CRONACAPRIMO PIANO

«Basta soprusi, ridatemi mio figlio»

Francesca, la mamma del piccolo Mattia (che le fu sottratto lo scorso dicembre per essere affidato a una casa famiglia) torna alla carica con due video denuncia nella quale non risparmia accuse e soprattutto si appella alle istituzioni: «Aiutatemi a “liberare” il mio bambino, hanno interrotto un nostro incontro solo perché gli avevo rivolto alcune domande»

La vicenda è nota a tutti, anche perché dolorosa, e non a caso nella fase finale dello scorso anno solare varcò decisamente i ristretti confini locali. La storia è quella di Mattia (nome di fantasia, ndr) il bambino di 8 anni che fu sottratto alla madre dal Tribunale di Napoli per essere affidato ad una casa famiglia. Il pomeriggio in cui il piccolo fu prelevato e strappato alla genitrice in un appartamento di Lacco Ameno è una pagina della storia recente della nostra isola che resterà a lungo scolpito nella memoria di tutti e che certo non potrà essere cancellato con un colpo di spugna. Adesso la mamma, Francesca, torna a farsi sentire, torna ad alzare la voce, per una denuncia pubblica, ma anche verosimilmente per far sì che su questa drammatica vicenda non si spengano i riflettori. Lo fa con due distinti video denuncia pubblicati sui suoi canali social e sul profilo facebook dell’associazione #iosonomattia. Il racconto di presunti torti perpetrati a danno suo e del piccolo ma anche tanta disperazione e tanto dolore. E, più di ogni altra cosa, la voglia di non rassegnarsi e di voler combattere la propria battaglia, fosse anche contro tutto e tutti. Sperando, però, in qualche aiuto.

«Buongiorno, mi trovo sulla spiaggia di Citra: sarei dovuta andare in polizia per denunciare le “torture istituzionali” che io, mio figlio e la mia famiglia stiamo subendo. Ma non mi rivolgo alle forze dell’ordine perché troverei le stesse persone che hanno prelevato il mio bambino lo scorso 1 dicembre uniti a servizi sociali e vigili del fuoco su ordine del Tribunale di Napoli». Così esordisce Francesca, che nel primo video parla dalla spiaggia di Citara dove lancia la sua denuncia in due parti, aggiungendo in primo luogo che «Mi trovo in questo luogo perché qui sento il ricordo della libertà e della giustizia. Mi rivolgo alle cariche istituzionali addetti, agli organi preposti a fare giustizia: in questo momento chiedo aiuto alla commissione Femminicidio, sperando che si interessi in tempi celeri al caso di mio figlio e che mi aiutino a liberarlo. Siamo tutti i giorni torturati, ma sono convinta che le istituzioni sono fatte di persone e non voglio credere che le persone siano tutte marce. Quindi vi chiedo di liberare subito mio figlio». Il passaggio successivo della video denuncia di Francesca è francamente di quelli pesanti: «Voglio denunciare pubblicamente tutte le torture a cui siamo sottoposti: nello specifico, durante l’ultimo incontro che ho avuto con mio figlio, per l’ennesima volta sono stata censurata e zittita dai servizi sociali. Ho chiesto a mio figlio, visto che nelle loro relazioni dicono che è felicissimo di incontrare il padre, come stessero andando questi nuovi incontri: ebbene, non gli hanno dato il tempo di rispondere.

Mi hanno subito zittita e mi hanno chiesto di interrompere l’incontro. Mi sono opposta dicendo loro che era un nostro diritto trascorrere quell’ora insieme e anche il bambino ha confermato di voler stare con me. Non sono andata via, sono rimasta, mi sto ribellando con tutte le forze a questo sistema che ci sta torturando, non starò zitta, non starò zitta mai. Dovete liberare mio figlio, mio figlio non sta bene: lo avete zittito, ammutolito, prostrato, non è più felice. Continuerò a parlare, continuerò a denunciare, il mio bambino è nato libero e se qualcuno non lo libera io sarò costretto a chiedergli perdono per averlo messo al mondo. Vogliamo giustizia!». Poi arriva anche un nuovo video sempre postato dalla signora Francesca nella quale la donna aggiunge degli aggiornamenti successivi alla sua prima denuncia: «Dopo aver girato il mio video a Citara, ho fatto ritorno a casa ed ho scoperto che hanno deciso di punire me e mio figlio privandoci di vederci per due settimane perché ho “osato” rivolgere delle domande a mio figlio. Quindi io non rispetterei quelle che ritengo censure, devo essere punita perché non voglio sottomettermi a un certo modo di fare».

Poi arriva l’appello: «Invoco giustizia, chi deve si attivi immediatamente. Per quanto riguarda quello che stanno scrivendo i servizi sociali, ci saranno modi e sedi per chiarire qual è la verità. Intanto però tengo a ricordare che esistono testimoni e prove di come mio figlio urlasse e non solo quando doveva partecipare agli incontri protetti col padre. Siamo davanti a una manovra per zittirmi, la giustizia spero intervenga in fretta. Questo non è un contenzioso privato come alcune persone vorrebbero far credere, questa è una situazione che deve essere denunciata pubblicamente perché riguarda l’intera società civile: qui sono in gioco diritti umani che sono palesemente calpestati e non è accettabile che venga fatto questo a un bambino di 8 anni. Tranquillo, figlio mio: tornerai presto a casa…».

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