenti ai vertici nelle istituzioni meridionali appaiono più legati a motivi di fedeltà dei soggetti investiti della nuova funzione che culturali e funzionali ad un progetto di sviluppo. Questo clima si avverte maggiormentenegli istituti di ricerca che avranno vita stentata e saranno lasciati, senza una vera direttiva culturale, alle iniziative locali spesso di scarsa incisività. Le novità saranno associate alle poche intelligenze forti locali e alle iniziative che si svilupperanno con il contributo di intellettuali e mecenati stranieri in linea con la tradizione della cultura napoletana. Anche nella seconda metà dell’Ottocento Napoli attira i cultori dell’Archeologia e della Vulcanologia come accadeva dalla metà del Settecento, dopo le scoperte di Ercolano e Pompei e le ricerche di Lord Hamilton che fa conoscere al mondo scientifico le eruzioni del Vesuvio, attraverso i suoi resoconti inviati alla Royal Society of London. Nello stesso periodo a Napoli fu avviato un avanzato programma per la rappresentazione cartografica del reame. Da questa iniziativa ebbe inizio uno straordinario successo della cartografia napoletana, interrotta nel 1860 con l’arrivo a Napoli di Garibaldi e l’antico Officio Topografico del Regno di Napoli confluì nell’Istituto Geografico Militare con sede a Firenze.

Anche l’Osservatorio Vesuviano, il primo Osservatorio Vulcanologico del mondo, era destinato alla soppressione, secondo i piani del Ministero dell’Istruzione se non fosse avvenuta l’eruzione nel 1861 che distrusse ancora una volta la città di Torre del Greco, monitorata dall’allora direttore Luigi Palmieri. Questo progetto sarà solo rinviato al 1999, quando con un decreto del Presidente del Consiglio Massimo D’alema, l’Osservatorio Vesuviano, dopo 159 anni di autonomia, confluirà nell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), con sede Roma. Un paese che perde pezzi pregiati della sua organizzazione della ricerca e non attira i giovani per la loro formazione, ma li espelle non può competere con le parti più forti ed è destinata a soccombere. Una città che ha svolto il ruolo di capitale per secoli, alla quale non si assegna una nuova funzione rilevante per la sua storia, non può che imboccare la strada della rassegnazione al decadimento. Ma vi sono ancora isole resistenti. Mi piace ricordare l’Università Federico II, la mia Università, che quest’anno ha compiuto 800 anni dalla fondazione, prima università laica. È proprio la sua storia straordinaria che l‘ha resa robusta e capace di resistere alle intemperie del potere politico ed economico.

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